Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, come tutti sanno, la nave più famosa della storia, il Titanic, si inabissò nelle acque dell’Atlantico in seguito alla collisione con un iceberg. In seguito al naufragio cominciarono a circolare sui giornali numerosi e affascinanti aneddoti intorno al transatlantico e al suo unico, fatale viaggio, aneddoti nei quali è spesso difficile stabilire il confine tra realtà e leggenda. È il caso, ad esempio, della storia di Rigel, un Terranova che, grazie ai suoi latrati, avrebbe consentito il salvataggio di una scialuppa di naufraghi da parte dell’equipaggio del Carpathia, la prima nave giunta in soccorso sul luogo del disastro. L’affascinante vicenda di questo cane-eroe ha generato in tempi recenti un’ampia letteratura, scientifica e non, a essa dedicata, condita anche da un libro per bambini e addirittura da un’app; tuttavia, sulla sua reale consistenza aleggiano non pochi dubbi.

La presenza di passeggeri a quattro zampe a bordo del Titanic, innanzitutto, non deve sorprendere: oltre a un gatto (forse due), abbiamo notizia di ben dodici cani, dieci dei quali di proprietà di passeggeri di prima classe – pressoché gli unici a potersi permettere il prezzo del loro biglietto, che costava quanto quello di un bambino –, desiderosi di portarli con sé come souvenir del vecchio continente; di questi cani molti dovevano essere di razza, se fu organizzata anche una piccola esposizione che tuttavia non si svolse mai, prevista com’era per il giorno successivo al naufragio. Né poteva essere lasciata al caso, sulla nave più lussuosa al mondo, la loro giornata tipo: per non lasciarli troppo a lungo nelle gabbie, un membro dell’equipaggio li portava a spasso due volte al giorno (mattino e pomeriggio) sul ponte di poppa, mentre potevano trascorrere il resto del tempo con i proprietari.

Quando quella fatidica notte la nave impattò con l’iceberg, non tutti si preoccuparono dei propri cuccioli, anche perché non compresero immediatamente l’entità del pericolo, e quando lo fecero era ormai tardi per pensare ad altro che a salvarsi: così, molti cani rimasero chiusi nelle cabine dei padroni – come accaduto alla barboncina dei coniugi Walton Bishop – o semplicemente lasciati al proprio destino. Testimoni, tuttavia, raccontarono che l’imprenditore John Jacob Astor, dopo aver fatto salire su una scialuppa la moglie incinta, si recò alle gabbie per liberare tutti i cani, tra cui la sua airedale Kitty, per dare loro una possibilità di salvarsi. Astor e la sua cagnolina perirono nel naufragio; lo stesso destino fu scelto da Ann Elizabeth Isham, che si rifiutò di salire sulla scialuppa senza il suo fedele cane (probabilmente un alano): furono poi trovati in acqua l’uno accanto all’altra. Non sopravvissero al naufragio neppure il campione di bulldog francese Gamin de Pycombe, per il quale il padrone Robert William Daniels chiese, a titolo di risarcimento, l’astronomica cifra di 750$ (dell’epoca), né il chow chow di Henry Henderson, anche lui campione. Solo tre cani, alla fine, ebbero la fortuna di calpestare il ponte del Carpathia: due pomerania, uno dei quali nascosto tra i vestiti della proprietaria, e un pechinese, il quale, come riferì il padrone, non occupava spazio nella scialuppa e fu quindi accettato a bordo di buon grado.

I cani a bordo, in realtà, potrebbero essere anche stati tredici – e quindi i sopravvissuti quattro – se consideriamo come vera la storia di Rigel, raccontata ai taccuini del New York Herald da Jonas Briggs, uno dei membri dell’equipaggio del Carpathia. Questo esemplare di Terranova nero apparteneva a William McMaster Murdoch, primo ufficiale del Titanic: finito in mare insieme alla nave (o semplicemente attratto da esso, dato che questa razza ama moltissimo l’acqua), nuotò nel gelido Atlantico per tre ore, alla vana ricerca del suo padrone, perito nel naufragio. Ci si potrebbe chiedere come abbia fatto Rigel a sopravvivere così a lungo in acqua a una temperatura di -2°. Bisogna tuttavia considerare che il Terranova, razza frutto di incroci antichissimi con cani orso al fine di fortificarla, presenta i piedi palmati, usa la coda come timone ed ha il pelo impermeabile, disponendo degli stessi meccanismi di termoregolazione degli orsi polari; inoltre, ha un forte istinto al salvataggio, tanto che ha la tendenza a riportare a riva anche bagnanti non in pericolo.

Non riuscendo a trovare Murdoch, Rigel si accostò alla scialuppa n. 4: era troppo grande e pesante per poter salire a bordo, ma decise comunque di rimanere vicino ad essa. Quando il Carpathia giunse sul luogo del disastro intorno alle 4 del mattino – quasi due ore dopo l’inabissamento del Titanic – la scialuppa, che si trovava sotto la prua sul lato di dritta, non fu affatto vista dall’equipaggio, probabilmente anche a causa del buio, e rischiava di essere travolta dalla nave stessa; gli occupanti, stremati dal freddo e dal terrore, non avevano la forza di farsi notare lanciando grida di aiuto. Fu allora che Rigel cominciò ad abbaiare, riuscendo ad attirare l’attenzione del capitano Arthur Henry Rostron, che ordinò di fermare la nave e di soccorrere i naufraghi, i quali furono condotti a bordo insieme al loro salvatore a quattro zampe.

In seguito, il cane fu adottato dallo stesso Briggs, il quale gli avrebbe imposto il proprio nome, Briggs per l’appunto. Diversa, tuttavia, a riguardo, la posizione di Stanley Coren, professore di psicologia presso la University of British Columbia, che in un articolo del 2012 sostiene che in realtà Rigel fu adottato da John Brown, capitano d’armi del Carpathia. Questi riteneva che il cane, da lui ribattezzato Captain, appartenesse a uno degli ufficiali della nave, ma non sapeva quale, né aveva effettuato ricerche in merito. Una volta andato in pensione, lo portò con sé nella sua casa di campagna in Scozia, dove trascorse serenamente il resto della sua vita al fianco del padrone.

Per questo e altri elementi della storia di Rigel da lui portati alla luce, Coren fa appello a diversi articoli dell’Herald che avrebbero riportato testimonianze di alcuni degli occupanti della scialuppa 4 e dei membri dell’equipaggio del Carpathia, e, soprattutto, alla testimonianza fornita dalla nipote di John Brown in un’intervista concessa alla BBC in occasione del cinquantesimo anniversario del disastro (1962). Tali elementi, tuttavia, non sembrano essere fededegni, non trovando alcun riscontro nelle fonti. Non si ha notizia, ad esempio, di un ampio articolo sulla storia di Rigel, citato da Coren, che sarebbe stato pubblicato dall’Herald il giorno dopo l’arrivo del Carpathia a New York (quello sopracitato è del 21 aprile 1912, mentre il Carpathia era approdato a destinazione il 18 aprile), tantomeno degli altri articoli suddetti; inoltre, non è possibile accertare se sulla scialuppa 4, come vorrebbe lo studioso, ci fosse abbastanza spazio per Rigel, benché fosse troppo pesante per poter essere issato a bordo (la scialuppa fu calata in mare con 30-35 persone a bordo, su una capienza di 65 posti, ma al momento del salvataggio ve n’erano circa 60); né risulta, come sostiene ancora Coren, che Murdoch abbia avuto con sé il suo cane anche a bordo dell’Olympic, la nave gemella del Titanic. Infine, il capitano d’armi del Carpathia, che avrebbe adottato il cane, non era scozzese, ma di Leicester, in Inghilterra.

Al di là dei dettagli, comunque, le posizioni degli scettici poggiano su basi molto solide. Essi osservano innanzitutto che Rigel non è attestato come passeggero del Titanic (prova, tuttavia, non dirimente, dato che si pensa che ci fossero altri cani a bordo non registrati ufficialmente), né gli occupanti della scialuppa 4 (o lo stesso capitano Rostron, o altri membri dell’equipaggio del Carpathia eccetto Briggs) ne fecero alcuna menzione nei loro racconti: il cane scomparve così dalla storia immediatamente dopo il naufragio, cosa decisamente singolare per un “eroe” che aveva salvato molti (e soprattutto ricchissimi) passeggeri dello sfortunato transatlantico altrimenti destinati alla morte.

A infliggere un colpo ancor più duro alla veridicità della storia di Rigel è però la testimonianza di Richard Edkins, residente di Dalbeattie, cittadina natale di Murdoch, che l’ha definito come “un pezzo di completa spazzatura” inventato da Jonas Briggs: egli afferma, infatti, che né Murdoch né sua moglie Ada hanno mai avuto un cane, tanto meno un Terranova. A ciò si aggiungano le considerazioni di Dan Parkes, autore di un sito internet interamente dedicato al primo ufficiale Murdoch, il quale osserva che, se i coniugi avessero davvero avuto un cane e si fosse trattato proprio di Rigel, Briggs sarebbe stato certamente tenuto a restituirlo alla vedova e che gli ex-colleghi di Murdoch se ne sarebbero accertati: il secondo ufficiale Charles Lightoller, sopravvissuto al naufragio, non ne fa invece alcuna menzione nella sua lettera a Ada.

Il fatto che Rigel non appartenesse a Murdoch non esclude comunque la sua appartenenza a un altro padrone, e quindi la sua effettiva esistenza e presenza a bordo del Titanic. Tuttavia, Parkes si spinge oltre, o meglio a monte della storia, affermando anche che non c’è alcuna prova della presenza di un Jonas Briggs nell’equipaggio del Carpathia: si tratta probabilmente di un nome inventato a partire da quello di Mrs. Florence Briggs Cumings, una degli occupanti della scialuppa che sarebbe stata salvata da Rigel. Sembra difficile, peraltro, ipotizzare la presenza, che sarebbe a dir poco singolare, di due persone con lo stesso nome nella medesima vicenda: questo elemento, da solo, potrebbe bastare per etichettare come falsa l’esistenza di Briggs e quindi per distruggere dalle fondamenta l’intera architettura della vicenda.

Due, in conclusione, le possibili ipotesi sull’origine del racconto. Nei giorni successivi al naufragio i giornali erano alla continua e spasmodica ricerca di nuove, affascinanti storie sul Titanic da dare in pasto alla curiosa avidità dei lettori. Storie per le quali, pur di essere i primi a raccontarle, erano disposti a pagare profumatamente. Per questo motivo non si può escludere a priori la possibilità che un tale Jonas Briggs, spacciandosi come membro dell’equipaggio del Carpathia, abbia spontaneamente raccontato – vale a dire inventato – una vicenda coinvolgente e toccante per ricavarne denaro e al tempo stesso fama. Più probabile, però, alla luce di quanto detto, che la storia di questo cane-eroe sia stata interamente inventata dall’autore dell’articolo e attribuita a un fantomatico marinaio, la cui identità sarebbe stata costruita ad arte mediante l’unione di un comunissimo nome americano (John), opportunamente modificato, con quello di una degli occupanti della scialuppa prescelta. Certo è che, se il racconto della vicenda di Rigel mirava a fornire al pubblico uno scoop affascinante e succulento, l’obiettivo è stato indubbiamente raggiunto.

Poco importa, in ogni caso, se quella di Rigel sia una storia vera o, per usare le parole di Parkes, un’incredibile e commovente leggenda che non ha alcun fondamento. Poco importa che si voglia credere o meno ad essa: finché ci sarà qualcuno che si occuperà del Titanic, questo piccolo, grande eroe a quattro zampe continuerà a vivere. Anzi, tutta la curiosità e l’interesse che la sua vicenda hanno suscitato e ancora oggi suscitano, dimostrano che la Storia, a ben vedere, ha già espresso il suo verdetto, consegnando di fatto Rigel all’immortalità.

Per saperne di più:

Numerosi, come accennato, i testi dedicati alla storia di Rigel. Tra questi si segnalano il libro di Christine Jamesson, The Legend Of Rigel, Hero Dog of the Titanic, AuthorHouse, 2005, e il libro per bambini di Lorna Olitch The Legend of Rigel -Hero of the Titanic, scritto dal punto di vista dello stesso Terranova.

L’articolo del New York Herald del 21 aprile 1912 è riportato integralmente in L. Marshall, Sinking of the Titanic and Great sea disasters, The John C. Winston Company, Philadelphia, 1912, p. 92, < https://library.um.edu.mo/ebooks/b32144970.pdf >, e in id., On Board the Titanic: The Complete Story with Eyewitness Accounts, Dover Publications, 2006, p. 94, < https://books.google.pt/books?id=umvFuvx8RlYC&pg=PA94&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false >, sua riedizione. Ulteriori informazioni su Rigel e sui cani del Titanic si trovano invece in:

C. Bossi, I cani a bordo, titanicdiclaudiobossi.com, 25 marzo 2013,  < http://www.titanicdiclaudiobossi.com/Html/Cani%20a%20bordo_51.htm >.

S. Coren, The Heroic Dog on the Titanic, Psychology Today, 7 marzo 2012, < https://www.psychologytoday.com/us/blog/canine-corner/201203/the-heroic-dog-the-titanic >.

“La Stampa”, Titanic, anche 12 cani nella tragedia, 15 aprile 2012 (ultima modifica 30 giugno 2019), < https://www.lastampa.it/la-zampa/2012/04/15/news/titanic-anche-12-cani-nella-tragedia-br-1.36486241 >.

D. Parkes, Did Murdoch have a heroic dog named ‘Rigel’?, williammurdoch.net, < https://www.williammurdoch.net/articles_09_Murdochs_herioc_dog_Rigel.html >. Anche qui è riportato integralmente l’articolo dell’Herald.

T. Martin, E. Aston, 101 Things You Thought You Knew About the Titanic…but Didn’t!, Penguin, 2011.

R. Matthews, Titanic. The tragic story of the ill-fated ocean liner, Arcturus Publishing, 2011.

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