di Gianmichele Pavone
1. Premessa. La materia della diffamazione a mezzo stampa è un tema delicato nella regolamentazione del mondo delle informazioni. La disciplina codicistica trova la sua ratio nella necessità di garantire i soggetti da informazioni inesatte o calunniose e nell’impossibilità delle vittime di accedere alla pari ai mezzi di informazione in modo da ottenere una rettifica. Quest’ultima, peraltro, in molti casi non può cancellare gli effetti negativi della notizia iniziale ma, da questo punto di vista, il mondo di Intern et, rispetto al mondo dell’informazione tradizionale, offre possibilità di accesso meno costose per quanti volessero diffondere in rete rettifiche rispetto a notizie inesatte. Non bisogna, tuttavia, dimenticare che il semplice inserimento in rete non è sufficiente: un sito che gode di un ampio pubblico di fedeli “internauti” è in grado di ottenere un’audience molto ampia, che solo in minima parte sarebbe raggiungibile da chi volesse diffondere la smentita.
L’uso distorto di Internet dovrebbe essere disincentivato dal fatto che un sito metta in gioco la propria credibilità attraverso l’esattezza delle informazioni che diffonde, ma l’autocontrollo indotto inizia ad essere meno efficace quando cambia la natura del pubblico raggiunto: ad esempio, un sito partigiano che si rivolge ad un pubblico partigiano non vede a rischio la propria reputazione per il fatto di diffondere notizie inesatte, così come molti giornali apertamente schierati con una parte politica non vedono diminuire la reputazione, ma semmai accrescere le ragioni di fedeltà, quando diffondono notizie distorte o anche false a sfavore degli avversari politici pur di riscuotere consensi tra i propri lettori. In questo senso la reputazione di per sé non è sufficiente a garantire trasparenza e correttezza dell’informazione quando altri siano gli interessi in gioco.