di Michela Giachetti Fantini

1. Le città metropolitane sono state per la prima volta previste dalla legge n. 142 del 1990 di riforma dell’ordinamento degli enti locali, successivamente abrogata ad opera dell’art. 274 del D.Lgs. n. 267 del 2000, recante il Testo unico degli enti locali. In particolare la disciplina delle città metropolitane era contenuta negli artt. 17-21 del capo VI della citata legge n. 142. Segnatamente l’art. 17, al quarto comma, prevedeva che “nell’area metropolitana la provincia si configura come autorità metropolitana con specifica potestà statutaria ed assume la denominazione di “città metropolitana”. Ad essa si applicavano, ai sensi del secondo comma dell’art. 18, “le norme relative alle province in quanto compatibili, comprese quelle elettorali fino all’emanazione di nuove norme”. Inoltre, la medesima disposizione stabiliva, al primo comma, che “nell’area metropolitana, l’amministrazione locale si articola in due livelli: la città metropolitana e i comuni” e disponeva, rispettivamente, al terzo comma e quarto comma, che “sono organi della città metropolitana il consiglio metropolitano, la giunta metropolitana e il sindaco metropolitano”, il quale, a sua volta, “presiede il consiglio e la giunta”.

La motivazione che aveva indotto il legislatore statale ad introdurre tale nuovo ente territoriale era costituita dall’esigenza di fornire un istituto sufficientemente flessibile per risolvere i problemi delle grandi aree urbane, la cui dimensione territoriale superasse i confini comunali; problemi, questi ultimi, caratteristici delle zone densamente popolate ovvero derivanti dall’esigenza di coordinamento di una pluralità di comuni che, di fatto, formavano un unico complesso, in ragione dell’interdipendenza degli stessi. In sostanza, il riconoscimento istituzionale delle città metropolitane rappresentava la risposta più adeguata dell’ordinamento al diffuso fenomeno delle concentrazioni urbane, emerso con l’avvento della società industriale e divenuto sempre più ingovernabile mediante il solo strumentario offerto dalla normativa e dalla struttura delle amministrazioni comunali.

2. Le città metropolitane sono state oggetto di riconoscimento costituzionale con la riforma del Titolo V della Costituzione di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha rappresentato un ulteriore tentativo di attuare concretamente tale istituto. Il nuovo art. 114 nel prevedere, al primo comma, che la “Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato”, inserisce le città metropolitane tra gli enti territoriali che si configurano quali elementi costitutivi della Repubblica, equiparando la posizione delle stesse a quella di comuni, province e regioni. La precedente formulazione dell’art. 114, primo comma, secondo cui “la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” implicava la necessaria divisione di tutto il territorio nazionale in tre tipi di enti territoriali (regioni, province e comuni), che dovevano essere presenti ovunque, nel senso che non avrebbe potuto esservi “parte” del territorio italiano che non appartenesse contemporaneamente ad una regione, ad una provincia o ad un comune. La nuova formulazione della norma di cui all’art. 114 abbandona questa concezione geografica-amministrativa del territorio nazionale, rendendo possibile enumerare tra gli enti costitutivi della Repubblica anche le città metropolitane, che non sono ancora istituite e che soprattutto, per la loro intrinseca natura, non possono essere presenti sull’intero territorio nazionale.

Inoltre l’art 114, al secondo comma, qualifica le città metropolitane, al pari di comuni, province e regioni, come “enti autonomi con propri statuti, funzioni e poteri secondo i principi fissati dalla Costituzione”: dalla pari dignità politico-istituzionale esistente tra città metropolitane, comuni, province e regioni deriva dunque la parità di regime giuridico dei suddetti enti, il quale è per tutti definito dai principi costituzionali. In particolare le città metropolitane hanno in comune con gli altri enti territoriali l’autonomia statutaria: ciò porta ad escludere che il loro statuto possa essere approvato con legge statale.

Appare evidente che la previsione a livello costituzionale della città metropolitana ed il conferimento ad essa dei medesimi poteri spettanti agli altri enti locali siano finalizzati alla valorizzazione e al rilancio di tale istituto. Inoltre l’attribuzione alla città metropolitana del carattere di ente territoriale implica che essa si configuri come ente di governo della propria comunità, di cui rappresenta e cura gli interessi e, che, quindi, essa, qualificandosi come ente esponenziale della rispettiva comunità, sia dotata di organi direttamente elettivi.

La disciplina costituzionale in materia di città metropolitane è poi completata dalle norme contenute negli artt. 117, 118 e 119. In particolare, l’art 117, sesto comma, riconosce alle città metropolitane un potere regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni ad esse attribuite. L’ art.118, primo comma, stabilisce che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni ma che, allo scopo di assicurarne l’esercizio unitario, possono essere conferite alle città metropolitane sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

Ciò significa che le funzioni amministrative possono essere sottratte al comune qualora ne sia richiesto lo svolgimento unitario al livello di governo della città metropolitana.

Inoltre, ai sensi dell’art. 118, secondo comma, le città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze. A norma poi dell’art. 118, terzo comma, le città metropolitane, insieme con lo Stato, le regioni, le province e i comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale.

L’art. 119, primo comma, qualifica poi le città metropolitane come enti dotati di autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Il secondo comma della medesima disposizione prevede altresì che esse hanno risorse autonome e che hanno la possibilità di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché di disporre la compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. In particolare il riferimento ai principi di coordinamento del sistema tributario richiama leggi nazionali che individuino, in termini generali, le fonti di entrata degli enti locali, o che definiscano le regole della compartecipazione locale al gettito dei tributi erariali. Il quarto comma del richiamato art. 119 sancisce poi che l’esercizio delle funzioni pubbliche di competenza delle città metropolitane deve essere realizzato mediante copertura integrale con le risorse proprie dell’ente. Il sesto comma della disposizione in parola stabilisce altresì che le città metropolitane hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato.

Occorre inoltre rilevare che, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. p), la potestà legislativa in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali delle città metropolitane è assegnata alla competenza esclusiva dello Stato, spettando per le rimanenti materie alla competenza residuale delle Regioni, di cui al quarto comma del medesimo art. 117. In proposito va precisato che l’art 2 della legge n 131 del 2003 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, ha delegato il Governo a dare attuazione all’art. 117, secondo comma, lett. p), stabilendo alcuni principi e criteri direttivi, tra i quali l’individuazione e la disciplina degli organi di governo delle città metropolitane e del relativo sistema elettorale, secondo criteri di rappresentatività e democraticità che favoriscano la formazione di maggioranze stabili e assicurino la rappresentanza delle minoranze.

È necessario infine porre attenzione a quattro profili inerenti la disciplina costituzionale delle città metropolitane. In primo luogo, la Costituzione non fornisce alcuna indicazione in ordine all’individuazione e alla localizzazione delle città metropolitane. Se ne deduce che il legislatore costituzionale abbia inteso a tali fini far propria la nozione di area metropolitana fornita dall’art. 22 del Testo unico degli enti locali e fondata sui “rapporti di stretta integrazione territoriale e in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali”. Tuttavia pur non definendo gli elementi costitutivi ed i confini dei nuovi enti territoriali, la Costituzione afferma, implicitamente, due proposizioni: 1) che in Italia esistono aree metropolitane; 2) che ad esse debbono corrispondere enti territoriali diversi sia dai comuni che dalle province, vale a dire le città metropolitane.

In secondo luogo, il legislatore costituzionale della riforma del Titolo V, al pari del legislatore ordinario della legge n. 142, concepisce la città metropolitana come ente “alternativo” alla provincia, nel senso che la costituzione della città metropolitana in una determinata area del territorio nazionale esclude in quell’ambito territoriale la presenza della provincia. D’altro canto, l’impossibilità di duplicare i livelli di governo di area vasta senza contemporaneamente “svuotare” di contenuto le funzioni dell’uno o dell’altro ente rendono pressocchè obbligata l’esclusione dell’ente provincia . Se infatti l’istituzione delle città metropolitane, in quanto enti necessari, è atto dovuto almeno nelle aree che si definiscono “metropolitane”, l’esclusione della provincia in quelle aree diviene conseguenza necessaria. Peraltro, in un’ottica di semplificazione, il territorio della città metropolitana coincide, laddove possibile, con il territorio della provincia.

In terzo luogo, la Costituzione non contiene alcuna norma che disciplini il procedimento di costituzione delle città metropolitane, a differenza di quanto accade per i casi di creazione di nuove regioni e fusione di quelle esistenti o di modifica delle circoscrizioni provinciali e istituzione di nuove province, per i quali la Costituzione predispone un apposito procedimento, rispettivamente, agli artt. 132 e 133. In proposito occorre evidenziare che la disposizione di cui al primo comma del citato art. 133 non è applicabile analogicamente all’ipotesi in esame, relativa alla costituzione di città metropolitane, rispondendo alla diversa esigenza di assumere l’eventuale determinazione di modificare i confini di un ente territoriale preesistente alla Costituzione italiana, quale è la Provincia, soltanto su richiesta comunale. Al contrario, con riguardo alla questione concernente l’istituzione della città metropolitana, è opportuno rilevare che si tratta di creare un ente costitutivo della Repubblica, la cui intrinseca novità e l’incidenza inevitabile su consolidate realtà comunali, provinciali, regionali, impediscono di affidare il relativo procedimento di costituzione alla sola iniziativa dei comuni. Se ne trae la conclusione che per l’istituzione della città metropolitana sia necessario ricorrere all’adozione di una legge di tipo rinforzato, che preveda il coinvolgimento di tutti gli enti di governo territoriale interessati.

In quarto luogo va osservato che l’art. 10 della legge n. 3 del 2001 stabilisce che “fino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”. Da questa disposizione si ricava che le norme costituzionali in materia di città metropolitane, di cui ai menzionati artt. 114, 117, 118 e 119, si applicano anche alle regioni a statuto speciale. La Costituzione, così come il Testo Unico degli enti locali, fa comunque salva la legislazione vigente di queste ultime.

Si segnala infine la peculiare posizione della città di Roma in quanto capitale della Repubblica, costituzionalizzata dal terzo comma dell’art. 114, il quale prevede che una legge dello Stato disciplina direttamente il suo ordinamento, pur nell’ambito territoriale nella quale ha competenza la regione Lazio. Al riguardo occorre evidenziare che nell’ambito della dimensione di “Roma capitale” si trovano a coesistere sia interessi della comunità generale, sia interessi della comunità locale. Ciò comporta che la disciplina costituzionale riconosca la particolare posizione di Roma capitale e ponga le condizioni per uno sviluppo normativo capace di dare alla città un proprio ordinamento, differenziato da quello di altri comuni e delle città metropolitane.

3. La legge n. 42 del 2009, recante “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione”, contiene alcune norme che si riferiscono specificamente alle città metropolitane. In particolare, l’art. 15, inserito nel capo IV riguardante il finanziamento delle città metropolitane e di Roma capitale, prevede l’approvazione di uno specifico decreto legislativo per assicurare il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi, allo scopo di assicurare ai suddetti enti una più ampia autonomia di entrata e di spesa, in relazione alla complessità delle funzioni ad essi attribuite. In particolare, la norma in esame stabilisce il principio della stessa autonomia impositiva attribuita alle città metropolitane in corrispondenza delle funzioni attualmente esercitate dagli altri enti territoriali e prevede il contestuale definanziamento, vale a dire la riduzione dei trasferimenti degli enti locali le cui funzioni sono affidate alle città metropolitane. Inoltre la disposizione in parola deve essere posta in collegamento con il successivo art. 23 che, come si vedrà, detta una normativa transitoria concernente la prima istituzione delle città metropolitane. Nell’art. 15 è altresì previsto che il decreto legislativo è adottato dal Governo, oltre che in base all’art. 2 e, quindi entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega , anche coerentemente con i principi stabiliti dall’art. 11 sul finanziamento dei comuni, province e città metropolitane, dall’art. 12 sul coordinamento ed autonomia di entrata e di spesa degli enti locali, dall’art. 13, sull’entità e sul riparto dei fondi perequativi per gli enti locali. Inoltre si dispone che il suddetto decreto legislativo detti le norme concernenti l’assegnazione alle città metropolitane di tributi ed entrate propri, anche diversi da quelli assegnati ai comuni. Inoltre si prevede che il decreto in parola contenga la disciplina concernente la facoltà per le città metropolitane di applicare i tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all’esercizio delle loro funzioni fondamentali. Pertanto, a differenza di quanto stabilito per i comuni e le province, ai sensi dell’art. 11, primo comma, lett. b) e dell’art 12, primo comma, lettere b) e c), l’art. 15 in commento rimette alle città metropolitane la possibilità di scelta in ordine ai tributi, il cui gettito sia destinato al finanziamento delle spese relative alle funzioni fondamentali. Infine, la suddetta norma puntualizza che rimane ferma la disposizione recata dall’art. 12, primo comma, lettera d), che riconosce la possibilità di istituire, con norma primaria statale, tributi propri comunali, c.d. di “scopo”, finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche o al finanziamento di determinate spese connesse ai flussi turistici o alla mobilità urbana. Orbene, considerato che si tratta di tributi propri dei comuni, non risulta chiaro quale possa essere il senso della conferma di una previsione che non interessa specificamente le città metropolitane.

Venendo poi ad esaminare l’art. 19 della legge n. 42, esso dispone che i decreti legislativi, che il Governo è delegato ad adottare entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della suddetta legge delega, in attuazione dell’art. 119, sesto comma, della Costituzione, devono stabilire i principi generali per l’attribuzione alle città metropolitane di un proprio patrimonio, in conformità a determinati criteri direttivi.

Si passa quindi ad analizzare l’art. 23, il quale, inserito nel capo VIII rubricato “Norme transitorie e finali”, introduce una disciplina transitoria che consente, in via facoltativa, una prima istituzione delle città metropolitane e che, come specificato al primo comma, resta in vigore fino all’approvazione di un’apposita legge ordinaria che stabilirà le modalità per la definitiva istituzione delle città metropolitane, e che avrà come oggetto la definizione delle funzioni fondamentali, degli organi e del sistema elettorale delle città metropolitane.

La scelta di inserire una norma recante la disciplina in via transitoria delle città metropolitane nella legge delega sul federalismo fiscale si spiega in ragione delle finalità di semplificazione ed efficienza, cui è ispirata la legge in parola. Infatti l’art. 23 contiene un articolato complesso di disposizioni che potrebbero fungere da strumento utile per avviare la regolamentazione del livello istituzionale delle aree metropolitane ed offrire, in tal modo, un contributo concreto per la realizzazione di un governo più efficiente.

L’ambito di applicazione della disciplina transitoria, di cui all’art 23 della legge n. 42, non si estende a tutti i territori interessati dalla normativa vigente dettata dal Testo Unico degli enti locali, ma solamente alle aree di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli. Inoltre a queste ultime si aggiunge Reggio Calabria, che non è prevista dalla disciplina vigente, e risulta esclusa Roma, che, invece, insieme alle otto città sopra indicate è compresa fra le aree in cui è possibile costituire le città metropolitane, ai sensi dell’art. 21, primo comma, del D.Lgs. n. 267 del 2000. I motivi di tale esclusione devono essere individuati nella previsione, dettata dall’art. 24 della legge delega sul federalismo fiscale, di una specifica disciplina transitoria dedicata a Roma capitale, anch’essa destinata a produrre i suoi effetti “fino all’attuazione della disciplina delle città metropolitane”, ovvero fino all’adozione di un’apposita legge organica.

La disciplina transitoria dettata dall’art. 23 riguarda poi solo le aree metropolitane delle regioni a statuto ordinario, mentre non sono contemplate nell’ambito applicativo di tale norma le aree metropolitane delle regioni a statuto speciale, vale a dire Trieste, Palermo, Catania, Messina e Cagliari. Per tali città dovrebbe quindi ritenersi ancora applicabile la norma di cui all’art. 22, terzo comma, del Testo unico degli enti locali che demanda all’autonoma regolamentazione delle regioni a statuto speciale la disciplina delle città metropolitane.

Inoltre la nuova disciplina transitoria introduce un procedimento per l’istituzione della città metropolitane che presuppone l’esistenza e, quindi, la precedente delimitazione delle aree metropolitane. Tale delimitazione rimane regolata dalla disciplina vigente contenuta nell’art. 22 del Testo Unico degli enti locali. Attualmente, solo Venezia, Genova, Bologna e Firenze hanno proceduto a delimitare il territorio dell’area metropolitana, mentre Torino, Milano, Napoli, Bari e Reggio Calabria, non hanno ancora effettuato la suddetta delimitazione. Con la conseguenza che per queste ultima città la normativa introdotta dall’art. 23 della legge delega sul federalismo fiscale, si applicherebbe solo a partire dal momento dell’effettiva delimitazione dell’area metropolitana, da compiersi secondo le modalità vigenti.

L’art. 23, secondo comma, della legge n. 42 del 2009, a differenza dell’art 23, secondo comma, del D.Lgs. n. 267 del 2000, che prevede un’unica modalità per dare avvio al procedimento di istituzione della città metropolitana , consistente nell’approvazione di una proposta di statuto con deliberazione conforme, da un lato, da parte di tutti i consigli comunali coinvolti e, dall’altro, da parte dell’assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati, stabilisce tre diverse possibilità di iniziativa: da parte del comune capoluogo e della provincia, congiuntamente tra di loro o separatamente. In particolare, qualora la proposta sia presentata solo da uno dei due enti locali, comune capoluogo o provincia, essa deve essere sostenuta da almeno il venti per cento dei comuni della provincia interessata, che rappresentino nel complesso il sessanta per cento della popolazione.

In sostanza, nell’art. 23 della legge delega sul federalismo fiscale si prefigurano tre modelli di iniziativa per l’istituzione della città metropolitana: la prima che si fonda sulla parità istituzionale dei due enti territoriali principalmente interessati, Provincia e Comune; il secondo ed il terzo che vedono, rispettivamente, la preminenza del comune capoluogo e della provincia.

Il terzo comma del citato art. 23 descrive poi l’oggetto della proposta di istituzione della città metropolitana, che si compone di tre elementi: la perimetrazione della città metropolitana; l’articolazione interna della stessa in comuni; una proposta di statuto provvisorio. In particolare, la perimetrazione della città metropolitana, nel rispetto del principio di continuità territoriale, deve comprendere almeno tutti i comuni proponenti e il comune capoluogo, nonchè coincidere con il territorio di una sola provincia o di una sua parte. Inoltre lo statuto provvisorio deve definire le forme di coordinamento dell’azione di governo all’interno del territorio metropolitano e deve disciplinare le modalità di scelta del presidente del consiglio provvisorio della città metropolitana.

La fase successiva del procedimento di costituzione delle città metropolitane è costituita dal referendum confermativo A tale scopo il quarto comma dell’art. 23 dispone che, previa acquisizione del parere regionale, è indetto un referendum tra tutti i cittadini della provincia interessata. Il parere della regione sulla proposta deve essere acquisito entro novanta giorni. L’eventuale parere negativo non preclude il proseguimento della procedura, ma incide unicamente sul quorum di validità del referendum confermativo che è del trenta per cento degli aventi diritto, mentre in presenza di un parere positivo non è previsto alcun quorum. In proposito è necessario evidenziare come la disciplina prevista per il referendum confermativo per le città metropolitane di prima istituzione differisca, sotto numerosi profili, dalla normativa vigente recata dall’art. 23 del Testo unico degli enti locali. In primo luogo quest’ultimo stabilisce un quorum per la validità del referendum pari ad almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto. Al contrario la disposizione in esame prevede un quorum più basso, che è del trenta per cento in caso di parere regionale negativo. Addirittura, in caso di parere positivo o di assenza di parere, non è previsto alcun quorum. In secondo luogo, l’art 23 del D.Lgs. n. 267 prevede lo svolgimento del referendum entro centoottanta giorni dall’approvazione della proposta, mentre l’art. 23 della legge n. 42 non stabilisce sul punto alcun termine. In terzo luogo, mentre la normativa vigente fa semplicemente riferimento al “referendum a cura di ciascun comune partecipante”, la disposizione della legge delega sul federalismo fiscale prevede che il referendum è sottoposto a “ tutti i cittadini della provincia”, con il risultato che sembrerebbe preclusa l’eventuale partecipazione al referendum dei cittadini stranieri anche nei comuni dove ciò sia consentito dallo statuto.

Ai sensi poi del quinto comma dell’art. 23, la disciplina del procedimento di indizione e di svolgimento del referendum è affidata ad un regolamento governativo, che deve essere adottato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge delega, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri della giustizia, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa e per i rapporti con le regioni. A norma dell’art. 17, primo comma, della legge n. 400 del 1988, il suddetto regolamento sarà emanato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato entro novanta giorni dalla richiesta. Inoltre il regolamento dovrà osservare, in quanto compatibili, le disposizioni della legge generale sui referendum, vale a dire della legge n. 352 del 1970.

In proposito va osservato che il Testo unico degli enti locali, non contenendo una disposizione analoga riguardante l’indizione e lo svolgimento del referendum, implicitamente, sembrerebbe rimettersi sul punto alla disciplina dei singoli comuni.

Inoltre il sesto comma dell’art. 23 stabilisce che il Governo è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi per l’istituzione di ciascuna città metropolitana entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega, su proposta del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro per i rapporti con le regioni, di concerto con i ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione, dell’economia e delle finanze e per i rapporti con il Parlamento. Al riguardo va evidenziato che, nell’eventualità che per una o più città metropolitane non si giungesse entro tale termine all’emanazione del relativo decreto legislativo, sembrerebbe decadere la facoltà di applicare la procedura descritta e si dovrebbe applicare la disciplina vigente prevista dal Testo unico.

Il settimo comma dell’art 23 prevede poi che gli schemi dei suindicati decreti legislativi, corredati delle deliberazioni e dei pareri prescritti, sono trasmessi al Consiglio di Stato ed alla Conferenza unificata, che devono esprimere il proprio parere nel termine di trenta giorni. Successivamente i decreti legislativi in parola sono trasmessi alle Camere per l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, da rendersi entro trenta giorni dall’assegnazione alle medesime commissioni.

I summenzionati decreti legislativi devono rispettare i seguenti principi e criteri direttivi:

a) conformità della proposta approvata con referendum;

b) istituzione, in ciascuna città metropolitana, di un organo rappresentativo delle città metropolitane provvisorie, originate a seguito del referendum, denominato “ consiglio provvisorio della città metropolitana”, composto da tutti i sindaci che fanno parte della città metropolitana e dal presidente della provincia;

c) esclusione che ai componenti del consiglio provvisorio possano essere corrisposti emolumenti, gettoni di presenza o altre forme di retribuzione;

d) previsione che, fino alla data di insediamento dei rispettivi organi, il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicuri agli stessi una più ampia autonomia di entrata e di spesa in ragione della complessità delle funzioni da esercitarsi in forma associata o congiunta nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente;

e) previsione che le funzioni fondamentali della provincia siano considerate provvisoriamente funzioni della città metropolitana, con efficacia dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi, ai soli fini delle disposizioni che riguardano le spese e l’attribuzione delle risorse finanziarie e limitatamente alla popolazione e al territorio metropolitano;

f) previsione che, sempre ai soli fini sopra indicati, siano considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, oltre a quelle proprie della provincia, altre tre funzioni: 1) la pianificazione del territorio, compresa quella delle reti di infrastrutture; 2) il coordinamento e la gestione dei servizi pubblici; 3) la promozione ed il coordinamento dello sviluppo economico e sociale. In proposito va rileva che le suindicate funzioni sono comprese nell’elenco delle materie per le quali, ai sensi dell’art. 24 del Testo Unico degli enti locali, le regioni possono definire ambiti sovracomunali per assicurarne l’esercizio coordinato mediante forme associative.

L’ottavo comma dell’art. 23 dispone altresì la soppressione delle province nel cui territorio sono situate le città metropolitane, a partire dall’insediamento dei nuovi organi rappresentativi di queste ultime, che sostituiranno gli organi provinciali e che saranno individuati dalla legge ordinaria di cui al primo comma. La legge in parola dovrà altresì disciplinare il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle stesse, nonchè dare attuazione alle nuove perimetrazioni territoriali. Inoltre si prevede che lo statuto definitivo della città metropolitana sarà adottato dagli organi competenti entro sei mesi dalla data del loro insediamento.

Infine, il nono comma dell’art. 23 della legge n. 42 prevede che con la richiamata legge ordinaria, di cui al primo comma, sia stabilita la disciplina per l’esercizio dell’iniziativa da parte dei comuni, non inclusi nella perimetrazione dell’area metropolitana, in modo da assicurare la scelta da parte di ciascun comune in ordine all’inclusione nel territorio della città metropolitana ovvero in altra provincia già esistente nel rispetto della continuità territoriale. In sostanza, con tale disposizione viene fornita ai comuni non inclusi nella perimetrazione della città provvisoria una seconda possibilità per poter scegliere di far parte della città metropolitana definitiva.

4. Il fallimento del progetto di costituzione delle città metropolitane, originariamente concepito nella legge di riforma dell’ordinamento degli enti locali, è stato principalmente determinato dalla circostanza di aver trascurato l’importanza del principio di “differenziazione”, al quale dovrebbe essere ispirato un possibile procedimento istitutivo delle città metropolitane. Infatti, la città metropolitana corrisponde ad un’area avente caratteristiche di “metropoli” e, quindi, avente caratteristiche diverse rispetto alle restanti zone del territorio nazionale. Invero, la città metropolitana non esiste, come gli altri enti del governo territoriale su tutto il territorio nazionale, e non è necessariamente dotata di un ordinamento uniforme. Ne discende che ciascuna città metropolitana può avere un ordinamento differenziato e che le soluzioni ai problemi della aree metropolitane possono variare nel tempo.

D’altro canto l’assoluta peculiarità della città metropolitana che giustifica l’esigenza di un approccio “diversificato” alla questione concernente la costituzione di tale ente, emerge anche se si considera che la città metropolitana presenta nei confronti della provincia, rispetto alla quale si configurerebbe come ente “alternativo” e, quindi, in ultima analisi, sostitutivo, una diversità di ordine sia strutturale che funzionale. In particolare, la diversità di ordine strutturale riguarda la necessaria articolazione interna del territorio della città metropolitana in comuni, requisito che non sussiste per la provincia; la diversità di ordine funzionale attiene, invece alla commistione di funzioni comunali, provinciali, regionali e anche statali di cui risulta titolare la città metropolitana.

L’altro motivo, che ha causato l’insuccesso del disegno di istituzione delle città metropolitane, concepito nella legge n. 142 del 1990, è rappresentato dall’esistenza di interessi contrastanti di cui sono portatori le regioni ed i comuni confinanti con l’epicentro dell’area metropolitana, che, dando luogo ad un meccanismo di “veti incrociati” nell’ambito della procedura di costituzione delle città metropolitane, hanno impedito di raggiungere il consenso degli enti locali sulla stessa, condizione, quest’ultima, assolutamente necessaria per addivenire alla formazione dei nuovi enti territoriali.

Ai fattori di criticità sopra descritti hanno tentato di porre rimedio sia la normativa vigente in materia di città metropolitane, contenuta del Testo unico degli enti locali, sia la disciplina transitoria dettata per le stesse dalla legge delega sul federalismo fiscale.

Rimangono tuttavia alcuni elementi di complicazione del sistema delle autonomie locali relativi all’intreccio delle competenze esistente tra Stato, regioni, comuni e città metropolitane. Infatti l’individuazione delle funzioni delle città metropolitane è affidata, rispettivamente, alla legge statale e alla legge regionale, dato che, come visto, l’art. 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia relativa “alle funzioni fondamentali delle città metropolitane”, nonché alla legislazione elettorale ed agli organi di governo di queste ultime, mentre rientra nella competenza residuale delle regioni, di cui al quarto comma, del medesimo art. 117, la disciplina delle restanti materie concernenti le città metropolitane, quali ad esempio il personale, la contabilità, l’organizzazione amministrativa, nonché la definizione di una parte delle funzioni, diverse da quelle ritenute fondamentali.

Inoltre, ai sensi dell’art. 118, primo e secondo comma, la singola città metropolitana ha funzioni amministrative proprie ( essenzialmente riconducibili alla pianificazione del territorio, alla gestione dei servizi pubblici a rete, alla promozione e al coordinamento dello sviluppo economico e sociale) e può risultare destinataria di:

- funzioni amministrative comunali, trasferite in base al principio di sussidiarietà verticale ovvero delegate (ad esempio piani regolatori urbanistici, trasporti, polizia urbana).

- funzioni amministrative conferite con legge statale (ad esempio competenze attribuite a sindaci metropolitani, in qualità di commissari straordinari, in materia di traffico, mobilità, circolazione acquea a Venezia);

- funzioni amministrative conferite con legge regionale (ad esempio pianificazioni di area vasta subregionale);

Alla luce di quanto precede emerge che alla città metropolitana possono quindi essere attribuite sia funzioni di amministrazione attiva che funzioni amministrative di coordinamento e programmazione di area vasta. Tuttavia, come visto, con riguardo a queste ultime funzioni, l’ente metropolitano appare fortemente condizionato dal potere che ha la regione di determinare gli ambiti sovracomunali per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali, attraverso forme associative e di cooperazione.

Peraltro, la previsione delle suddette forme associative e di cooperazione, la cui disciplina è affidata alle regioni, mette in luce il carattere “sperimentale” del procedimento di costituzione delle città metropolitane, che deve prevedere la possibilità per un periodo di sperimentazione più o meno lungo di dar luogo ad un’organizzazione metropolitana su base associativa, simile per tipologia ad un’unione di comuni, cioè ad un modello diverso da quello proprio della città metropolitana, e che tuttavia non risulta in contraddizione con quest’ultimo, potendo anche concretizzare una città metropolitana “in fieri”, ovvero in corso di formazione.

Pubblicato l' 1/02/2010