Il d.l. 28.1.2019, n. 4 ha introdotto il Reddito di Cittadinanza (Rdc) al posto del previgente Rei (d.lgs. 15.9.2017, n. 147), in un ambizioso tentativo di coniugare politiche attive del lavoro e lotta alla povertà.

A circa un anno dal suo avvio, il Reddito d’Inclusione (Rei) è superato dal Reddito di cittadinanza (Rdc). Se ne conserva l’impostazione di base: un trasferimento monetario condizionato a uno sforzo d’inserimento socio-lavorativo. L’ambizione è quella di ampliare la platea di beneficiari, incentivando però la ricerca di lavoro.

Come cambia il sostegno alle famiglie povere?

Accedono alla misura, purché residenti in Italia per almeno 10 anni (di cui gli ultimi 2 in via continuativa) i cittadini italiani ed europei, i loro familiari, e i non comunitari con permesso di lungo soggiorno. Il Rdc richiede, anche se discontinui, 8 anni di residenza in Italia più del Rei: una norma che, contrastando con recenti pronunciamenti della Consulta, discrimina fortemente gli stranieri (specialmente se under 30) e potrebbe limitare la libertà di circolazione in UE.

Rispetto al Rei, sono più alte le soglie reddituali e patrimoniali: è richiesto un ISEE inferiore a euro 9.360 annui (prima il limite era €6.000), un patrimonio immobiliare (prima casa esclusa) entro  euro 30.000 (prima  euro 20.000), e un patrimonio finanziario e un reddito familiare commisurati alla composizione del nucleo. Circa il primo, i requisiti si richiamano al Rei (euro 6.000 per i single, euro 8.000 per le coppie e euro 10.000 per le famiglie), ma il massimale cresce di ulteriori euro 1.000 per ogni figlio dopo il secondo e di euro 5.000 per ogni componente disabile. Riguardo al reddito, la soglia base del Rei (euro 3.000, ma sinora ridotti del 25%) sembra raddoppiare, arrivando fino a euro 9.360 per chi risiede in affitto. Non è proprio così, perché cambiano i metodi di conteggio. Ad esempio, non si considera l’indennità di accompagnamento. Inoltre, la composizione del nucleo è catturata da una scala di equivalenza più avara con le famiglie numerose. Sono esclusi i nuclei che dispongono di alcuni beni durevoli e i disoccupati volontari (non per giusta causa) da 12 mesi o meno. Restano da disciplinare la ripartizione del beneficio all’interno dei nuclei e le esclusioni individuali. Aspre sanzioni attendono chi presenta dichiarazioni false o incomplete.

Il beneficio, non inferiore a euro 480 l’anno ed erogato in 12 mensilità, si compone di due parti. La prima integra il reddito familiare sotto euro 6.000 annui (da moltiplicare per la scala di equivalenza): ben oltre, quindi, il massimale mensile del Rei (euro 540 circa). La seconda concede altri euro 280 mensili a chi risiede in affitto, ovvero euro 150 in caso di mutuo prima casa. Ciò determina una “scala effettiva” per l’intero importo ancor più “piatta” e bassa di quella nominale. Per i nuclei di soli over 67, è introdotta una “pensione di cittadinanza” (Pdc), in cui salgono a  euro 7.560 (per un single) la soglia reddituale di accesso e quella d’integrazione al reddito, cui si aggiunge un contributo di  euro 150 mensili in caso di mutuo o affitto. Dopo la richiesta, presso uffici postali e CAF o in via telematica, l’INPS verifica i requisiti ed eroga le somme su un’apposita prepagata di Poste Italiane. Il Rdc è corrisposto per 18 mesi ed è indefinitamente rinnovabile dopo un mese di sospensione (non applicato alla Pdc). Il Rei era rinnovabile per soli 12 mesi, dopo 6 di sospensione.

La nuova architettura di governance per l’inclusione socio-lavorativa

Come il Rei, il Rdc promuove l’inserimento socio-lavorativo. Riconosciuto il beneficio, i destinatari vengono convocati dai Centri per l’impiego (Cpi) o dai servizi sociali comunali. Ultrasessantacinquenni, disabili e membri con comprovati carichi di cura sono esentati dagli obblighi di attivazione. Per gli altri, inadempimenti ingiustificati rispetto ai piani personalizzati di lavoro o formazione comportano la riduzione o la perdita del beneficio. L’incentivazione al lavoro avviene su vari fronti: se i beneficiari si occupano, quote del loro Rdc sono trasferite a imprese, intermediari e formatori, con regole piuttosto generose; sono poi concessi agli assistiti più occupabili gli assegni di ricollocazione prima associati alla NASpI. Si dànno più responsabilità ai Cpi, cui si affiancano i cosiddetti “navigator”, incaricati di assistere i beneficiari in cerca di lavoro. Come nella normativa previgente, viene penalizzato il rifiuto di offerte di lavoro “congrue”, cioè raggiungibili, convenienti e adeguate alle capacità individuali. Con le cosiddette “norme anti-divano”, il Rdc ha rimodulato la prossimità geografica delle offerte congrue in funzione dei precedenti rifiuti e della durata già trascorsa del beneficio. Ad esempio, un beneficiario senza disabili conviventi che abbia rinnovato il Rdc o abbia già esercitato due rifiuti, potrà ricevere offerte “congrue” da tutto il territorio nazionale.

Riguardo la governance, è abrogata per intero l’articolazione dei compiti tra livelli di governo e società civile che caratterizzava il Rei. È pure abbandonato lo sforzo di creare punti di accesso dedicati per la misura. È invece accresciuto, con ingenti investimenti, il ruolo del centro (INPS, ANPAL e Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, ma anche le Poste) e, indirettamente, quello delle regioni (tramite i Cpi e le Agenzie per il Lavoro). L’infrastruttura informatica eserciterà compiti essenziali al funzionamento dei sistemi di controllo e sanzione e di monitoraggio.

Domande aperte e potenziali criticità

Il disegno attuale del Rdc ha sollevato varie perplessità. Si discriminano gli stranieri e si sfavoriscono, in termini relativi, le famiglie numerose, concentrando maggiori risorse su quelle anziane e meno fertili. Secondo alcune stime presentate in Parlamento, i nuclei potenziali percettori del Rdc potrebbero raddoppiare rispetto al Rei (Gallo, G.-Sacchi, S., Beneficiari e spesa del Reddito di Cittadinanza: una stima della misura finale, INAPP Policy Brief, n. 11, Febbraio 2019). Gli individui beneficiari, però, aumenterebbero solo di circa il 20%. La norma avvantaggia i single in affitto e gli anziani senza figli coresidenti, tale scelta è coerente con l’obiettivo di attivare i Neet (giovani fino a 29 anni che non studiano e non lavorano), specie i più giovani. Tuttavia, si tratta di scelte distributive potenzialmente disfunzionali sul piano della lotta alla povertà.

Le aspettative riguardo l’efficienza del comparto informatico, cui si demandano delicatissimi compiti di sorveglianza – financo delle scelte di consumo legate al Rdc: esercizio che si concentra, regressivamente, su chi più dipende dal sussidio – paiono ottimistiche, dati i vincoli posti dalle norme sulla privacy e dallo stato dell’infrastruttura esistente. Altrettanto velleitario è trasferire carichi di lavoro dai Comuni ai già oberati Cpi se, come si prevede, più di metà dei nuclei beneficiari Rdc avranno bisogno di assistenza socio-educativa. Va qui rilevato che le “norme anti-divano” costringeranno proprio i nuclei meno “attivabili” alle scelte più ardue in fatto di riconciliazione vita-lavoro. Il rischio di un ritorno al familismo è alto. Sull’indispensabile riorganizzazione delle politiche del lavoro si adombra invece il rischio di un paralizzante conflitto di competenze tra Stato e regioni (Tessaroli, L., La riforma dei servizi per l'impiego, in Libro dell’anno del diritto 2019, Roma, 2019).

Tener fede alla doppia vocazione del Rdc richiederà un efficace coordinamento multi-livello tra servizi di attivazione e di assistenza. L’attuale enfasi lavoristica e centralista non favorisce una puntuale definizione delle sue modalità attuative, ponendone sin d’ora in rotta di collisione gli obiettivi. Per evitare che le ambizioni di oggi si ritorcano in un “precedente negativo” domani serve più attenzione ai bisogni di famiglie e territori. Anziché abolirla, converrebbe forse ripartire dalla governance del Rei (Ravelli, F., Il reddito minimo. Tra universalismo e selettività delle tutele, Torino, 2018).

Immagine: la questua dei poveri; crediti: Attilio Pusterla [Public domain]
Pubblicato il 6/03/2019