Il tema noto come “frazionamento della domanda” concerne la questione dell’ammissibilità della scomposizione del diritto di credito in plurime domande giudiziali. La questione coinvolge principi fondamentali del diritto processuale civile: l’unitarietà della situazione giuridica deducibile nel processo, l’oggetto della cosa giudicata, il principio dispositivo, l’interesse ad agire, il dovere di collaborazione e lealtà tra le parti, l’abuso dello strumento processuale. Mentre con la pronuncia n. 108/2000 le Sezioni Unite affermavano l’ammissibilità del frazionamento, qualche anno dopo con la sentenza n. 23726/2007 le stesse sono pervenute a conclusioni esattamente opposte. Da ultimo, le stesse Sezioni Unite con la pronuncia n. 4090/2017 si sono espresse sulla questione del frazionamento del rapporto contrattuale di durata, affermando che le pretese creditorie che ne scaturiscono non sono proponibili separatamente, salva la dimostrazione di un «interesse oggettivamente valutabile al frazionamento».

1. Il primo intervento delle Sezioni Unite sul frazionamento del credito è stato invocato a seguito dei contrasti giurisprudenziali inerenti la pratica, particolarmente diffusa in sede monitoria, di esercitare l’azione di condanna limitatamente ad una porzione del credito vantato (Cass., 19 ottobre 1998, n. 10326; Cass., 15 aprile 1998, n. 3814); in quella occasione, il Supremo consesso aveva affermato che, in mancanza di espresse disposizioni in senso contrario, il frazionamento del credito in plurime domande giudiziali di adempimento è ammissibile, a condizione che l’attore si riservi espressamente di far valere la domanda per il residuo in un successivo giudizio (Cass., sez. un., 10 aprile 2000, n. 108, in Giur. it., 2001, con nota di critica di Carratta). Secondo tale orientamento, ora definitivamente superato, la pretesa creditoria di adempimento frazionato del credito unitario è tutelata dall’ordinamento quando sia sorretta dall’interesse del creditore, come quello di fruire della tutela giurisdizionale in tempi più brevi ricorrendo ad un giudice inferiore, e non contrasti con l’interesse del debitore, il quale può evitare di subire plurime iniziative processuali sia offrendo il pagamento dell’intero, che proponendo domanda riconvenzionale di accertamento negativo del credito (in senso conforme Heinitz, I limiti oggettivi della cosa giudicata, Padova, 1937, 119 ss.; Carnelutti, Giudicato implicito in tema di liquidazione del danno, in Riv. Dir. Proc., 1957, 629 ss.; Allorio, Giudicato su domanda parziale, in Giur. It., 1958, I, 1, 399 ss.; Verde, Sulla «minima unità strutturale» azionabile nel processo (a proposito di giudicato e di emergenti dottrine), in Riv. Dir. Proc., 1989, 573 ss.).

La pronuncia ha destato notevoli perplessità tra gli interpreti, che hanno tratto opposte conclusioni partendo dalle norme e dai principi del diritto processuale civile. Secondo la dottrina prevalente, l’assenza di norme espresse nel senso dell’inammissibilità del frazionamento non vale a ribaltare l’interesse pubblico sotteso alla tutela giurisdizionale, individuato nell’interesse alla composizione definitiva delle controversie tra privati (Cerino Canova, Unicità del diritto e del processo di risarcimento, in Riv. It. Dir. Lav., 1986, II, 445 ss.; Satta, Commentario al c. p. c., I, Milano, 1960, 336 ss.; Caponi, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991, 298 ss.; contra Allorio, Giudicato su domanda parziale, cit., 404 ss.). Che questo sia il fine della tutela giurisdizionale è dimostrato dalla consolidata interpretazione sugli elementi oggettivi della domanda e del giudicato: poiché «il diritto […] è sempre uno ed unico rispetto al medesimo fatto lesivo» (cfr. Cerino Canova, Unicità del diritto e del processo di risarcimento, loc. cit.), le domande avanzate per l’adempimento parziale del diritto unitario determinano una scissione del petitum mediato incompatibile con l’unicità della causa petendi.

Secondo un diverso orientamento, invece, l’inammissibilità del frazionamento giudiziale del credito non è predicabile a priori, in quanto tale pratica può trovare giustificazione, nel caso concreto, sul piano dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. Si è sostenuto che l’interesse ad agire può operare come filtro di ammissibilità, inteso come «criterio di “accesso selettivo” alla tutela di accertamento su singoli profili di un rapporto giuridico» che, altrimenti, non potrebbero ricevere autonoma tutela giurisdizionale_._ In tal modo, l’interesse funge da «misura dell’azione», come parametro oggettivo di valutazione della deduzione di una porzione dell’intera situazione giuridica sostanziale vantata (Marinelli, La clausola generale dell’art. 100 c.p.c.: origini, metamorfosi e nuovi ruoli, Trento, 2005, 98 ss.; Ghirga, La meritevolezza della tutela richiesta Contributo allo studio sull’abuso dell’azione giudiziale, Milano, 2004, 206 ss.).

2. Nuovamente chiamate a pronunciarsi sulla questione, le Sezioni Unite hanno radicalmente mutato orientamento. Con la sentenza n. 23726/2007, hanno affermato che il comportamento dell’attore che propone distinte domande giudiziali frammentando il diritto di credito unitario è contrario al dovere di solidarietà tra consociati di cui all’art. 2 Cost. (Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726, in Riv. Dir. Proc., 2008, 1435, con nota di Gozzi). La pronuncia ha consacrato la tesi, tuttora prevalente, secondo cui il frazionamento del diritto viola i doveri di buona fede e correttezza derivanti dall’art. 2 Cost.; poiché la violazione si consuma attraverso l’attivazione della tutela giurisdizionale, si traduce in un abuso dello strumento processuale e determina l’inammissibilità della domanda giudiziale con cui si fa valere la porzione residua del diritto precedentemente dedotto. Tuttavia, nemmeno in tale occasione la giurisprudenza di legittimità ha richiamato i principi processuali che individuano l’oggetto dell’azione nell’«intera fattispecie generatrice del diritto». Da ciò sono derivate ulteriori perplessità in ordine alla qualificazione della domanda frazionata come «inammissibile»: se il frazionamento del credito rileva esclusivamente sul piano della violazione dei doveri di correttezza e buona fede, la sanzione che ne discende sul piano processuale va individuata nella responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.; la declaratoria dell’inammissibilità della domanda, invece, è sanzione di natura esclusivamente processuale, dovuta alla consumazione del potere di azione a seguito del suo esperimento, seppur in via frazionata, ed alla formazione del giudicato sul dedotto e sul deducibile (Finocchiaro, Una soluzione difficile da applicare da applicare nei futuri procedimenti di merito, in Guida Dir., 2007, 31 ss.).

La giurisprudenza successiva ha accolto tali argomentazioni ed ha fondato la declaratoria di inammissibilità della domanda frazionata sulla ricognizione dei limiti del giudicato, che preclude la proposizione di domande aventi ad oggetto frazioni residue di un credito precedentemente dedotto e deciso in giudizio (Cass., 22 dicembre 2011, n. 28286; Cass., 3 dicembre 2008, n. 28719). Nello stesso senso, la Cassazione ha affermato che in caso di frazionamento contestuale di domande frazionate in giudizi distinti, le regole preordinate all’individuazione dell’oggetto del giudizio impongono l’applicazione della disciplina della litispendenza o della continenza (Cass., 27 maggio 2008, n. 13791).

3. Ad un decennio di distanza, le Sezioni Unite si sono espresse, da ultimo, sulla questione del frazionamento del rapporto contrattuale di durata, affermando che le pretese creditorie che ne scaturiscono non sono proponibili separatamente, quando la connessione sia dovuta alla sussistenza di questioni «inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo», facendo salva la dimostrazione di un «interesse oggettivamente valutabile al frazionamento» (Cass., sez. un., 16 febbraio 2017, n. 4090/2017, in Riv. dir. proc., 1321 ss., con nota di Ghirga; Cass., 28 dicembre 2017, n. 31017; contra Cass., 26 settembre 2016, n. 18810). In questa sede, la Suprema Corte ha ritenuto che una lettura costituzionalmente orientata delle norme processuali disciplinanti la connessione oggettiva di cause ed il litisconsorzio facoltativo fa emergere il favor dell’ordinamento per il simultaneus processus, con cui è soddisfatta l’esigenza di evitare la duplicazione di attività processuale nella fase istruttoria e si evita la formazione di giudicati contrastanti.

Quest’ultima pronuncia, peraltro, muta radicalmente i termini della questione del frazionamento: seppur in direzione opposta rispetto alla sentenza Sez. un. n. 108 del 2000, contraddice allo stesso modo i limiti oggettivi della domanda e del giudicato, la cui interpretazione consolidata è nel senso che il giudicato formatosi sulle questioni inerenti un rapporto contrattuale determina un vincolo di tipo conformativo nel giudizio successivamente instaurato sullo stesso rapporto, e non giustifica una pronuncia di absolutio ab instantia (Cass., 6 dicembre 2011, n. 26199; Asprella, Il frazionamento dei diritti connessi nei rapporti di durata e nel processo esecutivo, in Corriere Giur., 2017, 7, 975 ss.). L’onere di cumulare le domande connesse per il titolo realizza un ampliamento dell’oggetto del processo alla vicenda sostanziale considerata nel suo complesso, da cui deriva l’imposizione di un contenuto minimo della tutela giurisdizionale che esula dalla domanda di parte, con ridimensionamento del principio dispositivo a favore dell’interesse pubblico sotteso all’economia dei giudizi (Asprella, Alle Sezioni Unite la questione del frazionamento e dell’abuso del processo, in Ilprocessocivile.it, dicembre 2016). In conclusione, merita rilievo il riferimento all’«interesse oggettivamente apprezzabile» al frazionamento di diritti distinti, che introduce una condizione di ammissibilità del frazionamento del rapporto contrattuale di durata. A tal fine, la pronuncia ha richiamato la nozione dell’interesse ad agire, inteso come il rapporto tra la lesione lamentata e la tutela giuridica richiesta dall’attore, discostandosi dal consolidato riconoscimento che individua nella clausola di cui all’art. 100 c.p.c. la condizione dell’azione che esprime il bisogno di tutela giurisdizionale, emergente dall’affermazione della lesione o della contestazione del diritto (Attardi, L’interesse ad agire, Padova, 1955, 7 ss.; Allorio, Bisogno di tutela?, in Id., Problemi di diritto. L’ordinamento nel prisma dell’accertamento giudiziale ed altri studi, I, Milano, 1957, 227 ss.; Garbagnati, Azione e interesse, in Jus, 1955, 316).

In conclusione, si ritiene che l’evoluzione giurisprudenziale in tema di frazionamento del diritto abbia superato i confini originari della questione, e si inserisca entro tendenze più generali: da un lato, il favor per l’ampliamento dell’oggetto della cognizione giudiziale, estesa alla vicenda sostanziale complessa (su cui v. anche Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243); dall’altro, l’introduzione di filtri di accesso alla tutela giurisdizionale che accrescono la discrezionalità del giudice a scapito del diritto di azione ex art. 24 Cost. (cfr. anche Cass., 3 marzo 2015, n. 4228).

Pubblicato il 08/05/2018

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