Il Purgatorio di Dante Alighieri non è soltanto il secondo regno descritto nella Commedia dove, come confermano i versi 5-6 del Purgatorio (1308-1312), «l’umano spirito si purga / e di salire al ciel diventa degno», rappresenta anche un argomento di gran discussione tra teologi, studiosi, scienziati e uomini della chiesa nel contesto della riorganizzazione scolastica del XIII secolo. Il sommo poeta, in effetti, non ha inventato il Purgatorio, piuttosto lo ha ereditato da una tradizione che lo ha preso in considerazione prima e fatto trionfare dopo di lui.
A tal proposito, esemplificativo è anzitutto il Liber Sententiarum (1150-1152) di Pietro (o Pier) Lombardo (1096-1160), un’opera di sistemazione che diverrà ben presto il manuale degli apprendisti teologi, quello da studiare per formarsi o da commentare per confrontarsi su temi quali il condizionamento fisico o le coordinate dello spazio. Come questo, in seguito, anche Alessandro di Halès, Guglielmo di Alvernia, Bonaventura da Bagnoregio, Tommaso d’Aquino o Alberto Magno figureranno come teologi e scrittori, alternandosi sulla scena religiosa e culturale al fine di dare una definizione più completa di Purgatorio. Ciò non toglie però che, anche durante i mutamenti sociali e politici quali le condanne o le censure poco favorevoli alla ricerca teologica, la discussione sul Purgatorio rimanga comunque centrale. Sarà, infatti, grazie a questo prolungato soffermarsi sul tema che, pur essendo inizialmente solo “infernalizzato” – considerato cioè più simile all’Inferno – il Purgatorio sarà sempre più definito nel suo luogo e nel suo aspetto.
Già sul finire del Duecento, tra gli ultimi teologi, grande importanza riveste Guglielmo di Alvernia (1190-1249), il vescovo di Parigi che abbozza una geografia dell’aldilà nel suo De universo (1231-1236), uno dei trattati meglio articolati tra quelli inseriti nel Magisterium divinale sive sapientiale (1223-1240), ove compare anche il Purgatorio, «luogo specifico […], distinto dal Paradiso terreste, dall’Inferno e dalla nostra dimora» ma ancora da definire. Sebbene sia certo dell’esistenza di un Empireo come luogo della beatitudine in alto e di un Inferno come luogo dell’infelicità umana in basso, ipotizza che esista un luogo a metà tra i due, cioè nel mondo dei vivi, in continuazione con la purgazione delle colpe terrene per coloro che non hanno avuto modo, tempo e luogo per attuarla in precedenza. Alla stregua dei suoi contemporanei, consapevole soltanto dell’obbligatorietà dell’espiazione del peccato tramite un castigo o una penitenza, non sembra avere una gran contezza della localizzazione del Purgatorio (dice infatti «nulla lex vel alia scriptura determinat»), sicuramente però distinto dal e più popolato del basso Inferno.
Spostandoci temporalmente di poco, Alessandro di Halès (1185-1245), uno dei primi teologi ad aver spiegato Aristotele e ad aver glossato Libri Quattuor Sententiarum (1150) di Pietro Lombardo, discute del Purgatorio, all’interno del del IV libro, nella Glossa sulle Sentenze di Pietro Lombardo (1223-1229). Nel conciliare le diverse posizioni sull’esistenza di un fuoco purgatoriale, egli conferma l’esistenza del Purgatorio, inteso ora come luogo di espiazione del peccato e di completamento della penitenza, alla luce di una iniziale visione del dolore e della sofferenza, per coloro che non si siano purificati in vita e si accingano a completare la loro purgazione. Lo inquadra, più precisamente, come rappresentante della speranza, in quanto «anticamera del Paradiso» o ancora «aldilà provvisorio della maggioranza degli uomini, dei defunti», ma pone anche un altro importante problema: quello della giurisdizione, da cui dipende l’anima da purgare. Distingue tra un foro ecclesiastico, costituito dalla Chiesa e legato alla vita terrena, e un foro divino, cioè un Dio detentore di un potere nell’aldilà, i quali, rispetto al Purgatorio, è come se si congiungessero in un pariage, ovverotramite un trattato tipico dell’epoca medievale, per giudicare i defunti meritevoli di suffragi, indulgenze o offerte.
Maestro di teologia a partire dal 1253, Bonaventura da Bagnoregio (prima Giovanni Fidanza) (1221-1274) compone Scritto sulle Sentenze (1250-1256) su Pier Lombardo, dando spazio – come i predecessori – ad alcune considerazioni sul Purgatorio. Fulcro del suo pensiero è la pena purgatoriale che, distinta da quella terrena, si configura come più pesante e maggiore tra le pene temporali. Per quanto possa esser volontaria, secondo il teologo, si desidera più una ricompensa che non l’espiazione della pena, rimanendo per i dannati altrettanto indispensabile al raggiungimento del fine celeste. Il Purgatorio sembra qui non solo un luogo di passaggio e di speranza, ma anche un territorio neutro più verso sopra: le anime purgate, infatti, possono innalzarsi con l’aiuto degli angeli buoni e godere della luce di Dio. Ciò non toglie che «il luogo del Purgatorio è probabilmente, secondo la legge comune, di sotto, ma si trova in mezzo secondo l’economia divina»: è come se, muovendosi un po’ sul piano della legge comune e un po’ su quello del piano divino, ponesse il Purgatorio in una dimensione vicina rispettivamente al sottoterra o a una posizione intermedia. Rispetto ad altri teologi si sforza di distinguere anche una geografia dell’aldilà prima e dopo della venuta di Cristo: se prima vi sono due luoghi legati alla dannazione infernale, uno per la pena dei sensi e l’altro per la pena della dannazione, dopo si registrano già Inferno, Limbo, Paradiso e Purgatorio, quasi a rivedere in quest’ultimo l’estrema conseguenza dell’Incarnazione divina. Crede solo vi siano più luoghi di purgazione, uno per ognuno che deve espellere una pena in un luogo diverso.
Nel frattempo, anche i domenicani finiscono per interessarsi a simili questioni, soprattutto Alberto Magno (-1280) e Tommaso d’Aquino (1225-1274), rispettivamente il primo in due opere distinte degli anni ’40 del Duecento, Summa de creaturis e Commentario alle Sentenze di Pietro Lombardo, e il secondo in De malo (1266-1267), Summa Theologiae (1265-1273) e Scriptum super libros Sententiarum (1254-1256) di Pier Lombardo e in vari scritti polemici contro musulmani, greci, armeni e gentili.
Secondo Magno, i luoghi delle pene sono ben 4: Inferno, Purgatorio, limbo dei bambini e limbo dei Padri. Già nel De resurrectione, il trattato che avrebbe dovuto chiudere la Summa de creaturis, il Purgatorio viene rappresentato come un luogo (nello specifico, la parte superiore e più vicina all’Inferno) dove espellono le proprie pene quelle anime, mancanti della visione di Dio, che godono sia della luce della fede sia della grazia. Magno riprende, tra l’altro, il tema classico dei ricettacoli delle anime, chiedendosi se siano dei luoghi definitivi o di passaggio per quest’ultime: in base alla prima ipotesi, riporterebbe al regno dei cieli in caso di gloria, al limbo dei bambini con la pena della dannazione o, ancora, al Geena (quindi ad un luogo infernale) in presenza della pena dei sensi e della dannazione; nel secondo caso, invece, al limbo dei Padri per la sola pena della dannazione o al Purgatorio qualora si trattasse della pena dei sensi o della dannazione stessa. Un ulteriore punto di vista riguarda, invece, la questione del merito, secondo la quale parrebbe possibile distinguere il buono, il cattivo o il buono e il cattivo insieme, confacendosi a questi rispettivamente il regno dei cieli, il Geena o il limbo dei bambini a seconda del peccato (personale o estraneo), il Purgatorio o il limbo dei Padri in base alla colpa (personale o estranea). Pur non avendo molta contezza della sua localizzazione, Magno finisce per distinguere Purgatorio e Inferno, dando seguito sia alla logica e al confronto con gli altri teologi sia all’immaginazione, anche se elaborerà una delle migliori esposizioni del sistema geografico dell’aldilà soltanto nel suo Commentario alle Sentenze di Pietro Lombardo in cui compaiono, difatti, l’Inferno (visto nel suo doppio livello di Geena e del limbo dei bambini), il Paradiso e il Purgatorio (unito al limbo dei patriarchi, chiuso e vuoto dopo la discesa di Cristo). Benché parta da Lombardo, l’obbligo di dare spiegazioni sulla natura del Purgatorio gli impone anche di cercare altre prove (per questo, infatti, si rifà al sistema dei suffragi per i morti o alla natura delle pene purgatoriali), riuscendo ad attuare un segno di cesura con il passato teologico e di influenza sui posteri tramite il suo stesso discepolo Ugo Ripellino (1205-1270).
Un importante passo in avanti si compie successivamente con Tommaso d’Aquino nella Somma teologica, nonostante non sia esattamente autentico e abbia subito dei rimaneggiamenti (il pensiero del teologo, infatti, sembra più rigido) da parte di un gruppo dei suoi discepoli che lo ha ricavato da altri scritti precedenti. Diverse sono le questioni affrontate, dalla resurrezione ai vari ricettacoli, anche sulla base della risposta a diversi articoli da lui individuati, come quello in cui definisce così il luogo post mortem delle anime:
«Poiché il luogo che è assegnato a un’anima corrisponde alla ricompensa o al castigo che essa ha meritato, subito dopo essersi separata dal corpo essa viene inghiottita dall’inferno o si invola verso il cielo, a meno che, in quest’ultimo caso, un debito verso la giustizia divina non ritardi il suo involo, costringendola a una purgazione preliminare.»
Pur considerandola più come una questione da affrontare e basta, egli continua sulla logica dei ricettacoli, tentando anche di differenziarne diverse tipologie (cinque, compresi Inferno e Paradiso) sul fondamento dei peccati (mortali, venali o originali) da espiare. Di base, in realtà, si possono prevedere infiniti ricettacoli sulla scorta del merito o del demerito, a seconda dei diversi stati delle anime: al momento della morte, chi si troverà nella condizione di ricevere la grazia andrà in Paradiso, chi in una negativa in Inferno, chi presenterà solo il peccato originale nel limbo dei bambini, chi non riceverà una retribuzione finale in Purgatorio (in questo caso la causa risiederebbe nella persona) o nel limbo dei Patriarchi (se dovesse derivare, invece, dalla natura). Per raggiungere la beatitudine, invece, serve una purgazione da ogni male, dunque un luogo dopo la morte, cioè il Purgatorio. D’altra parte, non affronta la questione relativa al suo essere intermedio quanto quella alla sua esistenza temporanea, ritornando sull’argomento nel Supplemento per interrogarsi sull’esistenza di un comune luogo per l’espiazione e per la purgazione dei peccati, nonostante la Scrittura non dica nulla e non esistano posizione certe o definitive. Oltre ad “infernalizzare” il Purgatorio o a porlo in una dimensione superiore, si mostra contrario anche all’idea che vi sia un luogo unico: le anime potrebbero piuttosto risiedere in una dimensione intermedia, di medietà, tra gli uomini e Dio. Importanti, infine, sembrano le sue considerazioni in merito alla durezza della pena o alla possibilità di produrre suffragi (preghiere, messe, elemosine et similia) per i dannati già defunti (ai beati non servono, di contro, poiché a loro non manca nulla) o ancora alla presenza di demoni, fantasmi e angeli buoni (Le Goff li definisce, non casualmente, come «vagabondi dell’aldilà»). Secondo Tommaso, le anime non potrebbero essere punite per ciò che hanno di superiore, ma solo per quanto, al contrario, presentano di inferiore, di simile al luogo dei peccati infernali.
Sebbene si interessi maggiormente al tema del fuoco purgatoriale, anche la Chiesa greca inizia ad elaborare delle prime formulazioni dogmatiche, seppur diverse da quelle degli eretici e in conflitto con la Chiesa latina, fondate su una credenza piuttosto vaga: pare che, dopo la morte, vi sia un riscatto, annesso a pratiche di suffragio da parte dei vivi, in un luogo chiamato Purgatorio. L’attestazione di tali pratiche, però, non perverrà subito, ma solo a seguito di tutte le controversie e discussioni affrontate durante il XIII secolo. Tramite queste, associato adesso anche alla pratica pastorale, il Purgatorio diviene una realtà consolidata, soprattutto un luogo riconosciuto, anche se il suo trionfo sarà pienamente definito nell’anno del Giubileo, indetto per la prima volta nel 1300 da papa Bonifacio VIII. Accedendovi soltanto dopo la morte, secondo Le Goff, si definirà pure uno schema temporale del Purgatorio:
«quale si esprime nelle apparizioni e si rivela nei rapporti tra i vivi e i morti, si può descrivere in questo modo: poco dopo la morte (qualche giorno o qualche mese, raramente di più) un defunto del Purgatorio compare a un vivo cui era legato su questa terra, lo informa più o meno diffusamente della propria situazione, dell’aldilà in generale e del Purgatorio in particolare, e lo invita a compiere personalmente, o a far compiere da qualche altro parente o persona vicina, o da una comunità, dei suffragi (digiuni, preghiere, elemosine e soprattutto messe) in suo favore. Gli promette di informarlo in una prossima apparizione circa l’efficacia (o l’inefficacia) dei suffragi compiuti. Tale apparizione può avvenire in uno o due tempi. Se si verifica una prima apparizione, il morto indica in genere al vivo quale parte della sua pena è già stata riscattata. Si tratta nella maggior parte dei casi di una quota singola, la metà o un terzo, che si materializza nell’apparenza esteriore del fantasma, il cui «corpo» (o la «veste») è per metà nero (parte ancora da riscattare), o per un terzo bianco e per due terzi nero, ecc.»
Frattanto, iniziano anche a comparire racconti, resoconti di viaggi e raccolte di exempla da parte di diverse realtà culturali o religiose che mirano a diffondere – come le definisce ancora Le Goff – vere «pietre miliari sulla via del Purgatorio». Accompagnato da questi, il sermone, spesso visto come forma narrativa qualunque, diventa uno dei mezzi di comunicazione più efficace per diffondere un messaggio chiaro, breve e semplice ai fedeli. In tal senso, non bisogna certo dimenticare l’esempio del monaco Corrado di Baviera (1105-1126/27), del teologo Giacomo da Vitry (1180-1240) o di alcuni tra i cistercensi e i domenicani come Cesario di Heisterbach (1180-1240) o Stefano di Bourbon (1190-1261) e dell’associazione delle beghine con Santa Lutgarda (1182-1246). Sarà, tuttavia, solo in occasione della comparsa di Dante che, davvero, il Purgatorio diverrà centrale e legittimato all’interno delle narrazioni: la Commedia infatti, un’opera unica, segnerà il proprio secolo e quelli a venire con le sue tre cantiche.
Per saperne di più:
Per una più distesa e approfondita esposizione relativa al tema del Purgatorio si rimanda direttamente a J. Le Goff, La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino, 1981. Mentre, per approfondire i dettagli del viaggio dantesco nei tre regni oltre mondani, è consigliata l’agevole lettura di G. Ledda, Dante, Il Mulino, Bologna, 2008 (inserito nella collana Profili di storia letteraria).