La scommessa psichedelica, a cura di Federico di Vita, Quodlibet, Macerata 2020, pp. 320.
Il testo di cui verrà presentata una succinta descrizione, la cui curatela porta il nome di Federico di Vita, scrittore e giornalista per diverse testate e autore di monografie, saggi e inchieste, prende il via da un interrogativo incalzante: «Possibile che ancora nel 2020 oltre a chi ne ha fatto esperienza, solo i chimici e i farmacologi si rendano conto del potenziale di queste sostanze?» (p. 8).
“Queste sostanze” sono gli psichedelici; alcune sono più note, come l’LSD (dietilamide dell’acido lisergico) o la mescalina (ricavata dal peyote); altre meno, psilocibina (o, più precisamente, psilocina, contenuta in alcuni funghi allucinogeni del genere Psilocybe, Panaeolus, Inocybe, e Stropharia), dimetiltriptammina (o DMT, contenuta in alcune piante e nel corpo umano), o LSA (ammide dell’acido lisergico), senza contare altre numerose sostanze semi-sintetiche di recente diffusione. A questa lista, a volte, vengono aggiunti anche l’MDMA (o ecstasy), la Salvia Divinorum e la marijuana, ma si tratta di un’integrazione generalmente non condivisa, in quanto queste ultime sostanze vanno a operare nel cervello secondo modalità differenti rispetto a quelle sopracitate.
Il termine “psichedelico”, che deriva dalle radici greche ψυχή “anima”, e δῆλος “chiaro”, indica una sostanza psicoattiva il cui effetto sarebbe quello di rendere chiaro o manifesto il contenuto della coscienza. Spesso questo termine viene considerato sinonimo di “allucinogeno”, nonostante le allucinazioni (a più livelli percettivi) rappresentino solo in parte la complessità dell’esperienza psichedelica.
In Italia, gli psichedelici sono illegali. L’illegalità delle sostanze stupefacenti sancita dal diritto italiano non dipende dalla loro letalità, ma da un elenco periodicamente aggiornato dal Ministero della Salute. Ciò spiega come mai l’alcol e il tabacco in Italia non sono trattate come sostanze illegali, sebbene in studi come quello di David J. Nutt et alia del 2010 siano considerate rispettivamente al primo e al sesto posto per danno provocato (nel Regno Unito), mentre psichedelici come l’LSD o la psilocibina, in fondo alla classifica, sono vietate.
Immagine tratta da David J. Nutt, Leslie A. King, Lawrence D. Philipps (2010), Drug harms in the UK: a multicriteria decision analysis, «The Lancet», 376: 1561.
Immagine tratta da David J. Nutt, Leslie A. King, Lawrence D. Philipps (2010), Drug harms in the UK: a multicriteria decision analysis, «The Lancet», 376: 1563.
Ciò nonostante, come fa notare di Vita nel suo saggio Breve storia universale della psichedelia (pp 11-74), ci troviamo in un periodo storico che può essere definito come un vero e proprio “Rinascimento psichedelico”, iniziato il 13 gennaio 2006 a Basilea con un simposio mondiale sull’LSD, in occasione del centesimo anniversario della nascita del suo scopritore, Albert Hofmann, il quale peraltro presenziò e intervenne. Quando, nel 2014 e poi nel 2016, Robin Carhart-Harris pubblicò i risultati di un brain imaging del cervello umano sotto effetto rispettivamente di psilocina e dietilamide dell’acido lisergico, mostrando connessioni inaspettatamente intense, David J. Nutt sostenne che si fosse trovato il bosone di Higgs delle neuroscienze.
Il cervello umano dispone di un sistema di controllo gerarchizzato, chiamato Default Mode Network (DMN), il cui compito è l’organizzazione e la gestione degli impulsi e degli stimoli che continuamente riceviamo. La funzione del DMN è, in poche parole, quella di aiutarci a vivere tranquillamente, elaborando con velocità informazioni, rispondendo attraverso automatismi rinforzati dall’esperienza a stimoli che altrimenti richiederebbero un ingente sforzo di elaborazione. Quando si assume psilocibina o LSD questo network collassa temporaneamente, provocando uno stato di insolita entropia; incapace di fare affidamento agli automatismi della vita quotidiana, il cervello si vede costretto a creare nuove connessioni neuronali. I risvolti culturali, sociali, psicologici e spirituali possibili da questa modificazione neurochimica sono il tema fondamentale del volume qui descritto.
Il trip report come sottogenere della letteratura di viaggio, di Peppe Fiore (pp. 75-91)
L’autore ripercorre alcuni dei temi più frequenti durante il viaggio (i.e. esperienza psichedelica), accompagnandosi con testimonianze raccolte da dataset online e materiali dell’epoca pre-Internet. Tra le riflessioni più comuni si trova la natura, le creature, la musica, l’eternità, il tempo, l’autopercezione, la follia, Dio.
Non c’è più nessuna consapevolezza di me nel passato, nessun trascorso della mia infanzia, non c’è nient’altro che il modo in cui in questo momento identifico me stesso e il resto del mondo sulla stessa matrice del mio Sé […]. Disciolto l’io, quello che rimane è la domanda più spaventosa di tutte: chi sono veramente? E dietro quella domanda, un’altra, ancora più terribile, e ultimativa: sono veramente qualcosa? (pp. 86-87).
Chi fa uso di queste sostanze condivide un’esperienza comune, più o meno intensa a seconda della dose assunta: «la straziante nudità della nostra anima a cospetto del caos» (p. 91). L’utilità degli psichedelici sarebbe quindi non tanto quella di offrire delle risposte, ma di incalzare incessanti domande, aprendo così una nuova via per l’osservazione di un panorama inesplorato: le zone profondissime e impossibili della psiche umana, la cui mitologia verrebbe ipostatizzata attraverso l’assunzione di una sostanza psicoattiva facilitatrice. In un articolo di Christopher Timmermann et alia, consultato in una versione preprint aggiornata al 5 luglio 2021, viene mostrato il profondo influsso delle sostanze psichedeliche nel modificare le credenze metafisiche di chi ne fa uso.
Rompere gli schemi: la cura psichedelica alla depressione, di Ilaria Giannini (pp. 109-126)
Nel 2017, l’OMS dichiarò che la depressione era la prima causa di disabilità al mondo. Vincenzo Giallonardo et alia, nel loro contributo del 2020, The Impact of Quarantine and Physical Distancing Following COVID-19 on Mental Health: Study Protocol of a Multicentric Italian Population Trial, «Front Psychiatry», 11: 533, hanno mostrato che in seguito alla pandemia sono aumentati i casi di ansia, frustrazione, solitudine e depressione. In questo momento storico, dunque, l’urgenza di offrire una cura adeguata al disturbo depressivo è quantomai forte, tanto più se si considera che la depressione è la causa principale delle morti per suicidio (circa 800 mila ogni anno).
Una speranza parrebbe arrivare da una sostanza psicoattiva, la psilocina. Secondo gli studi condotti all’Imperial College di Londra, sotto la guida di Robin Carhart-Harris, inserito dal Times nella lista dei 100 nomi più promettenti del 2021, questa sostanza agirebbe in due modi: 1) diminuirebbe l’afflusso sanguigno diretto all’amigdala, deputata nell’elaborazione, fra le altre cose, della paura, della rabbia e dell’ansia, rendendola così meno attiva; 2) bloccherebbe, come si è già detto, il DMN. Quest’ultimo dato ha valore soprattutto in considerazione del fatto che le persone depresse presentano un DMN iperattivo, «come assorbito in una costante ruminazione che conduce a una spirale di pensieri negativi e ripetitivi a cui è impossibile fuggire» (p. 111). L’inibizione del DMN permette così di disattivare temporaneamente la mente malata; coloro che hanno partecipato agli esperimenti di Carhart-Harris hanno avvertito il proprio cervello come fosse un computer inceppato che, una volta riavviato, ha ripreso a funzionare. Per una breve panoramica sulle più recenti ricerche circa il rapporto tra terapia e psichedelici si rimanda a David J. Nutt, Robin Carhart-Harris (2021), The Current Status of Psychedelics in Psychiatry, «JAMA Psychiatry», 78/2: 121-122.
Il DMN, coinvolto nella costruzione del sé, plasma la narrazione quotidiana di ogni persona, costruisce la sua identità e organizza le operazioni che competono al suo ruolo sociale. L’effetto degli psichedelici sulla mente parrebbe somigliare a quello di un deragliamento dell’ego, in cui si vedono frantumati gli schemi abituali, obbligando così il cervello a creare nuove connessioni; ciò, di contro, si accompagna a un senso di unione profonda con l’universo. Questo processo disattiva i “circoli viziosi” della mente, inclusi quelli tipici degli stati depressivi, consentendo a chi ne fa uso di accettare la possibilità di trasformare la propria identità. La testimonianza di Micheal Pollan, autore di Come cambiare la tua mente, Adelphi, Milano 2019, p. 277, descrive appieno questo aspetto:
Ma chi era questo «io» che riusciva a catturare la scena della propria dissoluzione? Bella domanda. Non era esattamente me. Qui, i limiti del linguaggio diventano un problema: per capire a fondo lo spartiacque che si era aperto nella mia prospettiva, avrei bisogno di un pronome di prima persona del tutto nuovo. Perché a osservare la scena, adesso, era una prospettiva, una modalità di consapevolezza, del tutto distinta dal mio solito sé; e infatti, per riferirmi alla consapevolezza che aveva preso il controllo, esito a usare l’«io», tanto era diversa dalla mia consueta prima persona […]. Tutto quello che ero stato e che chiamavo «me», questo sé la cui costruzione aveva richiesto sessant’anni, era stato liquefatto e disperso sulla scena.
Psichedelia e politica, di Marco Cappato (pp. 143-148)
Se quanto detto finora corrisponde al vero, allora l’impegno alla promozione di queste sostanze deve tradursi anche in attivismo politico. In particolare, si tratterebbe di rimuovere gli ostacoli legali e burocratici che vietano la libera circolazione degli psichedelici. L’urgenza, secondo l’autore, è quella di garantire che «la conoscenza e comprensione del funzionamento della mente attraverso gli effetti di alcune sostanze, nonché il valore curativo di tali sostanze si traduca in protocolli terapeutici che entrino a pieno titolo nei sistemi sanitari nazionali e sovranazionali» (p. 146).
I capisaldi della lotta contro il proibizionismo sono più che mai attuali: 1) è ingiusto limitare l’autodeterminazione individuale (soprattutto nel caso di sostanze letali né per chi ne fa uso né per le persone attorno) imponendo uno Stato Etico secondo cui ciò che è considerato giusto da chi detiene il potere debba essere imposto; 2) in ogni caso, il proibizionismo, giusto o sbagliato che sia, ha generato una serie di danni a livello sociale, politico e sanitario, alimentando peraltro l’economia del mondo criminale, come peraltro mostrato anche nella dodicesima edizione del 2021 del Libro bianco sulle droghe, iniziativa dell’associazione Forum Droghe, organo consultivo presso le Nazioni Unite.
Pseudoglossario, di Gregorio Magini (pp. 295-319)
Il senso di uno pseudoglossario psichedelico si rende necessario, secondo l’autore, perché in Italia, a differenza che nel mondo anglosassone, non c’è davvero mai stato un discorso pubblico di ampia portata sulle sostanze psicoattive, per cui molte persone, a torto o a ragione, si ritrovano a condividere la seguente posizione di Alberto Moravia:
Non amo le cose che modificano la droga del mio pensiero, cioè la droga che mi produco da me. Sì, so benissimo che mi drogo anch’io, con la scrittura. Anzi, io mi drogo con la mia immaginazione. Ma non vedo perché dovrei modificare il mio stato normale, aggiungerci qualcosa (p. 296).
Come riporta Magini, con o senza sostanze psicoattive, «non viviamo più in un’epoca in cui ci possiamo cullare nella sicurezza illusoria di poter vivere appieno, e forse nemmeno sopravvivere, nel proprio “stato normale”» (p. 296). Eppure, è forse scorretto trattare gli psichedelici alla stregua di ciò che il senso comune intende come semplici droghe. Terence McKenna scriveva che «un modo alternativo per pensare gli psichedelici è come catalizzatori cognitivi» (in DMT, Shake edizioni, Milano 2019, p. 63); in effetti, lo si è visto, l’etimologia stessa del termine indica qualcosa che dilata la coscienza umana. Da decenni è fatto noto, inoltre, che gli psichedelici non inducono dipendenza (Gerald Le Dain, The Non-medical Use of Drugs: Interim Report of the Canadian Government's Commission of Inquiry, 1971, p. 106). Queste sostanze possono davvero aiutarci a comprendere meglio la mente umana e il suo funzionamento; l’esperienza psichedelica, detto forse un po’ esageratamente, «è il passo di lato, rende tutti filosofi della mente» (p. 315), ci ricorda che la nostra vita mentale si fonda su basi essenzialmente fisiche, con tutto ciò che questa prospettiva comporta a livello culturale e religioso.
Pregiudizi culturali profondamente radicati spiegano perché la mente occidentale diventi improvvisamente ansiosa e repressiva quando contempla le droghe. I cambiamenti di coscienza indotti da queste sostanze rivelano in modo drammatico come le radici della nostra vita mentale abbiano basi fisiche. Le droghe psicoattive sfidano così il presupposto cristiano dell’inviolabilità e dello speciale status ontologico dell’anima umana. Allo stesso modo, sfidano l’idea dell’ego e delle sue strutture di inviolabilità e di controllo. In breve: gli incontri con le piante psichedeliche mettono in discussione l’intera visione mondiale di una cultura basata sul dominio (Terence McKenna, Il cibo degli dei, Piano B, Prato 2019, p. 26).
Appare dunque più che mai chiaro quanto, da un punto di vista umano e civile, quella psichedelica rappresenti una vera e propria scommessa.
A conclusione di questo “assaggio” al volume curato da Federico di Vita, voglio riportare la testimonianza di Albert Hofmann, scopritore dell’LSD. Nel 2007 Hofmann occupò il primo posto nella classifica dei Top 100 geniuses, a pari merito con Tim Berners-Lee, creatore del World Wide Web. In LSD. Il mio bambino difficile, Feltrinelli, Milano 2015, p. 167, descrive con fascino l’esperienza psichedelica, evidenziando quanto l’alterazione dei normali stati di coscienza possa contribuire ad un ripensamento di tutto ciò che consideriamo, a torto o a ragione, “reale”:
Qual è la caratteristica e fondamentale differenza tra la realtà ordinaria e l’immagine del mondo esperita durante l’inebriamento con l’LSD? Negli stati usuali di coscienza l’io e l’ambiente esterno sono separati; il soggetto sta di fronte al mondo, che si è trasformato in oggetto. Con l’LSD i confini tra l’io conoscente e ciò che sta di fronte più o meno svaniscono, a seconda dell’intensità dell’inebriamento. Ha luogo una reazione fra il ricevitore e il trasmittente. Una parte dell’io straripa nel mondo esterno, nelle cose, che si animano e assumono un significato diverso e più profondo. Questa esperienza, che si accompagna alla perdita dell’io su cui facciamo sempre affidamento, può essere estatica o assumere i tratti demoniaci del puro terrore […]. In entrambi i casi, spesso della durata di un solo eterno istante, viene percepita quella dimensione da cui traspare il fulgore della realtà trascendentale.
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