Ero assorto nei miei pensieri. Rimuginavo fra me e me alcune parole che erano uscite per caso dalla bocca del mio nipotino più piccolo, un promettentissimo Esagono di lucentezza inconsueta e di perfetta angolarità. I suoi zii e io gli avevamo fatto la solita lezione [...]. “Sappiamo che 3², o 9, rappresenta il numero dei centimetri quadrati di un Quadrato che abbia il lato di 3 centimetri di lunghezza”. Il piccolo Esagono meditò un poco su questa affermazione e poi mi disse: “Ma tu mi hai insegnato a innalzare i numeri alla terza potenza: anche 3³ avrà dunque un significato in Geometria; qual è questo significato?”. “Nessun significato,” risposi io “almeno, non in Geometria; perché la Geometria non ha che Due Dimensioni”.

Con queste parole, il protagonista di Flatlandia – Racconto fantastico a più dimensioni, un affascinante romanzo scritto da E. A. Abbott nel 1884, ci fa capire quanto sia difficile concepire un mondo con una dimensionalità diversa da quella che i sensi percepiscono. Il protagonista del racconto è infatti un quadrato che vive in un mondo bidimensionale e non riesce a immaginarsi quale senso fisico possa avere una terza dimensione, per quanto suggerita in maniera razionale e naturale dalla matematica. Non è difficile generalizzare questo interrogativo al mondo tridimensionale che esperiamo quotidianamente: l’astrazione matematica può suggerirci che abbia senso parlare di un numero di dimensioni maggiore di tre, ma è difficile assegnare intuitivamente un significato fisico e percepibile a dimensioni aggiuntive.

Questo interrogativo ha largamente stuzzicato la mente umana ben oltre il romanzo di Abbott, da racconti fantascientifici fino al grande schermo, ma non solo: molte teorie fisiche tentano di descrivere la realtà con un numero di dimensioni superiore a tre. Senza bisogno di cercare teorie tra le più esotiche (non che non ce ne siano), un esempio ne è il formalismo universalmente accettato del cosiddetto spazio-tempo quadridimensionale di Minkowski. Questo formalismo sta alla base della formulazione matematica della teoria della Relatività Ristretta, una teoria così profonda da ricoprire il ruolo di teoria-quadro con cui tutte le altre teorie fisiche attualmente accettate devono essere compatibili. Forse il nome di Minkowski non è particolarmente familiare, ma l’idea di spazio-tempo è ormai entrata nel linguaggio e nell’immaginario collettivo, probabilmente non senza una certa aura di mistero.

Prendendo in prestito le parole dello stesso Einstein,

Il non-matematico è colto da un brivido misterioso quando sente parlare di cose quadridimensionali, da un sentimento non dissimile da quello suscitato dai pensieri dell’occulto. Eppure non c’è affermazione più di senso comune che il fatto che il mondo in cui viviamo è un continuum spazio-temporale quadridimensionale.

Proviamo quindi ad analizzare quello che Einstein definisce una «affermazione di senso comune», a vedere, cioè, come va inteso questo formalismo quadridimensionale.

Il nocciolo dell’idea è considerare il tempo a tutti gli effetti come una quarta dimensione, poiché la realtà in cui ci troviamo è inevitabilmente immersa nel tempo, che gioca il ruolo di coordinata esattamente al pari delle coordinate spaziali: per identificare in maniera univoca un evento è necessario specificare sia il punto dello spazio in cui avviene sia l’istante temporale in cui si verifica. La teoria della Relatività propone una descrizione della realtà basata su eventi e si interroga su come questa descrizione cambi in base al sistema di riferimento da cui si osserva un certo evento. Uno dei tratti meno intuitivi è che nel passaggio da un sistema di riferimento a un altro le coordinate spaziali e temporali non rimangono nettamente distinte, bensì si mescolino.

Ma arriviamo ora alla domanda che ci interessa: come va inteso questo formalismo quadridimensionale?

Innanzitutto proviamo a chiarire cosa si intende per “dimensione”. Le tre dimensioni del mondo fisico cui siamo abituati a pensare sono altezza, larghezza, profondità: usiamo la parola “dimensione” per formalizzare concetti intrinsecamente legati alla percezione della realtà fisica.

Tuttavia, in fisica è comune utilizzare il termine “dimensione” anche in maniera più astratta: quando si vuole descrivere un sistema, bisogna specificare un certo numero di parametri per caratterizzarne in maniera completa lo stato. Per esempio, per descrivere un sistema composto da N corpi dovremo specificare la posizione e la velocità di ciascuno di essi, cioè in tutto 2N parametri. Possiamo rappresentare ognuno di essi su un asse, e avremo bisogno di uno spazio con 2N assi, cioè 2N dimensioni, in cui il nostro sistema è rappresentato da un punto che si muove al variare del valore dei parametri. Ma non stiamo certo dicendo che la realtà ha 2N dimensioni: quello che usiamo è uno spazio astratto, che ci serve per trovare una descrizione matematicamente semplice e compatta.

A questo punto possiamo chiederci: quando si parla di spazio-tempo quadridimensionale, con quale delle due accezioni stiamo usando la parola “dimensione”? Introdurre il tempo come quarta dimensione è un’affermazione effettiva sulla realtà o è semplicemente un formalismo matematico che ci torna utile per trovare una descrizione più elegante?

La risposta non è scontata. Proviamo ad analizzare la questione attraverso le parole dei protagonisti del processo che ha portato allo sviluppo del formalismo quadridimensionale, ovvero Lorentz, Poincaré, Einstein e Minkowski. Nel cercare di rispondere a questa domanda dovremo inevitabilmente passare attraverso la visione che questi personaggi hanno della realtà: come sono concepiti lo spazio e il tempo? Qual è la portata rivoluzionaria della visione proposta?

Partiamo dallo sguardo di Hendrik Lorentz, il quale ha introdotto le trasformazioni che portano il suo nome e che permettono di risolvere una disputa molto cara ai fisici di inizio Novecento: come estendere il principio di relatività, che risale in forma esplicita a Galileo e afferma che le leggi della meccanica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento, anche al più recente elettromagnetismo di Maxwell? Se si utilizzano le trasformazioni proposte da Galileo per tradurre le leggi di un sistema di riferimento in quelle di un altro, l’elettromagnetismo non risulta infatti invariante, cioè le leggi cambiano forma cambiando sistema di riferimento. Di conseguenza si apre una diatriba tra rinunciare ad estendere il principio di relatività all’elettromagnetismo, oppure rinunciare alle leggi di Maxwell. Lorentz si inserisce in questo discorso proponendo di utilizzare delle trasformazioni diverse al posto di quelle di Galileo, rispetto alle quali l’elettromagnetismo sia invariante.

Ma qual è il significato nell’utilizzo di queste trasformazioni? Le trasformazioni di Lorentz sono molto più complicate di quelle di Galileo e non è per nulla immediato capire quali concetti formalizzino. Lorentz deduce che le sue trasformazioni implichino matematicamente come effetti collaterali sia che il tempo non è lo stesso per tutti i punti dello spazio, sia la contrazione delle lunghezze. Tuttavia, la sua trattazione rimane sempre su un piano matematico. Quella che ne emerge è una visione puramente funzionale, che procede per passaggi e artifici matematici guidati da criteri di eleganza e semplicità nella descrizione dei fenomeni elettrici e ottici, ma l’autore non si sofferma troppo sul motivare il significato fisico di tali artifici matematici.

Nonostante le trasformazioni di Lorentz siano la base matematica per arrivare al formalismo quadridimensionale, nelle sue opere non c’è nessun salto concettuale che giunga alla visione di una realtà in quattro dimensioni. A interpretare queste trasformazioni come rotazioni in uno spazio quadridimensionale in cui il tempo è la quarta dimensione è Henri Poincaré [4].

Per analizzare il modo in cui Poincaré concepisce questo formalismo è inevitabile partire dal fatto che la sua visione di spazio e tempo è di tipo relazionista: essi sono cioè intesi come una costruzione della mente umana per capire il mondo naturale. Come egli afferma in Scienza e metodo:

La proprietà caratteristica dello spazio, quella di avere tre dimensioni, è così una proprietà del nostro quadro di distribuzione, una proprietà interna dell'intelligenza umana, per così dire. Sarebbe sufficiente distruggere alcune connessioni, vale a dire alcune associazioni di idee, per ottenere un quadro di distribuzione diverso, e ciò potrebbe bastare a far sì che lo spazio acquistasse una quarta dimensione.

Il tratto distintivo del relazionismo di Poincaré è una sfumatura convenzionalista, secondo la quale, cioè, la nostra descrizione della realtà, e in particolare la matematica, è semplicemente una questione di convenzioni e di comodità. In Spazio e Tempo egli afferma:

Quale sarà dunque la nostra posizione di fronte a queste nuove idee? Saremo costretti a modificare le nostre conclusioni? Certamente no: abbiamo adottato una convenzione perché ci sembrava comoda, e affermiamo che nulla può costringerci ad abbandonarla. Oggi certi fisici vogliono adottare una nuova convenzione. Essi non sono costretti a questo cambiamento: semplicemente, giudicano più comoda la nuova convenzione; e quelli che non condividono questa opinione possono in pieno diritto mantenere la vecchia per non turbare le loro antiche abitudini.

A questa visione convenzionalista si lega il carattere fortemente non rivoluzionario della visione di Poincaré: poiché il modo in cui descriviamo la realtà è semplicemente frutto di una convenzione, non c’è nulla di rivoluzionario nell’introdurre una quarta dimensione, si tratta semplicemente di cambiare convenzione. Queste considerazioni rendono quindi evidente che il formalismo quadridimensionale è per Poincaré semplicemente un artificio matematico, e non un’affermazione effettiva sulla realtà.

Se per Poincaré è tutta una questione di convenzioni, la vera rivoluzione concettuale sulla concezione di spazio e tempo arriva con Albert Einstein. Egli, come Poincaré, prende le mosse da una visione relazionista di spazio e tempo. Questa visione in Einstein è però declinata in prospettiva operazionista, cioè è basata sul chiedersi cosa voglia dire in maniera concreta effettuare misure di spazio e di tempo. Egli parte quindi da definizioni operative di spazio e tempo, attraverso le quali propone un nuovo modo di guardare la realtà, e servendosi dell’espediente dell’esperimento mentale arriva a delineare uno spazio e un tempo non più assoluti, da cui si traggono come conseguenze effetti controintuitivi quali la relatività della simultaneità, la contrazione dei tempi e la dilatazione delle lunghezze.

Tuttavia, per quanto rivoluzionario nel rivedere i concetti di spazio e tempo, Einstein non ha invece una posizione rivoluzionaria per quanto riguarda la dimensionalità della realtà, almeno non da subito. Proprio perché segue una strada operativa per ricavare gli effetti relativistici, non ha bisogno, almeno in un primo momento, di formalizzare lo spazio-tempo quadridimensionale, e non sembra considerare una novità il fatto di utilizzare il tempo come quarta dimensione, poiché si potrebbe parlare di continuum quadridimensionale anche in fisica classica: per Einstein la vera novità non è tanto che si parli di quattro dimensioni, ma piuttosto che la dimensione temporale non sia indipendente da quelle spaziali come implicherebbe il concetto classico di tempo assoluto. Lo spazio-tempo quadridimensionale viene introdotto successivamente da Minkowski, il quale segue una strada diversa da quella operativa di Einstein, ovvero un approccio di tipo geometrico. Solo in seguito all’introduzione di questo formalismo da parte di Minkowski, Einstein arriva ad abbracciarlo completamente, e contemporaneamente arriva ad affermare anche la realtà dello spazio-tempo quadridimensionale:

Poiché in questa struttura quadridimensionale non esiste più alcuna sezione che rappresenti l'"adesso", i concetti di accadere e divenire non risultano invero completamente eliminati, ma certamente complicati. Sembra perciò più naturale pensare alla realtà fisica come a un essere quadridimensionale, anziché, come finora si faceva, come al divenire di un essere tridimensionale.

Arriviamo quindi al contributo di Hermann Minkowski, che in contrapposizione al relazionismo di Einstein e Poincaré assume invece una posizione sostanzialista, secondo la quale, cioè, lo spazio e il tempo sono intesi come oggetti fisici dotati di sostanzialità, come una sorta di contenitori entro cui avvengono i fenomeni. Questo sostanzialismo si concretizza nell’identificazione letterale tra la struttura spazio-temporale matematica e la struttura del mondo naturale: non c’è dubbio quindi che Minkowski nell’utilizzare un formalismo quadridimensionale intendesse affermare che la realtà ha effettivamente quattro dimensioni. Ciò è rafforzato dal tono decisamente rivoluzionario con cui Minkowski presenta la nuova visione nella lecture Raum und Zeit tenuta a Colonia nel 1908:

Signori! Le visioni dello spazio e del tempo che voglio presentarvi sono emerse dal dominio della fisica sperimentale, e qui sta la loro forza. La loro tendenza è radicale. D'ora in poi lo spazio in sé e il tempo in sé svaniranno completamente fino a diventare mere ombre e solo una sorta di unione tra i due manterrà una realtà indipendente.

Nell’approccio geometrico di Minkowski, lo spazio-tempo quadridimensionale è il punto di partenza da cui discendono tutti gli effetti relativistici, e il fatto che egli presenti la propria trattazione, che poggia appunto sulla struttura geometrica in quattro dimensioni, come un cambio così radicale di visione della realtà, lascia pochi dubbi su come egli intendesse la dimensionalità della realtà: «La geometria tridimensionale diventa un capitolo nella fisica quadridimensionale».

In conclusione, se il formalismo quadridimensionale sia da intendersi come un artificio matematico o come un’affermazione sulla realtà è una questione tutt’altro che banale e anche tra i protagonisti della nascita della Relatività le posizioni erano diverse. Senz’altro si tratta di un interrogativo ricco e stimolante, che come tanti altri interrogativi può essere una scusa per continuare a interrogarsi e trovare un’alternativa alla filosofia del “shut up and calculate”.

Per saperne di più:

Einstein, A. (1920). Relativity: The Special and the General Theory. Methuen.

Lorentz, H. A. (1898). Simplified theory of electrical and optical phenomena in moving systems. Koninklijke Nederlandse Akademie van Wetenschappen Proceedings Series B Physical Sciences, 1, 427-442.

Minkowski, H. (2013). Space and Time: Minkowski's papers on relativity. Minkowski Institute Press.*

Poincaré H. (1905), On the Dynamics of the Electron, Rendiconti del Circolo matematico di Palermo 21

Poincaré H. (1908), Scienza e metodo, Einaudi.

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