Quali regole in materia di clima e di energia sono necessarie per raggiungere equilibri migliori fra politiche ambientali e politiche di sviluppo economico? Occorre distinguere tre livelli di regole: l’internazionale, il comunitario, il nazionale.

Sul piano internazionale, il recente accordo di Copenhagen sul clima ha deluso molte aspettative, perché non ha dettato obblighi vincolanti per gli Stati. Si è aperta però una via nuova: Paesi come gli Stati Uniti, l’India e la Cina che, pur essendo responsabili di quasi la metà dell’inquinamento atmosferico del pianeta, erano rimasti in diversi modi al di fuori del Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di gas serra, hanno partecipato per la prima volta a un’intesa che prevede di contenere l’aumento della temperatura media planetaria entro i due gradi centigradi. E hanno riconosciuto che, a tal fine, saranno necessari “tagli profondi” nelle emissioni di gas serra. Inoltre, i Paesi sviluppati si sono impegnati a stanziare risorse finanziarie (circa 30 miliardi di dollari per il periodo 2010-2012) per sostenere la diffusione di tecnologie verdi nei Paesi in via di sviluppo. Si può considerare dunque avviato il cammino verso quell’importante obiettivo che consiste, come ha detto Joseph Stiglitz, nel condividere tutti il peso di salvare il mondo dalla gravissima minaccia del surriscaldamento.

Certo, occorrerà precisare gli obblighi degli Stati per contenere l’aumento della temperatura del pianeta, specificando l’entità della riduzione delle emissioni di gas serra (cosa che gli Stati hanno iniziato a definire). Potranno valere regole differenziate a seconda delle categorie diverse di Paesi e differenti tempiper adempiere ai futuri obblighi. Andranno rafforzati i meccanismi per assicurare l’effettivo rispetto degli impegni: sarebbe auspicabile istituire un’apposita autorità di controllo, anche per la risoluzione delle controversie fra Stati.

Vi è un ulteriore aspetto da risolvere sul piano delle regole internazionali, ed è il miglior bilanciamento fra regolazione del commercio mondiale e del clima. Un Rapporto della World Trade Organization (“WTO”) del 2009 ha sottolineato, da un lato, gli effetti negativi del free trade sul clima: ad esempio, a causa dell’incremento dei trasporti; dall’altro, gli effetti positivi, legati alla circolazione di beni e servizi pro-ambientali, come le tecnologie solari. Vanno risolte le contraddizioni: ad esempio, sono da rafforzare le garanzie a favore della protezione dell’ambiente nell’applicazione concreta degli accordi WTO sul commercio; e vanno posti limiti a certi tipi di trasporti inquinanti.

La tendenza comunque, pur tra le difficoltà, è verso l’ampliamento e il rafforzamento delle regole internazionali a tutela dell’ambiente e del clima.

Veniamo ora all’Unione europea. Il Trattato di Lisbona ha confermato le regole sull’ambiente, che hanno fra gli obiettivi quello di “combattere i cambiamenti climatici”. E sono state introdotte regole importanti sull’energia. Ora la politica energetica ha nel Trattato un’espressa base legale. Si rafforzano i poteri attribuiti all’Unione rispetto agli Stati membri. Si potenzia la connessione fra politica energetica e politica ambientale: la politica energetica dell’Unione deve tener conto “dell’esigenza di preservare e migliorare l’ambiente”; e, in particolare, è intesa a “promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili”. In definitiva, il dato importante è che gli obiettivi della politica ambientale divengono comuni alla politica energetica.

In questo contesto c’è maggiore spazio per una più organica azione dell’Europa a favore dell’energia pulita, che promuova in primo luogo l’innovazione tecnologica, strumento determinante per raggiungere quel fine. C’è maggiore spazio anche per rafforzare la priorità degli aiuti di Stato alle imprese per programmi a tutela dell’ambiente. Tali aiuti possono contribuire al raggiungimento di un buon equilibrio fra protezione ambientale e produzione industriale: vanno favoriti, nell’ambito di una politica di aiuti di Stato “meno numerosi e più mirati”, non certo di un nuovo protezionismo.

Veniamo, infine, alle regole nazionali e all’Italia. In un quadro che tende al rafforzamento delle regole internazionali sul clima e al maggiore coinvolgimento dell’Unione europea nell’assicurare un nesso forte fra politica ambientale e politica energetica, diverse cose dovrebbero cambiare nelle regole italiane su energia e ambiente. Sono necessarie maggiore coerenza e minore frammentazione.

Innanzitutto, l’ambiente nella Costituzione è materia che spetta in via esclusiva alla legislazione dello Stato. L’energia, invece, è divisa fra leggi statali e regionali: la materia denominata “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” è affidata alla legislazione concorrente di Stato e Regioni. Sarebbe opportuna una modifica costituzionale, che affidi anche l’energia alla legislazione statale in via esclusiva, affinché si evitino frammentazioni in un momento in cui il quadro europeo e globale si va uniformando.

Nell’attesa e al di là della riforma costituzionale, diversi rimedi sarebbero necessari. In primo luogo, occorrerebbe un’effettiva programmazione nazionale degli investimenti in tecnologie e delle infrastrutture da costruire, soprattutto per le energie rinnovabili. In secondo luogo, dovrebbe essere incisiva l’attività dei commissari governativi recentemente nominati per la realizzazione delle reti energetiche, dotati di poteri di deroga e di sostituzione, che potrebbero superare i limiti derivanti dai veti regionali e locali. In terzo luogo, sarebbero indispensabili la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure e delle competenze in materia di aiuti di Stato alle imprese per l’innovazione tecnologica: andrebbero assicurati migliori raccordi fra Ministero dell’economia e Ministero dello sviluppo economico, affinché si abbiano procedure celeri. La legislazione degli ultimi due anni ha previsto utili strumenti: si tratta ora di dar loro un’attuazione adeguata.

Pubblicato il 22/02/2010

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