1. I tre referendum del novembre 1987, i quali hanno sancito l’abrogazione della norma che consentiva ad Enel di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero, della norma che prevedeva misure compensative in favore dei comuni che ospitavano centrali a carbone e nucleari, nonché della norma che prescriveva la competenza del CIPE a disciplinare la localizzazione degli impianti in caso di inerzia degli enti locali competenti (leggi 1983 n.8 e 856 del 1973), hanno di fatto – ma non in via di principio - comportato la cessazione delle attività e degli investimenti nel settore nucleare nel nostro paese.
La nuova attenzione verso la produzione di energia elettrica da impianti nucleari, e quindi la rinascita del dibattito, anche tra giuristi, non riguarda solo il nostro paese: a causa dell'aumento della domanda energetica, del progressivo esaurimento delle risorse naturali, dei problemi all'ambiente derivanti dai cd. gas serra e dell'instabilità politica dei paesi fornitori di combustibili fossili, la soluzione del nucleare è sembrata la più appropriata in sempre più numerosi Stati (Bredimas – Nuttall, An international comparison of regulatory organizations and licensing procedures for new nuclear power plants, Energy Policy, 2008).
A fianco a questi vantaggi va anche osservato che, se da un lato, anche in virtù del progresso tecnologico, è diminuita la generale preoccupazione che possano avvenire gravi incidenti, dall'altro lato il favore verso questo tipo di produzione di energia deriva anche dal fatto che, sebbene la fonte non sia rinnovabile (in quanto le risorse di uranio sono limitate), il processo produttivo comporta basse emissioni di carbonio, per cui preferire la produzione di energia da impianto nucleare rispetto a quella da combustione fossile comporterebbe una generale riduzione dell'incidenza dei gas serra.
In Italia questo generale atteggiamento si è tradotto in un impianto di riforme che ha reintrodotto la possibilità di produrre energia a mezzo di impianti nucleari: in questo lavoro si valuteranno come siano stati affrontati in Italia alcuni importanti nodi che tutti gli Stati che hanno impianti nucleari hanno dovuto fronteggiare, e a tal fine si provvederà a descrivere la nostra recente disciplina.
I sei nodi sono legati alle fonti, al soggetto regolatore, al consenso, alla prevedibilità dell'esito del procedimento, alla partecipazione, al rapporto tra centro e periferia.
2. Il principio della cd. efficienza legislativa impone di limitare il numero dei testi normativi in vigore in un paese, per consentire agli investitori di operare in un quadro ordinamentale semplice e trasparente (Bredimas – Nuttall; Michanek – Soederholm, Licensing of nuclear power plants: the case of Sweden in an international comparison, Energy policy, 2009).
Se guardiamo lo scenario nazionale, attualmente sono solo tre sono le fonti che hanno reintrodotto il nucleare nel nostro ordinamento.
In primo luogo il d.l. 25 giugno 2008, n. 112 (misure urgenti per lo sviluppo economico del Paese, convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133), il quale all'art. 7 ha inserito il nucleare nella nuova strategia energetica nazionale ed autorizzato il Governo a concludere accordi con gli Stati membri dell’UE e i Paesi terzi per garantire la sicurezza e l’efficienza dei nuovi impianti.
In secondo luogo la legge 99 del 23 luglio 2009 (disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), la quale ha: conferito al CIPE il potere di definire tipologie di impianti e di adottare misure per favorire la costituzione di consorzi per la produzione di energia elettrica nucleare (art. 26); previsto l'istituzione dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare (art. 29); stabilito la giurisdizione esclusiva del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma per le controversie attinenti alle procedure e ai provvedimenti concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare (art. 41); infine delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo concernente “la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonchè dei sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi e per la definizione delle misure compensative da corrispondere e da realizzare in favore delle popolazioni interessate” (art. 25).
In terzo luogo è stato adottato il decreto legislativo 15 febbraio 2010 n. 31, in attuazione della legge delega.
Il processo di produzione normativa non è ancora concluso, in quanto è prevista la futura adozione di numerosi decreti ministeriali (art. 5, comma 2, art. 10 comma 3, art. 13 comma 2, art. 17, art. 22 comma 4, art. 23 passim, art. 25 comma 2, art. 26 lett. d), art. 30, art. 31 comma 2), peraltro con problemi di legittimità costituzionale, dal momento che la legge delega sembra prescrivere il ricorso a decreti legislativi (ad es. art. 5 comma 2, si v. sul punto anche il parere del Consiglio di Stato)
In questo senso la quantità di normazione sembra ancora ridotta e di facile lettura, per quanto comunque in questi testi siano previsti rinvii ad altre leggi (anzitutto la legge 241 del 1990 e il cd. codice dell'ambiente); comunque essa andrà tenuta sotto controllo.
In ogni caso, al netto della normativa nazionale, il sistema delle fonti è più ampio e complesso: a tal fine ha infatti grande rilievo la partecipazione dell'Italia all'ONU, all'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nata per dar vita a forme di cooperazione e coordinamento in campo economico tra le nazioni europee) e all'Euratom (l'organizzazione istituita, contemporaneamente alla CEE, allo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli stati membri relativi all'energia nucleare ed assicurare un uso pacifico della stessa).
Quanto alla prima partecipazione, l'organismo delle Nazioni Unite che si occupa di energia nucleare è l'IAEA (Agenzia Internazionale sull'Energia Atomica), alla quale aderiscono più di 150 Stati, e che elabora standard non vincolanti, i quali però godono di grande credito e vengono adottati nella regolazione dell'attività nucleare. Sotto l'egida della IAEA è stata peraltro adottata la Convenzione internazionale sulla sicurezza nucleare.
L'attività dell'IAEA è sintetizzata dalle cd. “3 S”: Safety and Security, Science and technology, Safeguards verification. L'IAEA verifica in altri termini che l'uso del nucleare sia sicuro, non sia distratto a fini militari, si avvalga delle migliori tecniche e conoscenze, e a tal fine essa svolge una importante e nota attività di ispezione.
Quanto alla seconda partecipazione, l'organismo dell'OCSE è la NEA (Agenzia dell'Energia Nucleare), alla quale aderiscono 28 Stati, rappresentanti l'85% della produzione di energia da impianti nucleari, la quale principalmente svolge la funzione di Forum per lo scambio di conoscenze e competenze.
Entrambe le agenzie favoriscono l'uniformità delle normative nazionali, anche grazie a una costante analisi di discipline e pratiche dei diversi Stati, i cui risultati sono a disposizione del pubblico.
Un importante ruolo riviste infine l'Euratom. Si pensi in particolare alla direttiva 2009/71, la quale istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare, che prescrive l'indipendenza del regolatore e la responsabilità per la sicurezza in capo al titolare della licenza.
Per questa ragione, chi voglia ricostruire integralmente il quadro della disciplina nucleare, dovrà tenere presente le fonti internazionali e sovranazionali, l'attività delle agenzie, gli standard elaborati.
3. L'IAEA richiede che i regolatori nazionali siano indipendenti, abbiano il potere di stabilire regole e di imporne il rispetto, possano rilasciare le autorizzazioni per le attività nel settore nucleare.
In Europa in particolare è ancora diffuso in questo settore un modello di autorità di regolazione dipendente dall'esecutivo e il rilascio di licenze è opera di autorità governative; in dottrina vi è la tendenza a condividere l'approccio dell'autorità indipendente, anche si ritiene più sicuro per l'investitore che la licenza sia rilasciata dal Governo o dal Parlamento (Bredimas - Nuttall).
Il decreto legislativo presenta un quadro dei soggetti sufficientemente lineare.
Il ruolo centrale è ricoperto dal Ministero dello Sviluppo economico, il quale governa i procedimenti, avviandoli (artt. 6, 31 comma 1), fungendo da destinatario di istanze, informazioni, pareri (artt. 6, 7, 10, 11, 13, 27, 28), inoltrando documenti (artt. 9 comma 3, 11 comma 8, 13 comma 4 e 9), ricercando l'intesa e promuovendo conferenze di servizi (artt. 11, 27, art. 13 comma 10), formulando proposte (artt. 3 comma 1, 13 comma 11, 27 comma 15), assumendo autonomamente decisioni (artt. 11 comma 6, 23 comma 8) anche di grande rilevanza (art. 14 sospensione o revoca dell'autorizzazione).
Per le decisioni più importanti tuttavia è previsto il concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (artt. 3 comma 1, 4, 5 comma 2, 8 commi 1 e 3, 10 comma 3, 11 comma 9, 13 commi 2 e 11 e 12, 17, 22 comma 4, 25 comma 2, 27 passim, 30 comma 2, 31 comma 2).
Se guardiamo alle competenze dalla prospettiva degli interessi, ne deriva che primario è l'interesse allo sviluppo economico, il quale da un lato richiede lo sviluppo di infrastrutture e trasporti e dall'altro si deve svolgere nel rispetto dell'ambiente: in questo quadro il rapporto maggiormente conflittuale si profila tra l'interesse allo sviluppo e quello alla tutela dell'ambiente.
Nel procedimento intervengono anche il Consiglio dei ministri, sia nelle fasi di programmazione generale (artt. 3, 9) che nei momenti di possibile crisi del procedimento (artt. 11, 13, 27); intervengono anche diversi ministeri a diverso titolo. Invece non è positivizzato, sebbene invocato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'intervento dei Ministri dell'Interno (relativamente agli aspetti di sicurezza) e della Salute.
E' stata prevista dalla legge 99 del 2009 un'Autorità, l'Agenzia per la sicurezza ambientale, la quale all'interno del procedimento previsto nel d.lgs. 31/10 svolge un delicato ruolo istruttorio, di vigilanza e controllo (artt. 3, 7, 8, 10, 11, 13, 15, 16, 18, 19, 21, 22, 26, 27, 28, 31, 33, 34), emette prescrizioni nei confronti dell'operatore ed irroga sanzioni (anche la sospensione dell'autorizzazione, in particolare art. 18).
I suoi vertici sono scelti e nominati dall'esecutivo (art. 29 l. 99/09): evidentemente solo l'alta professionalità e l'indipendenza delle persone scelte potranno garantire autorevolezza all'autorità.
Il finanziamento, che non dovrà essere posto a carico dello Stato, necessariamente dovrà gravare sugli operatori, come avviene in altri Stati, ma questo pone un problema quantomeno nel primo periodo, data l'iniziale scarsità di risorse umane e finanziarie.
La scelta del nostro ordinamento quindi è nel senso di un'autorità non indipendente, di alta specializzazione tecnica, che non provvede direttamente ad autorizzare, ma che concorre in maniera indispensabile al procedimento.
4. In dottrina si afferma che al cuore del progetto per il ritorno al nucleare ci sia l'accettazione pubblica, che ne costituisce un prerequisito.
Sembrano due le leve su cui il d.lgs. 31 del 2000 sembra far affidamento, a questo fine: a monte, a livello generale è prevista una Campagna nazionale di informazione, che farà riferimento in particolare ai temi della sicurezza e dell'economicità del nucleare.
A valle sono previsti benefici economici in favore dei residenti nei territori circostanti i siti e in favore degli enti locali. La percentuale di ripartizione dei benefici, fissata nel 60% per cittadini-imprese e nel 40% per enti locali, non è ulteriormente precisata, come pure richiesto dal Consiglio di Stato. Inoltre è stato osservato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che non sono previste misure in favore delle Regioni, che pure dovranno affrontare dei costi in relazione ai rischi radioattivi. Cittadini e imprese godranno di detrazioni su irpef, irpeg, ici, bollette elettriche, TARSU: questi contributi, enfaticamente, non dovranno incidere sulle tariffe per gli utenti, ed essere erogati in assenza di nuovi oneri a carico dello Stato.
Sotto questo punto di vista, anche se sono previsti questi due strumenti, la questione circa la ricorrenza del prerequisito dell'accettazione pubblica, in assenza di referendum o di consultazioni pubbliche, appare allo stato attuale di incerta soluzione.
5. In dottrina si è parlato di cd. rischio regolatorio in riferimento alla costruzione di impianti nucleari (RAETZKE, The licensing of new nuclear power plants in europe, 2008): si tratta del rischio che l'impianto non si realizzi o che debba essere modificato nel corso del procedimento, con conseguente ritardo ed aggravio dei costi. Tale rischio è evitabile se il quadro normativo è stabile. Ma in particolare è necessario che le decisioni siano prevedibili, stabili nel tempo, intervengano entro tempi definiti, siano formulate secondo standard internazionalmente definiti. E' importante anche che le decisioni di un regolatore siano accolte anche da altri regolatori.
Una molto sommaria sintesi del procedimento più complesso è necessaria per comprendere come si colloca il procedimento nazionale.
In primo luogo il decreto prevede anzitutto un documento programmatico, la Strategia del Governo in materia nucleare, di competenza del Consiglio dei Ministri.
In secondo luogo gli operatori, che siano in possesso dei requisiti previsti da un decreto concertato (Ministro dello Sviluppo economico, dell'Ambiente, delle Infrastrutture) e che non si trovino in una delle condizioni ostative indicate dal decreto (ad es. stato di fallimento, sentenza di condanna passata in giudicato per reati gravi), presentano i propri programmi di intervento (soggetti a diritto di accesso) e richiedono all'Agenzia le verifiche per la predisposizione di un rapporto preliminare di sicurezza.
In terzo luogo un decreto concertato (Ministro dello Sviluppo economico, dell'Ambiente, delle Infrastrutture) stabilisce lo schema dei parametri per la localizzazione dei siti, sottoposto prima dell'approvazione a consultazione pubblica.
In quarto luogo Strategia e e decreto dello schema vengono sottoposti a valutazione ambientale strategia (con relativa consultazione).
In quinto luogo l'operatore presenta istanza di certificazione di uno o più siti per l'insediamento di un impianto nucleare, soggetto ad istruttoria dell'Agenzia, all'intesa con la Regione (con riferimento all'intesa v. infra) e all'intesa con la Conferenza unificata. La certificazione comporta la dichiarazione di interesse strategico nazionale del sito, sottoposto a speciale forma di vigilanza e protezione, e la possibilità di occupare il fondo per svolgere attività preliminari.
In sesto luogo l'operatore deve presentare istanza per la costruzione e gestione dell'impianto: l'Agenzia cura l'istruttoria, richiede alle amministrazioni pareri e autorizzazioni, acquisisce anche VIA e AIA, definisce le prescrizioni tecniche e al termine rilascia parere vincolante; viene indetta una conferenza di servizi (v. infra); al termine un decreto concertato rilascia l'autorizzazione unica, che vale come apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni (con apertura del relativo procedimento).
Il procedimento, come si vede, è lungo e articolato. Non appare molto differente da quello previsto in altri paesi, ma è più complesso in virtù del problema del riparto Stato-Regioni.
Solo per accennare a tre problemi che rendono impossibile previsioni circa tempi e costi del procedimento, basti pensare che il quadro normativo non è ancora completo, che nessuno studioso è stato in grado di prevedere quali siano i termini minimi per ottenere l'autorizzazione a costruire l'impianto, che risulta un'incognita l'esito del conflitto tra Stato e Regioni.
Soprattutto il quadro appare complesso perché nel nostro paese è difficile realizzare opere senza che trascorra molto tempo e sia impiegato molto denaro pubblico.
6. A livello internazionale è data grande importanza al profilo della partecipazione. Il procedimento, in un'ottica generale, può essere suddiviso in tre tappe fondamentali: approvazione del progetto dell'impianto, provvedimento di identificazione del sito, autorizzazione alla costruzione e gestione dell'impianto.
Se è opportuno che in tutte le fasi ci sia accesso alle informazioni e partecipazione pubblica, il procedimento in cui la partecipazione è più importante è quello destinato alla identificazione del sito.
Il decreto prevede due strumenti.
In via permanente, è disposta in ogni Regione in cui sia previsto un sito l'istituzione di Comitati di confronto e trasparenza (art. 22), presso i quali qualunque interessato potrà ottenere informazioni e dei quali faranno parte rappresentanti delle istituzioni e degli organismi tecnici. Come ricaviamo anche dalla disciplina dell'informazione in materia ambientale, chiunque potrà formulare istanza, e l'accesso sarà alle informazioni e non semplicemente ai documenti.
Ma, soprattutto, il procedimento indicato nel decreto prevede momenti in cui sono consentiti il diritto di accesso ai documenti (art. 6 programma di intervento), forme di consultazione pubblica (art. 8 definizione delle caratteristiche delle aree, art. 27, Autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio del Parco Tecnologico) e pubblicità degli atti (artt. 8,9,11,13, 16, 27).
Sotto questo profilo, vi è un indirizzo generale a livello internazionale – qui recepito - in favore della trasparenza e pubblicità del procedimento, ma è da rilevare che la consultazione pubblica, l'istituto più importante, è prevista nel nostro ordinamento solo nel procedimento di adozione dello schema dei parametri per l'identificazione del sito.
Sotto questo profilo allora il momento in cui avviene la consultazione non è il più appropriato, giacché sarebbe più corretto che essa intervenga in vista della decisione circa il singolo sito: appare difficile che la partecipazione pubblica possa essere efficace allorquando devono essere stabiliti dei criteri generali ed astratti, e non debba essere presa una decisione concreta e puntuale.
Rispetto al modello indicato a livello internazionale, si è in altri termini avuta una scissione tra fase di individuazione dei parametri e fase di individuazione del sito, e la partecipazione è stata spostata alla prima fase.
Il problema della partecipazione peraltro si presenta anche in relazione alla durata dell'autorizzazione. In ordinamenti nei quali l'autorizzazione per l'esercizio dell'impianto sia a tempo determinato (Canada 2-5 anni, USA, 10-20), il procedimento ricomincia dall'inizio: deve essere in particolare svolta nuovamente la consultazione pubblica, e tale previsione accresce il favor della collettività verso l'opzione nucleare, perché essa non è chiamata a dovere dare un parere irreversibile, e conserva la percezione di controllo del procedimento. Certo, questo aspetto crea un'alea nell'investitore, ma il sacrificio sembra accettabile.
In relazione a quest'ultimo profilo però il decreto non prevede una durata per l'autorizzazione, e sembra implicito che la durata corrisponda alla vita dell'impianto (art. 13, si fa riferimento infatti solo a revisioni). Maggiore chiarezza sarebbe stata opportuna.
7. La dottrina ha posto in rilievo come in questi ultimi anni, nella disciplina del settore nucleare, si registri una tendenza generale negli Stati ad attribuire minore rilievo alle istanze locali (Michanek – Soederholm).
Il problema nel nostro ordinamento deriva dagli effetti della riforma costituzionale del 2001, di ispirazione federalista.
Nel d.lgs. 31/10 la disciplina delle funzioni amministrative è stata attratta a livello statale: ne ha dato atto anche il Consiglio di Stato in sede di parere sul decreto. La disciplina dovrebbe quindi rientrare nella produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, materia di competenza legislativa concorrente Stato – Regioni, ex art. 117 terzo comma Cost.
Sono rinvenibili intrecci con altre materie di competenza esclusiva statale (tutela dell'ambiente, tutela della concorrenza, ecc.), così come di competenza concorrente (governo del territorio), ma la prevalenza della materia relativa all'energia appare difficilmente contestabile.
Secondo il principio enunciato a partire dalla sentenza 303 del 2003 della Corte Costituzionale, i principî di sussidiarietà e di adeguatezza possono giustificare una deroga al normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata. Il testo del decreto non nasconde questo problema, ma ne dà una soluzione di cui occorrerà verificare la legittimità.
Le Regioni sono sinora intervenute per reclamare la loro competenza con due modalità diverse.
In primo luogo mediante proprie leggi: la Regione Puglia ha adottato la l. n. 30 del 4 dicembre 2009, “Disposizioni in materia di energia nucleare”, composta di un unico articolo, il quale vieta l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché di depositi di materiali e rifiuti radioattivi in assenza di intese con lo Stato in merito alla loro localizzazione, affermando di muoversi nel pieno rispetto dei principi di sussidiarietà, ragionevolezza e leale collaborazione; disposizioni identiche nel contenuto sono state adottate in Campania (art. 1 comma 2, l.r. 2 del 21 gennaio 2010) e Basilicata (art. 8 l.r. 19 gennaio 2010, n. 1). Da queste disposizioni non si evince una preclusione assoluta alla produzione di energia elettrica nucleare, ma è escluso che questa possa essere decisa in assenza di intesa con la Regione.
In secondo luogo diverse Regioni hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale, impugnando prima la delega contenuta nella l. 99/09 e poi il d.lgs. 31/10: in entrambe le occasioni l'argomento più rilevante è costituito dalla mancata previsione di intese con la Regione o dal mancato coinvolgimento degli enti locali interessati; nel secondo ricorso, tra l'altro, sono stati denunciati anche l'adozione del decreto senza il parere della Conferenza Unificata prescritto dalla legge delega, e il rinvio ad emanandi decreti ministeriali anziché a decreti legislativi (aspetti di criticità rilevati anche dal Consiglio di Stato).
Certamente il nervo scoperto è costituito dal meccanismo sostitutivo dell'intesa, previsto dal d.lgs. 31/10 in tre occasioni: nel procedimento che si conclude con la certificazione del sito (art. 11); nel procedimento di localizzazione del Parco Tecnologico (art. 26); a seguito della conferenza di servizi necessaria per il conseguimento dell’autorizzazione unica alla costruzione e gestione dell'impianto (art. 13).
Nei primi due casi, se non ricorre l’intesa tra Ministero dello Sviluppo economico e Regione, questa può realizzarsi in un Comitato interistituzionale, costituito in maniera paritaria da componenti indicati dalla Regione e dallo Stato. Nel caso in cui comunque non si pervenga all’intesa, può intervenire un decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, integrato con la partecipazione del Presidente della Regione.
Il legislatore delegato ha cioè previsto la medesima soluzione adottata dall’art. 27, comma 24 della l. 99/09 per riscrivere l’art. 1-sexies, comma 4-bis, del d.l. 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290). Il comma 4-bis, nel suo testo originario, era infatti stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale (sentenza 383 del 2005), in quanto prevedeva un «potere sostitutivo» statale in caso di mancata intesa con la regione interessata.
Nel terzo caso la mancata intesa in sede di conferenza di servizi con un ente locale coinvolto, qualora non sia raggiunta l'intesa entro un ulteriore termine assegnato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, è sostituita da decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri cui partecipa il Presidente della Regione interessata all'intesa.
Sarà da vedere se la Corte Costituzionale riterrà legittimo che mediante questi strumenti sia superata la mancanza dell'intesa.
Sul punto si veda ad esempio la sentenza 383 del 2005, la quale ha stabilito che il potere sostitutivo (ex art. 120 Cost.) non possa essere applicato laddove sia imposta una intesa fra organi statali e organi regionali; che le intese costituiscono condizione imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la “chiamata in sussidiarietà” di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, e che deve trattarsi di intese “in senso forte”, a struttura necessariamente bilaterale, non superabili con decisione unilaterale. La Corte tuttavia ha lasciato spazio ad altre soluzioni: ha affermato l’esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, ammettendo l’individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l’adozione dell’atto finale nei casi in cui siano insorte difficoltà a conseguire l’intesa, ma anche precisando che tali procedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento dell’intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni.
Sembra di capire che quindi, a meno che la Corte non cambi orientamento, possano essere previste procedure di superamento dell'intesa, ma sempre a livello paritario, rimanendo altrimenti come unica via il conflitto di attribuzione. In questo senso sembrerebbe legittimo il meccanismo del Comitato interistituzionale, ma non quello successivo del Consiglio dei ministri allargato al Presidente della Regione.
Ciò non toglie che la giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni sia stata caratterizzata da una maggiore attenzione agli argomenti del centralismo rispetto a quella immediatamente successiva al 2001 (si pensi solo alla rilettura delle materie trasversali indotta dalle sentenze in materia di ambiente, a partire dalla 367 del 2007) e che la Corte spesso abbia aggirato il problema, riconducendo una disciplina alla competenza esclusiva statale attraverso diversi meccanismi (ad esempio il ritaglio di materie, oppure la prevalenza di una competenza statale in caso di intreccio di competenze), così da non ritenere più necessaria l'intesa.
La soluzione di questa questione, in altri termini, è ancora da scrivere.
Pubblicato il 25/05/2010