Per la maggior parte delle persone un mobile non è che un insieme di elementi piatti che si muovono nel vuoto. Eppure per alcuni può essere poesia.

Con queste parole definiva i suoi lavori più famosi Alexander Calder (1898-1976), uno dei più grandi artisti americani del secolo scorso, autore di opere sorprendenti, gioiose ed estremamente poetiche, caratterizzate da un equilibrio dinamico e calibratissimo, capaci di superare i limiti dei supporti materiali e di generare il movimento dalla bidimensionalità, la leggerezza dalle strutture massicce e l'organicità dai sistemi meccanici.

Calder nasce nel 1898 a Lawton, quartiere periferico di Filadelfia, figlio e nipote d'arte: il padre e il nonno sono scultori accademici, la madre è una ritrattista professionista. Malgrado tali premesse e un precoce talento, il giovane Calder non aspira alla carriera artistica e si iscrive allo Stevens Institute of Technology di Hoboken, presso il quale si laurea in ingegneria meccanica nel 1919. Le molte competenze acquisite in fisica e meccanica durante gli anni di studio allo Stevens si sarebbero in seguito rivelate sorprendentemente utili per la sua attività artistica e lo avrebbero reso in grado di calibrare sapientemente l'equilibrio delle sue opere e di affinare la cura nella scelta dei materiali.

Calder decide di dedicarsi all'arte solo diversi anni più tardi, dopo aver svolto lavori di ogni tipo e dopo aver viaggiato per tutta l'America. Una mattina del 1922, dal ponte del mercantile sul quale si era imbarcato osserva il cielo del Guatemala e la vista dell'alba è per lui folgorante: il sole fiammeggiante, perfettamente sferico nel suo sorgere, e la luna che, ancora alta nel cielo, riflette la distesa argentea del mare lo sconvolgono e diventano uno dei soggetti prediletti delle sue gouaches. L'evento è per lui una rivelazione e la necessità di rappresentare quel fenomeno lo porta a iniziare la sua formazione artistica come pittore; se non che abbandona presto tela e cavalletto per cominciare a modellare sagome di carattere figurativo con il filo di ferro, materiale di cui individua presto le potenzialità creative. Tali sagome diventano progressivamente più elaborate fino a trasformarsi in veri e propri ritratti, che a loro volta si evolvono e diventano sculture in miniatura, giocattoli sottilmente ironici che abitano un mondo straniato e orgoglioso della propria bizzarria: nasce nel 1926 il Circo Calder, opera composita e multiforme, i cui protagonisti sono piccole creature insolite e curiose in bilico tra la staticità della scultura e la possibilità di movimento suggerita dal carattere giocoso della creazione. È Calder, moderno demiurgo, che anima i piccoli circensi esplorando le possibilità del suono e del movimento in esperienze proto-performative.

Nello stesso anno della grande svolta nel proprio percorso artistico Calder compie il suo primo viaggio in Europa e si ferma a Parigi, la cui atmosfera innovativa e sperimentale si configura subito come il necessario ambiente d’avanguardia entro il quale lo scultore matura le idee più pregnanti, e viene a contatto con i più grandi artisti del tempo, tra cui Joan Miró, Marcel Duchamp e Vasilij Kandinskij. Di fronte a loro e a László Moholy-Nagy, Piet Mondrian, Pablo Picasso, Hans Arp, Fernand Léger e Naum Gabo, Calder allestisce i suoi inconfondibili spettacoli suscitando nel pubblico ilarità e meraviglia, con la consapevolezza di aver raccolto l'eredità del Cabaret Voltaire.

Da ognuno degli artisti d'avanguardia che incontra a Parigi Calder trae ispirazione e si lascia influenzare nello sviluppo della sua poetica: le opere di Kandinskij, di Klee e di Mondrian sono fondamentali per il suo avvicinamento all'Astrattismo, tanto che negli anni Trenta entra a far parte del gruppo parigino Abstration-Création. Da quel momento il suo lavoro prosegue all'insegna dell'essenzialità e della riduzione delle forme. Agli artisti parigini, amici e mentori, dedica numerose opere celebrando il loro stile: è questo il caso di Omaggio a Chagall del 1944 o di Ritratto di Fernand Léger (1930 circa).

Estremamente affascinato dallo stile di Paul Klee e Joan Miró_,_ dipinge numerose gouaches che, fondandosi su linea, forma e colore, verranno ritenute in grado di rivaleggiare con le opere degli stessi astrattisti.

Tuttavia Calder sente presto la necessità di andare oltre: porta così avanti la sua sperimentazione dando vita a opere non più bidimensionali ma emergenti dal loro supporto, supporto che è sempre meno individuabile in quanto tale: nascono opere definite proto-mobiles, installazioni in cui una tela o un pannello bidimensionale accostato o appeso ad un muro viene circondato o sormontato da elementi di vario genere (lamine di metallo, filo di ferro, steli d'acciaio) che vengono assemblati su parte di tale supporto o che con l'ausilio di strutture metalliche appositamente create ondeggiano davanti al loro sfondo, talvolta sfiorandolo. L'instabilità dell'opera genera il movimento: i ritagli di carta e i fili di metallo sono mossi dal vento, dall'avanzare dei passanti o da motori opportunamente inseriti, che rendono queste opere sistemi meccanici autonomi, in cui i materiali di composizione sono sempre più insoliti e sempre meno materiali. Le ombre, che giocano già un ruolo importante, saranno poi ampiamente sfruttate nelle serie degli Universes e delle Constellations e in seguito nei mobiles, attraverso i quali Calder approderà all'opera tridimensionale, abbandonando l'uso di supporti o di sfondi bidimensionali, ancora indispensabili per l'artista in opere come Forma su sfondo giallo (1936).

Emerge progressivamente nell’opera d’arte l'importanza dell'elemento immateriale, integrato da Calder sempre più sistematicamente e ostinatamente: suono, luce, vuoto e movimento entrano nel suo lavoro, che diventa strumento di ricerca su di essi, sulla percezione del tempo e dello spazio e sull'influenza che il loro variare ha sulla creazione, ponendo quest'ultima in continuo dialogo con l'ambiente esterno e con se stessa.

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Red Panel, 1936; Compensato, lamiera, tubi, filo, corda e colore, 243,8 x 152,4 cm; New York (NYS), Fondazione Calder

Grande appassionato di astronomia, Calder inserisce numerosi riferimenti ad hoc nei suoi lavori e adotta come indiscusso modello creativo il sistema planetario in quanto infinito meccanismo generatore di caos e di equilibrio. Come afferma negli anni Trenta, la forma della sua opera scaturisce «dall'immagine del sistema dell'universo, o di una parte di esso. Un grande modello a cui ispirarsi. E penso all'immagine di corpi distaccati, sospesi nello spazio, con forme e densità diverse, magari anche colori diversi [...], alcuni fermi, altri in movimento [...]».

Non a caso le opere a cui Calder si dedica nei Trenta e Quaranta sono delle installazioni con supporto costituite da fili di ferro che collegano piccoli corpi lignei o metallici, volte a simulare universi in miniatura. In esse l'equilibrio si configura come incontro-scontro, tensione-rilassamento e dare-ricevere nei confronti dell'universo, fino a creare un canale infinito di dinamismo ed energia scambievole, in bilico tra atomi, micro-cosmi e universi.

Queste opere, che si articolano nella serie degli Universes e delle Constellations, manifestano ancora una volta l'importanza attribuita da Calder all'interazione dell'opera d'arte con lo spazio circostante e sanciscono a tutti gli effetti la nascita dei mobiles. Alcuni di questi lavori possono infatti muoversi parzialmente o interamente, talvolta animati da un motore posto nel baricentro della composizione. L'uso di elementi meccanici si rivela importante in termini di ritmo, in quanto il movimento della struttura, scandito da suoni e rumori ricorrenti, delinea e misura il tempo che entra così a far parte dell'opera insieme allo spazio, in una composizione polimaterica, polisensoriale e polidimensionale.

Il debito nei confronti delle avanguardie è riscontrabile anche in queste opere e si manifesta nella volontà di Calder di dedicare uno dei suoi Universes a Marcel Duchamp: nel 1932 fa la sua comparsa Il mobile con motore che piaceva a Duchamp, ribattezzato nel 1968 La bicicletta per sottolineare ulteriormente il legame tra il celebre ready-made dell'artista francese Ruota di bicicletta (1913) e il mobile realizzato da Calder.

Cos'è dunque un mobile? Calder in persona ne fornisce una definizione:

Un mobile è una scultura astratta costituita principalmente da lamine di metallo, supporti d'acciaio, filo di ferro e legno. Alcuni o tutti questi elementi si muovono, animati da motori elettrici, dal vento, dall'acqua o a mano.

Tra i mobiles più famosi è doveroso citare Rosso Trionfante (1959-1963) e Pavone (1941). In queste sculture mobili, esempio eccellente di arte cinetica con influenze costruttiviste, l'equilibrio è fine, mezzo e ricerca. Nel suo costante mutare, esso è insieme punto d'arrivo e punto di partenza. La scultura è rivoluzionata: essa non avrà più condizione permanente ma muterà ad ogni soffio di vento e sarà uguale e diseguale a se stessa; non sarà più osservata da un solo punto di vista poiché questi si moltiplicheranno all'infinito, così come infinite saranno le combinazioni tra equilibrio, orientamento e mutevolezza dell'opera. Ogni possibilità di esistere dell'opera si afferma come scultura: la stabilità come carattere intrinseco di quest'ultima è abolita a favore del movimento e della dinamicità, capace di generare soluzioni inedite ed estremamente interessanti. Gli elementi dei mobiles, come dice Calder, «danzano con la gioia di vivere» e coinvolgono l'osservatore che è chiamato a prendere parte all'esperienza artistica, a provocare una variazione di equilibrio, un rinnovamento continuo dell'opera di cui egli diventa elemento fondante unendosi a spazio, tempo e movimento. Lo spettatore, inevitabilmente coinvolto, riflette sulle potenzialità dei corpi nello spazio e sperimenta l'incidenza che un'azione, un gesto o una presenza possono avere sull'opera e sull'universo.

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Lobster Trap and Fish Tail, 1939; Mobile, metallo dipinto, corda e foglio di alluminio, 260 x 290 cm; New York (NYS), MoMA

Come Duchamp nel 1931 era stato autore dell'espressione "mobile", così nel 1932 un altro artista dei "parigini" conia il termine "stabile" in riferimento alle sculture astratte autoportanti di Calder: Hans Arp indica con questa dicitura le costruzioni metalliche statiche di dimensioni inizialmente contenute diventate poi monumentali tra gli anni Sessanta e Settanta. Il materiale costitutivo è in larga parte l'acciaio, utilizzato in ampie piastre tenute insieme da chiodi e bulloni. La ricerca dell'equilibrio è al centro anche di questi lavori, concepiti come composizioni di movimento, come organismi armonici. Nel realizzare queste opere, Calder si definì «interessato principalmente allo spazio, alle dimensioni vettoriali e ai diversi centri di gravità». Gli stabiles più famosi assumono forme biomorfiche o animali, come Balena (1937) e Fenicottero (1973), in linea con l'interesse di Calder per le corrispondenze tra i fenomeni naturali e le forme geometriche.

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Flamingo, 1973; Stabile, acciaio dolce, 16,2 x 7,3 x 18,3 m; Chicago (IL), Federal Central Plaza

La ricerca di equilibrio e dinamismo di Calder rimane costante nel corso della sua carriera e lo porta a sperimentare continuamente, spesso rielaborando le sue stesse opere: nascono, oltre ai mobiles e agli stabiles, gli standing mobiles, ovvero mobiles con base fissa, e i mobiles-stabiles, straordinarie sculture per lo più monumentali e spesso site-specific che integrano perfettamente la stabilità massiccia delle opere statiche con la leggerezza aggraziata dei mobiles, di cui sono emblematici Spirale, realizzato per la sede dell'UNESCO nel 1958, e Ventitré fiocchi di neve del 1975, opera di grande poesia. Seguono a queste creazioni i gongs, ossia mobiles costituiti da elementi metallici che, mossi dal vento, producono particolari effetti acustici, e sono esempio della volontà di Calder di riprendere e portare avanti le ricerche sulla sonorità e sulle potenzialità acustiche dei materiali, esplorate in forma farsesca nei suoi cirques alla fine degli anni Venti_._

Movimento e stabilità, caos ed equilibrio, solidità e leggerezza, tensione e armonia: queste le dicotomie fondanti della poetica di Calder, questi i punti di partenza e di arrivo della sua ricerca, attuata sperimentando sempre nuovi materiali, nuove forme e nuove dimensioni. Calder ha raggiunto la massima espressività con la tridimensionalità, mescolando e bilanciando insieme spazio, tempo, suono, forma, colore e movimento in una danza armonica e calibrata con l'intento di coinvolgere i nostri sensi e fornendoci un inedito punto di vista su noi stessi e sulla nostra relazione con gli altri e con l'universo, mostrandoci il valore della nostra presenza (come centri di gravità, vettori o agenti esterni e interni) nel calibrare l'equilibrio di un sistema che non ci racchiude per limitarci, ma che ci invita a espanderlo e a espanderci in esso, creando nuovi equilibri di corpi che nel loro incontro e scontro generano le forme essenziali della vita.

Per saperne di più:

Jacob Baal-Teshuva, Alexander Calder, Köln, Taschen, 2006;

Giovanni Carandente (a cura di), Calder, catalogo della mostra retrospettiva tenutasi a Torino al Palazzo a Vela dal 2 luglio al 25 settembre 1983, Milano, Electa Editrice, 1983.

Immagine di copertina da National Archives  licenza CC BY-NC 2.0, libera per usi commerciali, attribuzione non richiesta
Immagine  Red Panel da Metal Chris su flickr, licenza CC BY-NC 2.0, libera per usi commerciali, attribuzione non richiesta
Immagine Lobster Trap and Fish Tail. Roxbury, Connecticut, 1939  da isabelle su flickr, licenza CC BY-NC 2.0, libera per usi commerciali, attribuzione non richiesta
Immagine Alexander Calder @ Federal Plaza (Flamingo, 1974) da Achim Hepp su flickr, licenza CC BY-NC 2.0, libera per usi commerciali, attribuzione non richiesta

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