«La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi». La celebre frase del generale von Clausewitz suggerisce efficacemente il nesso inscindibile tra azione militare e politica caratteristico della “guerra rivoluzionaria”, un concetto non privo di ambiguità ampiamente teorizzato da alcuni tra i maggiori strateghi e leaders rivoluzionari del Novecento.

Il primo politico del Novecento ad occuparsi in veste di teorico della guerra rivoluzionaria fu Lenin. Anche se nei suoi scritti non vi è una puntuale sistematizzazione dell’argomento, tuttavia in alcune opere composte a cavallo tra ‘800 e ‘900 (quali, ad esempio, I compiti dei socialdemocratici russi, Che fare? e Gli insegnamenti dell’insurrezione di Mosca) sono rintracciabili idee e motivi che sarebbero poi stati ripresi da altri leader rivoluzionari.

Il nesso strettissimo tra azione militare e azione politica emerge in particolare in Che fare?. In quest’opera Lenin indicava che il partito aveva bisogno di un «vasto programma» e di «una tattica di combattimento» che fossero in grado di scatenare, dapprima, una «multiforme agitazione politica» e, poi, l’insurrezione armata. Secondo Lenin, anticipatrici dell’azione militare erano, da un lato, le denunce politiche ed economiche, le quali costituivano «una dichiarazione di guerra» rispettivamente al governo e agli industriali, e, dall’altro, la formazione politica del proletariato. Affinché questa fosse possibile si rendeva necessario creare «uno stato maggiore di scrittori specializzati, di corrispondenti specializzati, un esercito di cronisti socialdemocratici» che aveva «l’incarico di essere in ogni luogo e di saper tutto». Nell’arco di un vero e proprio «assedio regolare della fortezza nemica», la stampa doveva divenire parte di «un gigantesco mantice, capace di attizzare ogni scintilla della lotta di classe e dell’indignazione popolare per farne divampare un immenso incendio» prima che – come avrebbe scritto ne Gli insegnamenti dell’insurrezione di Mosca – «squadre di combattimento» dotate di «esplosivi, micce e fucili automatici» avviassero una «lotta armata, sanguinosa, accanita».

Un secondo autore da prendere in considerazione è Mao Zedong, il quale in diversi scritti degli anni ‘30 trattò diffusamente di guerra rivoluzionaria. In una lettera del 1930, Una scintilla basta a dar fuoco a tutta la pianura, il leader rivoluzionario cinese spiegava che nella guerra rivoluzionaria bisognava adottare la «tattica della rete da pesca», che si lanciava «per la conquista delle masse» e la si ritirava «per far fronte al nemico». Un’azione politica e militare condotta all’insegna di quattro principi:

[1] Disperdere le forze per sollevare le masse, concentrare le forze per far fronte al nemico; [2] il nemico avanza, noi indietreggiamo; il nemico si arresta, noi lo colpiamo di continuo; il nemico è sfinito, noi lo attacchiamo; il nemico indietreggia, noi lo inseguiamo. [3] Per creare stabili basi rivoluzionarie, ricorrere alla tattica dell’avanzata per ondate successive. Quando si sia inseguiti da un nemico potente, adottare la tattica delle diversioni. [4] Nel più breve tempo possibile, con i metodi migliori, sollevare le masse più ampie.

In uno scritto di poco successivo, intitolato Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina, individuava per la prima volta alcune «leggi specifiche» della guerra rivoluzionaria, che aveva secondo il leader cinese «una sua natura particolare» oltre alle «caratteristiche proprie della guerra in generale». Una delle leggi più importanti era da lui considerata l’alternanza tra una fase difensiva e una offensiva: ai ripiegamenti strategici, interamente rivolti a una concentrazione di forze, dovevano alternarsi controffensive aventi l’obiettivo di «spezzare le posizioni chiave dei nemici». In sostanza, secondo il leader rivoluzionario, bisognava agire «come un pugile», che, difendendosi mentre il «suo stupido avversario» attaccava a fondo e profondeva «tutte le sue forze sin dall’inizio», conservava le sue energie per il momento in cui il nemico avrebbe sguarnito le proprie difese. Tuttavia, per condurre efficacemente una lotta basata sul binomio “difesa strategica-offensiva strategica” era secondo Mao Zedong indispensabile il sostegno della popolazione. Come avrebbe ribadito anche in scritti successivi quali Sulla guerra di lunga durata, un’altra importante legge specifica della guerra rivoluzionaria consisteva infatti nel configurarsi come una «guerra di popolo» nella quale «una mobilitazione vasta e risoluta delle masse popolari» assicurava «le inesauribili risorse atte a soddisfare tutte le necessità della guerra».

Un terzo importante teorico della guerra rivoluzionaria fu Vo Nguyen Giap, le cui idee sull’argomento sono condensate in uno scritto edito in Italia nel 1968 da Feltrinelli con introduzione di Ernesto “Che” Guevara, Guerra del popolo, esercito del popolo e la situazione militare attuale nel Viet Nam. Il leader vietnamita da un lato riprendeva quanto affermato da Mao, ovvero che la guerra rivoluzionaria fosse un processo basato sulla sequenza «difensiva strategica-offensiva strategica» e che fosse un conflitto «di lunga durata», dall’altro introduceva un elemento teorico di grande importanza: la «propaganda armata». Questa, attraverso un «grande lavoro educativo» condotto capillarmente al fronte e nelle retrovie, mirava a mobilitare «venti milioni di vietnamiti» e a militarizzare l’intera società, rendendo «ogni abitante un combattente, ogni villaggio una fortezza, ogni cellula di Partito, ogni Comitato di resistenza uno stato maggiore».

Un quarto autore di riferimento per la guerra rivoluzionaria è poi Ernesto “Che” Guevara. Sulla scorta di Mao Zedong e di Vo Nguyen Giap, Che Guevara ne La guerra di guerriglia descriveva la guerra rivoluzionaria come «una guerra di popolo» nella quale i guerriglieri costituivano il motore d’azione e un «generatore di coscienza rivoluzionaria e di entusiasmo combattivo». In questo e altri scritti (per esempio La guerra rivoluzionaria a Cuba) il leader cubano focalizzava la sua attenzione sull’aspetto militare, come in questo stralcio tratto da La guerra di guerriglia:

Bisogna condurre la guerra fin dove la conduce il nemico: nella sua casa, nei suoi luoghi di divertimento. Bisogna renderla totale. Bisogna impedirgli di avere un attimo di respiro fuori dalle caserme e dentro; attaccarlo in qualunque luogo si trovi, dargli la sensazione di essere una belva braccata dovunque vada. Allora il suo morale si abbasserà. Diventerà ancora più bestiale, ma si vedranno affiorare in lui i segni del decadimento.

A differenza di Lenin, Mao Zedong e Giap, “Che” Guevara nei suoi scritti non si soffermava tanto sulla questione dell’indottrinamento politico quanto su aspetti propriamente militari. Sempre ne La guerra di guerriglia scriveva:

La dotazione ideale di armi per una guerriglia composta da venticinque elementi sarebbe: da dieci a quindici fucili a un colpo, più una decina di armi automatiche, tra Garand e mitra, contando sull’appoggio di armi automatiche di facile trasporto e leggere come i fucili mitragliatori tipo Browning o i più moderni Fal belgi e gli M-14. Fra i mitra sono da preferire quelli da 9 mm che consentono un maggior carico di munizioni e che sono consigliabili, data la loro costruzione abbastanza semplice, per la facilità di cambiarne i pezzi.

Leggendo le opere di Lenin, Mao Zedong, Vo Nguyen Giap ed Ernesto Che Guevara emerge una certa ambiguità di fondo attorno al concetto di “guerra rivoluzionaria”, talvolta indicata come espressione sinonimica di “rivoluzione” o “guerriglia”. Ambiguità che personaggi legati ad ambienti militari e/o al cosiddetto “neofascismo” (ma non solo) – soprattutto a seguito della guerra d’Indocina – hanno cercato di fugare in chiave anti-comunista tramite opuscoli e convegni. Ad esempio all’inizio degli anni ’60 su questo argomento due figure di spicco del “neofascismo” italiano pubblicarono due scritti: l’uno, La guerra rivoluzionaria di Clemente Graziani, trattava tra l’altro dell’«azione psicologica» condotta all’interno di un «conflitto svolto al di fuori delle regole tradizionali» e dell’organizzazione di «gerarchie parallele» che progressivamente si sostituivano a quelle esistenti e inglobavano la popolazione «in una rete dalle maglie sempre più strette»; l’altro, Tecniche della guerra rivoluzionaria. Come il comunismo assoggetta le masse di Guido Giannettini, nella prima parte si soffermava in particolare sui cinque metodi con la quale la guerra rivoluzionaria mirava a distruggere la società del nemico dall’interno, ovvero «la propaganda», «l’azione psicologica», «la minaccia», «l’attentato» e «il ricatto». A questo riguardo, degna di menzione è la differenza fatta da Giannettini tra guerra psicologica, guerriglia, guerra sovversiva e guerra rivoluzionaria: quest’ultima comprendeva «in sé stessa tutti gli altri tipi di guerra», dal momento che si avvaleva di «tecniche psicologiche e sovversive, spesso della guerriglia, qualche volta della guerra convenzionale».

Si può fare, infine, un ultimo cenno al convegno La guerra rivoluzionaria che si svolse a Roma nei giorni 3, 4, 5 maggio 1965. Nel corso dell’evento, organizzato in prospettiva anti-comunista dall’Istituto di Studi Militari “Alberto Pollio”, relazionarono ventidue persone tra studiosi, esponenti del mondo economico e imprenditoriale, intellettuali, giornalisti e osservatori militari. L’iniziativa, presentata come «convegno di studio», si proponeva di «definire l’argomento», «impostarlo», «delinearne i contorni sul terreno storico, sul terreno dottrinario, sul terreno tecnico». Nello Sguardo riassuntivo finale, Eggardo Beltrametti sintetizzava le caratteristiche della guerra rivoluzionaria delineate nel corso delle varie relazioni: era emerso, tra le altre cose, che la guerra rivoluzionaria fosse «un’espressione di marca comunista»; che quella comprendesse «tutte le altre forme di conflitto» e potesse «assumere sia il carattere di un conflitto convenzionale limitato o totale, sia più frequentemente il carattere di guerra sovversiva»; che la strategia di quel tipo di conflitto fosse «ispirata da un concetto totale e globale» e si applicasse perciò «a tutti i livelli ed in tutti i campi», dalla politica alla cultura, dalla psicologia all’economia, dalla diplomazia alla propaganda.

In conclusione, a partire dagli anni Sessanta del Novecento varie iniziative editoriali, politiche e culturali promosse da forze internazionali ascrivibili allo schieramento anti-comunista contribuirono a gettar luce su un concetto che per decenni rimase avvolto da una certa ambiguità. Se negli scritti di Lenin, Mao Zedong, Ernesto “Che” Guevara e Vo Nguyen Giap l’espressione “guerra rivoluzionaria” veniva utilizzata per nominare indifferentemente la “rivoluzione” o la “guerriglia”, ora veniva ad indicare un ben preciso tipo di conflitto che – con le parole di Giannettini - comprendeva «in sé tutti gli altri tipi di guerra» e si avvaleva di «tecniche psicologiche e sovversive, spesso della guerriglia, qualche volta della guerra convenzionale». Obiettivo di questa opera di schiarimento concettuale e di studio portata avanti negli anni Sessanta era, in ultima istanza, fornire degli strumenti teorici per contrastare l’avanzata del comunismo. La cosiddetta guerra contro-rivoluzionaria (come la si cominciò a chiamare) si sarebbe fondata infatti anche su alcune acquisizioni dei suddetti leaders rivoluzionari: si pensi ad esempio alle operazioni di “infiltrazione - contro-infiltrazione" basate sulla dinamica “difesa strategica-offensiva strategica” (Mao Zedong) o a quelle miranti a creare delle “gerarchie parallele” (Vo Nguyen Giap).

Per saperne di più:

Per un primo sguardo sulla storia della guerra rivoluzionaria nel Novecento si consiglia la lettura di un testo per ciascuno dei quattro leaders rivoluzionari considerati nell’articolo: Lenin, Che fare?, Roma, Editori Riuniti, 1970; Mao Zedong, Una scintilla basta a dar fuoco a tutta la pianura, in Id., Per la rivoluzione culturale: scritti e discorsi inediti. 1917-1969, Torino, Einaudi, 1975; Vo Nguyen Giap, Guerra del popolo, esercito del popolo e la situazione militare attuale nel Viet Nam, Milano, Feltrinelli, 1968; Ernesto Che Guevara, La guerra di guerriglia, in Id., Scritti scelti, Milano, Baldini & Castoldi, 2002. Gli atti del Convegno La guerra rivoluzionaria sono consultabili online al seguente indirizzo: https://web.archive.org/web/20090218002443/http://www.stragi.it/la_guerra_rivoluzionaria/index.htm

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