«Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido». Con queste parole si apre il Manifesto tecnico della pittura futurista, redatto nel 1910 e firmato dai maggiori esponenti di quello che noi chiamiamo Primo Futurismo. In poche righe il gruppo porta alla luce la propria tensione artistica: siamo nel 1910, il mondo è affascinato dalle nuove tecnologie, dalle lampade a gas, dalle fabbriche, dagli automobili (in questo preciso momento è ancora stato modificato il genere del sostantivo); la città e l’industria sono al centro della riflessione del periodo, e con queste anche la volontà di superare i limiti dell’uomo, di muoversi oltre.
Per meglio comprendere l’interesse che un ristretto gruppo di artisti all’inizio del Novecento nutre per il dinamismo è necessario rimuovere dalla nostra visione della società le comodità ormai quotidiane, immedesimarsi nella prospettiva e nella percezione dell'individuo degli albori del XX secolo e domandarci che impatto deve aver avuto l’avvento dell’automobile in un sistema che fino a quel momento aveva concepito i propri spostamenti a cavallo, eventualmente in treno, ma mai con un mezzo motorizzato del genere. L’automobile, la meccanica, l’automazione, la tecnica nella sua linea più ampia, hanno fatto irruzione nel sistema moderno, instaurandosi sempre più a fondo, al punto da elevarsi, nella mentalità dell’uomo contemporaneo, al rango di necessità irrinunciabili, quindi ordinarie.
Nei decenni conclusivi dell’Ottocento, fino ancora al primo decennio del Novecento, vengono pubblicate odi, saggi, libri, nei quali si esaltano con entusiasmo sempre maggiore l’automobile e la sua velocità; il «ferreo mostro» è l’oggetto della ode À l’Automobile de course, scritta nel 1908 da Filippo Tommaso Marinetti, teorico e fondatore del movimento futurista. Le nuove realtà descritte hanno rapito l’ingegno di un gruppo di intellettuali e artisti dei quali si cercherà di offrire un’analisi che possa invitare il lettore a guardare con occhio nuovo le soluzioni da questi proposte, integrandole con le concezioni sociali, economiche, politiche e artistiche proprie del periodo che le ha viste nascere e diffondersi.
L’avanguardia del Primo Futurismo, da qui in poi Futurismo, ha un corso piuttosto movimentato, scosso da proteste, resse, tumulti di guerra, terminando drasticamente nel 1916 con la morte improvvisa del suo più illustre esponente artistico: Umberto Boccioni. A questo punto è naturale che il lettore si chieda come mai, nonostante sia stato Marinetti a pubblicare il Manifesto Futurista nel 1909, sia però con Boccioni che termini il percorso del movimento. La ragione di ciò è da ricercarsi nelle elevatissime soluzioni a cui quest'ultimo giunge, sia come artista che come teorico.
Nella produzione di questo artista riusciamo infatti a cogliere perfettamente il corrispettivo scultoreo e pittorico delle dichiarazioni enunciate nei Manifesti, e in misura maggiore, nei testi programmatici proprio da lui curati. Tra questi il più utile ai nostri fini è Pittura e scultura futuriste, dalle cui pagine risulta evidente come la concezione del dinamismo, figlio dell’avanzamento tecnologico di cui si è fatto precedentemente menzione, ricopra il duplice ruolo di chiave interpretativa e di soluzione produttiva di questo movimento.
Non è necessario menzionare in questa sede il ruolo che ha ricoperto il dinamismo nella storia dell’arte, tuttavia è comunque utile considerare come le esperienze precedenti avessero come oggetto la natura, declinata in forma umana o animale, ma in netto contrasto con la futura speculazione futurista. Su questa divergenza sarà lo stesso Boccioni a tornare più volte, sottolineando ripetutamente il primato del movimento futurista sulle varie correnti che avevano preso in esame la spazialità e il dinamismo nelle loro forme più generali, evidenziando la sostanziale differenza con il Cubismo, ritenuto un «procedimento razionale che vive nella relatività e non in un assoluto intuitivo», la cui traduzione artistica non è in grado di squadernare la molteplice realtà, perché «la nozione integrale dell’oggetto vive, con quel procedimento, nelle tre concezioni di altezza, larghezza, profondità, quindi, ripeto, nel relativo, nel finito della misurazione». In sostanza, un processo che si accontenta in qualche modo di ciò che percepisce e non si pone di ricercare la “quarta dimensione”, un elemento fondamentale che invece viene da subito riconosciuto come prerogativa del movimento futurista, parte del concetto che lo stesso Boccioni definisce come complesso.
L’artista considera le soluzioni a cui è approdato Picasso, e i cubisti con lui, un portato straordinario, riuscendo queste a «trasportare sulla superficie piana del quadro le parti dell’oggetto che ci sono nascoste dalla sua accidentale situazione prospettica» e a «utilizzare quello che suggerisce in noi la conoscenza tattile con quello che ci mostra la visione accidentale dell’oggetto». Ma allora è una mera conoscenza analitica quella che si genera sia nel produrre l’opera che nel fruirla, poiché si sottrae all’oggetto l’ambiente che partecipa dell’essenza dello stesso, sul quale si riflette inoltre ciò che Boccioni chiama, per l’appunto, dinamismo.
Contro questa scelta Boccioni si scaglia fortemente, poiché questo procedimento sterilizzerebbe la percezione, rimuovendo i caratteri emotivi del soggetto rappresentato. Per un artista futurista questo è contrario a ciò che è stato enunciato già nel Manifesto Tecnico della Pittura Futurista del 1910. Fin da subito è infatti chiaro ai futuristi che non si può porre alcuna differenza tra ciò che non è umano e ciò che lo è: una lampada soffre, spasima quanto può soffrire un uomo, e dallo strato pittorico deve emergere il sentimento dell’oggetto, perché ne è pienamente parte.
La scomposizione scientifica cubista viene apprezzata da Boccioni per il suo carattere necessario. Tuttavia, la ragione di questo tipo di destrutturazione è quella di ricercare l’origine della creazione del soggetto, scomponendolo in tutte le sue parti; ma per Boccioni l’arte è già creazione di per sé e richiede di agitarsi, tingersi di colori sgargianti, stravolgere le masse e mutare la propria percezione. Essenzialmente, l’opera ha necessità di esprimere il lirismo dell’artista, dell’ambiente, dell’arte stessa, approdando allo stato d’animo plastico.
Nella critica alle speculazioni cubiste Boccioni non si limita a dei giudizi negativi, ma offre anche delle soluzioni innovative. Il fine è quello di superare la mera concezione spaziale, unendo ad essa anche quella temporale, in modo da sviluppare nello spazio della rappresentazione, sia esso pittorico o scultoreo, una dimensione che attinga alle due menzionate precedentemente, in maniera tale da soddisfare la sua potenzialità plastica emotiva. Questa diviene quindi il soggetto dell’opera artistica, che a sua volta riassume in sé tutte le possibili declinazioni volumetriche e gli elementi simultanei, dinamici dell’oggetto. Il prodotto artistico, che si dia in tela o in scultura, si tramuta quasi in una testimonianza diretta, in una impressione di una realtà che ad occhio nudo sfugge all’osservatore non avvezzo e che l’artista con il suo genio è invece in grado di catturare. Tutte le trasformazioni subite dall’oggetto si mostrano simultaneamente all’osservatore, e tutto ciò che con esso entra in relazione, finanche le associazioni mentali che la mente umana è in grado di produrre, si collega con ogni elemento, anche attraverso la sola intuizione e permane sulla superficie. Citando direttamente Boccioni:
Non si tratta, come tutti credono, di fare soltanto una pittura astratta, intellettuale; si tratta oltre a ciò di attuare e rendere plastico e concreto, attraverso un raffinamento della sensibilità, quello che finora era considerato incorporeo, implasmabile, invisibile.
Il vento di novità che travolge i futuristi, ed Umberto Boccioni ne è il più attento seguace, viene sospinto dalla filosofia di Henri Bergson e dai testi da lui pubblicati una ventina di anni prima, tra i quali vi è il fondamentale Matière et Mémoire pubblicato nel 1896, le cui tracce, come ha sapientemente evidenziato Flavio Fergonzi nel saggio The Question of “Unique Forms”: Theory and Works, sono intessute fittamente all’interno del testo boccioniano pubblicato nel 1914. Fergonzi ha sottolineato le convergenze tra le analisi dell’artista e le teorie di Bergson, soprattutto per quanto concerne il soggetto come il centro delle rivoluzioni degli oggetti che agiscono intorno ad esso, e la teoria del movimento; concezioni queste che andranno a comporre la teoria del dinamismo plastico all’interno di Pittura e scultura futuriste, per divenire poi materia diretta delle sculture e delle tele fino alla 1915.
Della produzione scultorea dell’artista è rimasto veramente pochissimo: alcune opere sono state sfregiate e distrutte poco dopo la loro esposizione, così che, al fine di studiare le sculture di Boccioni, si deve necessariamente fare riferimento alle foto dell’epoca. Tra le opere perdute spicca la scultura in gesso del 1912, distrutta dopo il 1916, dal titolo Testa + Casa + Luce, dove il corpo massiccio di Cecilia Forlani, la madre dell’artista, si fonde con lo spazio attorno a lei, di modo che la casa, la luce, gli elementi quotidiani, entrano accidentalmente all’interno della figura e si riflettono sulla superficie di essa: davanti ai nostri occhi troviamo la naturale prosecuzione delle atmosfere luminose dell’impressionismo e delle geometrie analitiche cubiste plasmate in scultura.

Umberto Boccioni, 1912, Head + House + Light (Testa + casa + luce), (Tête + maisons + lumières). Sculpture destroyed. (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Umberto_Boccioni,_1912,_Head_%2B_House_%2B_Light,_sculpture_destroyed.jpg). This work is in the public domain in its country of origin and other countries and areas where the copyright term is the author's life plus 70 years or less.
Si giunge così alla sintesi dell’ambiente scultoreo mentre i piani si compenetrano attorno a noi, e le immagini vibrano di dinamismo. Boccioni riesce ad imprimere alla materia una caratteristica propria della realtà, perché lo spazio fisico che circonda il soggetto si fonde con lo spazio proprio di questo, esattamente come aveva scritto l’artista:
dinamismo è la concezione lirica delle forme interpretate nell’infinito manifestarsi della loro relatività tra moto assoluto e moto relativo, tra ambiente e oggetto, fino a formare l’apparizione di un tutto: ambiente + oggetto. [...] Tra moto di rotazione e moto di rivoluzione, insomma è la vita stessa afferrata nella forma che la vita crea nel suo infinito succedersi.
Con Umberto Boccioni non è solo il futurismo a toccare il proprio apice, ma una nuova concezione della produzione plastico-pittorica, iniziata con gli impressionisti, a cui hanno fatto seguito la speculazione cubista e le soluzioni tanto care a Boccioni di Medardo Rosso; così lo stile diviene vario e sperimentale, e in scultura possiamo trovare sviluppi volumetrici e allungati, talora vuoti, talora pieni, come i “volumi d’aria” di Longhi, in grado di fluttuare leggeri e quasi sciogliersi nel loro ambiente.
Queste stesse linee possono però anche tendere ad una semplificazione essenziale, divenire segno grafico, in grado di rappresentare l’essenzialità del movimento e della materia, e, come scrive Longhi nella rivista «La Voce», la linea dritta o curva possiede un valore assolutamente strabiliante.
Con queste poche righe, si è cercato di offrire una nuova chiave di lettura del movimento, nella speranza di creare nel lettore il desiderio di approfondire i contenuti e gli stilemi di questo uomo rivoluzionario, che «deformato da nessuno [...] spaccò tutti e due (la tragica miseria e l’ambiente artistico) con una acutissima gomitata di montagna in terremoto sfondando il basso cielo plumbeo dell’arte italiana».
Per saperne di più:
Nel caso in cui si voglia consultare qualche volume al riguardo, si consiglia la lettura del saggio di Mario de Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, pubblicato nel 1986 per l’editore GianGiacomo Feltrinelli, di cui si è consultata la quarantanovesima edizione. Per leggere le critiche di Umberto Boccioni riportate in questo scritto si suggerisce la lettura di Pitture e Scultura Futuriste, edito dall’Abscondita all’interno della collana Carte d’Artisti nel 2006, pubblicato per la prima volta nel 1914 per le Edizioni Futuriste di “Poesia”.
Si consigliano inoltre i due cataloghi:
- Italian Futurism 1909-1944 Reconstructing the Universe, curato da Vivien Greene per il MoMA di New York nel 2014.
- Illuminazioni. Avanguardie a confronto. Italia – Germania – Russia, curato da Ester Coen all’interno della mostra Futurismo100 organizzata da MART di Rovereto.