Nel presentare il nuovo romanzo di Claudio Piersanti candidato al Premio Strega, Renata Colorni scrive: «Anche in questo libro, insomma, così breve e strano, a tratti improbabile per chi non ha dimestichezza con i puri di cuore, una specie di favola dolce e sinistra attraversata da cima a fondo da un brivido allarmante, Claudio Piersanti dà senso e spazio al mistero del silenzio e della solitudine, dimensioni fondative dei rapporti umani. Tutto questo grazie alla raffinatezza del suo intuito psicologico e alle risorse stilistiche innate della sua scrittura, che derivano da una lingua che ha la limpidezza del cristallo e da una straordinaria naturalezza e versatilità espressiva».
Quel maledetto Vronskij è la storia di un tipografo di mezza età, Giovanni, e di sua moglie, Giulia, segretaria e appassionata di giardinaggio. Vivono un amore semplice, racchiuso nei piccoli gesti quotidiani, all’apparenza imperturbabile. Un giorno, però, Giovanni trova un laconico biglietto di Giulia, che lo getterà in un lungo stato di dolore: “ non cercarmi (cit )”. Preso dall’afflizione, chiuso nel suo negozio, Giovanni inizia a trascrivere Anna Karenina , con la speranza di farne dono, un giorno, a Giulia. Pagina dopo pagina, nella mente del tipografo compare il fantasma di un Vronskij, incarnazione della gelosia, di ciò che può esservi di marcio e di doloroso in una sparizione inspiegata e in un’attesa dolorosa.
Claudio Piersanti è l'ottavo ospite della rubrica L’ora dello strega , una serie di conversazioni con gli autori dei libri selezionati per la dozzina del Premio Strega. Questa intervista è nata al tavolo di un caffè, al termine dell’evento Macerata Racconta.
Lucia Copparoni: Domanda incipitaria di rito in questa rubrica: come vive il Premio Strega?
Claudio Piersanti: All’inizio non avrei nemmeno voluto partecipare, perché mi sento in parte incompatibile con il Premio. Qualche anno fa sono stato fra i giurati, ma mi sono dimesso dopo pochi mesi. Questa volta, alla fine, ho fatto la scelta di rimettermi in gioco.
LC: Ho letto e apprezzato molto il suo romanzo. Nelle prime pagine, il lettore è catturato da una costruzione vividissima del protagonista, Giovanni, intensificata senz’altro da una scrittura cristallina che sembra permettere di incontrare concretamente il personaggio. Mi chiedevo come fosse nata la storia di questo tipografo del ventunesimo secolo e se essa sia in qualche modo legata a come lei vive il rapporto con i suoi personaggi.
CP: Ho un rapporto distaccato e al contempo molto stretto con le mie storie e i miei personaggi. Una volta terminato un libro, lo licenzio, lo do alle stampe e non lo rileggo più. I personaggi, però, continuano far parte della mia vita: a volte li sogno in mezzo ai miei amici, sono parte del mio inconscio. Come in tutti i miei romanzi, anche in questo i personaggi non nascono da mie esperienze personali. Per esempio, la scelta della figura del tipografo non deriva da una qualche mia esperienza lavorativa, anche se ho vissuto l’ambiente delle case editrici. In realtà, io appaio nei miei libri per strade secondarie e involontarie: ciò che mi spinge è la volontà di essere un altro, o meglio, tanti altri. Credo che questo sia il vero compito di uno scrittore.
LC: A questo proposito, Italo Calvino era convinto che lo scrivere bene fosse inscindibile da un non interporsi del diaframma della persona tra sé e il foglio di carta. Quella dell’uscita dall’io è una sua ricerca costante?
CP: Molti sostengono che sia il narcisismo l’elemento che veramente spinge gli scrittori a produrre le loro opere. Io, invece, sono convinto che i veri scrittori siano quasi privi di narcisismo: si occupano dell’Altro, della mimesis. Nei miei libri, il mio io è scomparso, quasi inesistente: mi piace diventare tipografo, contabile, avvocato. Avendo ormai una certa età e una certa esperienza alle spalle, mi hanno chiesto se avessi in programma di scrivere autobiografia: non penso che la realizzerò mai, mi annoierei a morte.
LC: Su questa scia, ha mai scritto in prima persona? Se sì, come ha affrontato la scelta di dire “io” indossando un personaggio?
CP: Ho scritto pochissimo in prima persona, ma anche nelle poche occasioni in cui l’ho fatto è stato per me puramente un modo per proporre un personaggio: la prima persona è per me pur sempre una terza persona camuffata. Ciò che mi infastidisce, di fatto, non è l’io in sé, ma il contenuto narcisistico che può veicolare, il rimanere fissati in una immagine. Ciò che mi interessa veramente è raccontare la molteplicità del reale, vivere altre vite, abbandonarmi per incontrare l’altro. Se riesco a trasmettere questo, ho raggiunto il mio obiettivo. Dei miei libri non mi interessa la trama, sì i percorsi e i personaggi. In particolare, ciò che mi premeva in quest’ultimo era mostrare il groviglio di un uomo che vive un’attesa dolente, ma anche inaspettatamente perseverante nell’amore, consapevole del fatto che non si può costringere nessuno ad amare.
LC: Quel maledetto Vronskij, infatti, è anche un libro sulla tenacia nell’amore. Giovanni, nel buio dell’assenza di Giulia, rintanato nel suo negozio, trascrive Anna Karenina. Il libro si ispessisce pagina dopo pagina, mentre lui per il dolore dimagrisce, si assottiglia, si prosciuga. Cosa significa per il protagonista compiere questa trascrizione con l’obiettivo di farne un regalo per Giulia?
CP: Conscio di non poter competere con un Vronskij, per Giovanni realizzare una copia unica di questo romanzo di Tolstoj significa offrire il meglio che sappia fare. È un libro che non ha scelto ma che ha pescato al buio, a caso, nella stanza da letto, ma è pur sempre un libro di Giulia, e ciò lo rende agli occhi di lui il più bel libro possibile. Nel realizzare questo dono importante, nel copiare Anna Karenina, Giovanni diventa in un certo senso l’editore del suo Vronskij, e al tempo stesso gli sembra di poter mantenere in vita Giulia, per la quale farebbe qualunque cosa. Inoltre, la trascrizione di questo romanzo è anche il dono di un tipografo morente a livello professionale.
LC: Infatti, tra le mura della casa e dell’esercizio commerciale del protagonista si avverte il tramonto della professione di tipografo. Un fil rouge del romanzo è anche proprio il rapporto con il cartaceo.
CP: Non sempre alcune cose muoiono per lasciar posto a delle migliori. Giorno dopo giorno, quelle che si presentano agli occhi di Giovanni sono delle fotocopie, non dei libri. La stampa non si realizza più nel piombo che penetra nel vivo della carta, nel veleno, nell’elemento “violento” il cui risultato era un prodotto fatto per durare. Come i vecchi caratteri tipografici, anche Giovanni è diventato un rottame, vive sia a casa sia nel negozio con i cimeli dell’arte tipografica che in diversi secoli ha raggiunto una sua evoluzione. Ho a cuore la materialità del libro, pur nella consapevolezza che la qualità della carta dei libri di oggi è inferiore. Ho la sensazione che i libri digitali siano già persi nel momento stesso in cui vengono messi in rete. La fragilità del “giocattolo-Google” è forse talvolta maggiore di quella dei fogli e delle rilegature.
Per saperne di più
Claudio Piersanti, scrittore e sceneggiatore, è nato nel 1954. Come sceneggiatore ha collaborato, tra gli altri, con Carlo Mazzacurati, Riccardo Milani e Maurizio Sciarra. Con Lorenzo Mattotti ha collaborato ad alcuni libri a fumetti come Stigmate (Einaudi, 1999) e Anonymes (Éditions du Seuil, 2000). Ha tradotto in italiano le Fiabe molisane (Mondadori, 1990). Per anni è stato direttore responsabile de La rivista dei libri, edizione italiana della New York Review of Books.
Ha pubblicato numerosi libri tra i quali ricordiamo quelli usciti per Feltrinelli: L’amore degli adulti (1989), con cui è stato finalista al premio Bergamo, Luisa e il silenzio (1997) con cui ha vinto nel 1997 il Premio Viareggio, Il ritorno a casa di Enrico Metz (2006), che ha ricevuto il Premio Selezione Campiello, il Premio Napoli e il premio Frontino-Montefeltro, La forza di gravità (2018). Il suo ultimo romanzo Quel maledetto Vronskij (Rizzoli, 2021) è stato d proposto da Renata Colorni per la LXXVI edizione del Premio Strega 2022 ed è entrato a far parte della settina dei libri finalisti.