La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità

di Rachele Cera

Con Legge n. 18 del 3 marzo 2009 l’Italia ha ratificato e reso esecutivi la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ed il relativo Protocollo opzionale, a conclusione di un lungo iter legislativo avviato a seguito della firma dei due strumenti giuridici internazionali il 30 marzo 2007, poi bloccato dalla crisi di governo agli inizi del 2008.
Adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008, la Convenzione intende promuovere e tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali delle persone con disabilità, assicurandone il pieno ed equo godimento. La Convenzione è ispirata ad un nuovo approccio alla disabilità, che riconduce la condizione di disabile all’esistenza di barriere di diversa natura che ostacolano la sua partecipazione nella società in uguaglianza con gli altri ed identifica nel superamento di tali barriere l’obiettivo da raggiungere. L’accessibilità di tutto per tutti, l’adozione di accomodamenti ragionevoli, il rafforzamento del ruolo delle organizzazioni di rappresentanza ed il mainstreaming della disabilità nel processo globale di sviluppo sono pertanto le priorità su cui si fonda la Convenzione. Tali priorità sono dirette a realizzare principi fondamentali quali la dignità, l’eguaglianza e la non-discriminazione, l’autonomia individuale, la partecipazione e l’inclusione nella società, l’accettazione della disabilità come parte della diversità umana.
Sebbene la maggioranza dei diritti riconosciuti nella Convenzione siano sanciti anche in altri accordi internazionali sui diritti umani altrettanto applicabili alle persone con disabilità, la Convenzione presenta un notevole valore aggiunto, in quanto integra il quadro giuridico esistente per l’effettiva attuazione del principio di uguaglianza. La Convenzione evidenzia infatti la particolare situazione e le specifiche esigenze delle persone disabili. Al pari delle donne, dei migranti, dei bambini e di altri gruppi vulnerabili, anche i disabili sono dunque tutelati da un strumento giuridico vincolante che non si limita a vietare misure e prassi discriminatorie, ma appresta una tutela ad hoc, identificando gli adattamenti necessari per l’esercizio dei diritti umani da parte delle persone con disabilità.
Da tale punto di vista la Convenzione rappresenta il compimento di un lungo percorso per il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità, iniziato con l’adozione di atti quali la Dichiarazione sui diritti delle persone mentalmente ritardate del 1971, la Dichiarazione sui diritti delle persone disabili del 1975 e le Regole standard sulle pari opportunità delle persone con disabilità del 1993. La Convenzione consolida la portata dei principi sanciti in tali atti, stabilendo obblighi giuridici vincolanti per le Parti e prevedendo nel Protocollo opzionale un sistema di controllo sul loro rispetto. Singoli individui e gruppi di persone che si ritengono vittime della violazione di uno dei diritti riconosciuti da parte di uno Stato parte ai due strumenti possono infatti inoltrare comunicazioni al Comitato sui diritti delle persone con disabilità che procederà al loro esame e adotterà le opportune raccomandazioni.
Il negoziato che ha condotto all’elaborazione della Convenzione è stato contrassegnato da diversi contrasti che hanno influito sulle soluzioni adottate nel testo finale e sul processo di adesione al sistema convenzionale. Particolarmente problematico è stato il riconoscimento della capacità giuridica delle persone disabili, il cui principale effetto è che le Parti sono tenute a garantire la titolarità dei diritti dei disabili anche se essi non sono in grado di gestire indipendentemente i loro interessi. Inoltre, la Convenzione non è stata firmata dalla Santa Sede che, pur avendo attivamente partecipato ai negoziati, ha ritenuto i riferimenti alla pianificazione familiare e al diritto alla ”salute sessuale e riproduttiva” (artt. 23 e 25) implicite ammissioni dell’aborto di feti potenzialmente disabili.
 
La ratifica della Convenzione non è peraltro che il primo passo per garantire alle persone disabili il pieno riconoscimento dei loro diritti. Come gli altri 56 Paesi che hanno ratificato la Convenzione, anche l’Italia dovrà adeguare l’ordinamento interno agli obblighi convenzionali. In base all’art. 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, lo Stato che diviene Parte ad un trattato assume infatti l’obbligo di adattare il proprio ordinamento alle norme pattizie, apportando alla legislazione interna tutte le modifiche necessarie per assicurare l'esecuzione degli impegni assunti tramite il trattato.
Peraltro, va considerato che la Convenzione non si inserisce in un contesto di vuoto normativo, in quanto l’ordinamento giuridico italiano è già conforme alla maggior parte dei principi in essa contenuti, a cominciare dalla Costituzione che all’art. 3 stabilisce i principi di eguaglianza e non discriminazione. Anzi, la Legge n. 104/1992, Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, ha in parte anticipato i contenuti della Convenzione, avendo come principi ispiratori la promozione dell’autonomia e la realizzazione dell’integrazione sociale dei disabili. Su impulso dell’evoluzione della normativa internazionale ed europea in materia di disabilità, l’ordinamento italiano ha inoltre recepito le nuove istanze di tutela dei diritti dei disabili attraverso atti normativi che hanno disciplinato specifici settori: l’accessibilità, già prevista in ambito architettonico, è stata estesa al settore dell’informatica (Legge n. 4/2004, Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici, c.d. Legge Stanca); la Legge n. 68/1999, Norme sul diritto al lavoro dei disabili, ha introdotto misure a favore dell’occupazione delle persone con disabilità; la Legge n. 67/2006, Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, ha istituito una tutela giudiziaria a favore dei disabili che garantisce loro un sistema di accesso celere e agevolato nelle procedure.
Ciò non significa peraltro che la conformità alla Convenzione sia piena. In alcuni casi, occorre modificare nozioni ormai superate in materia di disabilità, come quella di “persona handicappata” da sostituire con “persona con disabilità” al fine di spostare l’accento dalle minorazioni del disabile alle abilità della persona in rapporto all’ambiente in cui vive. In altri casi pare necessario introdurre concetti nuovi, come quello di accomodamento ragionevole, qualificando il rifiuto di adottare tale accomodamento quale discriminazione fondata sulla disabilità. Infine, l’esecuzione della Convenzione ripropone questioni ancora aperte in Italia in materia di diritti umani, come quella relativa all’introduzione del reato di tortura nel Codice penale. Il divieto di tortura è infatti ribadito dall’art. 16 della Convenzione e l’Italia vi si dovrebbe conformare anche in adempimento di altri obblighi internazionali pattizi (il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 1966, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti del 1984 e la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del 1987).
La ratifica della Convenzione ha confermato l’attenzione che l’Italia dedica alla tutela dei diritti delle persone disabili. Ulteriori passi consentiranno, mediante la piena ed intera esecuzione della Convenzione di garantire agli oltre 2 milioni di disabili che vivono in Italia l’effettivo godimento dei nuovi standard di tutela dei loro diritti stabiliti dalla Convenzione dell’ONU.

 
Pubblicato il 29/07/2009


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