La definitiva affermazione del processo civile telematico è in grado di determinare, negli auspici di molti operatori, una rivoluzione copernicana, sia sotto il profilo del risparmio di tempi e costi del giudizio, sia nella prospettiva della migliore circolazione delle informazioni e della prevedibilità delle decisioni. Il d.l. n. 90/2014 ha, tuttavia, optato per un percorso più modulato della gestione informatizzata del processo, circoscrivendo l’immediata obbligatorietà del deposito telematico ai soli atti endoprocessuali relativi a procedimenti instaurati a partire dal 30 giugno 2014 nonché all’intera fase monitoria del procedimento per ingiunzione. Il contributo, muovendo proprio dall’analisi dell’ambito di applicazione dell’obbligo di deposito telematico degli atti, esamina le novità contenute nel d.l. n. 90/2014 in tema di p.c.t.

1. L’obbligo di deposito telematico

1.1. Obbligatorietà immediata e differita.
Il 25 giugno 2014 è entrato in vigore il d.l. 24 giugno n. 90 (pubblicato in G.U. n. 144 dello stesso giorno) recante «misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari».
Il capo II del Titolo IV del provvedimento ha introdotto alcune disposizioni volte a garantire l’effettività del processo telematico, in funzione dell’esordio del regime di obbligatorietà del deposito telematico di alcuni atti e procedimenti nel processo civile, vigente a partire dallo scorso 30 giugno, secondo quanto disciplinato, in linea generale, dall’art. 16 bis del d.l. 179/2012 (conv. in l. 221/2012).
Molte delle misure trasfuse nel decreto erano state sollecitate in seno al Tavolo tecnico permanente sul p.c.t., istituito dal Ministero della Giustizia, e preannunciate dallo stesso Ministro Orlando nella lettera di ringraziamento inviata il 10 giugno 2014 agli enti che hanno partecipato al suddetto tavolo in rappresentanza della magistratura, del personale di cancelleria, dell’avvocatura [vedi tale lettera in http://www.dirittoegiustizia.it/allegati/letteraMinistro.pdf.].
È stata, infatti, tradotta in norma l’esigenza avvertita dal Ministro di «un percorso più modulato dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà del processo civile telematico», rispetto a quanto originariamente previsto dall’art. 16 bis d.l. 179/2012. L’art. 44, comma 1, del decreto n. 90 ha pertanto disposto che:

  1. nei procedimenti civili - contenziosi o di volontaria giurisdizione - in quelli esecutivi e nelle procedure concorsuali instaurati dinanzi al tribunale a partire dal 30 giugno 2014, il deposito in forma esclusivamente telematica degli atti endoprocessuali (con esclusione, quindi, di quelli introduttivi e di costituzione delle parti) è divenuto immediatamente obbligatorio dal 30 giugno;

  2. nei procedimenti già pendenti alla data del 30 giugno 2014, invece, l’obbligo di deposito telematico, sempre con riferimento agli atti endoprocessuali nell’ambito dei procedimenti prima indicati, diverrà obbligatorio a partire dal 31 dicembre 2014;
    2.1.) fino a quest’ultima data, nei procedimenti già pendenti al 30 giugno sarà comunque concessa alle parti la facoltà di deposito telematico degli atti processuali e documenti (indicati nei primi tre commi del citato art. 16 bis d.l. 179/2012) e il deposito effettuato in tali modalità dovrà considerarsi perfetto ed autosufficiente, senza necessità di integrazione cartacea;
    2.2.) sempre con riferimento ai giudizi pendenti alla data del 30 giugno 2014, l’art. 44, comma 2, lett. b) d.l. 90/2014 ha ulteriormente previsto (riformando il comma 5 dell’art. 16 bis d.l. 179/2012) che il termine di entrata in vigore dell’obbligatorietà dei depositi telematici fissato al 31 dicembre 2014 potrà essere anticipato da appositi decreti del Ministro della Giustizia, nell’ambito di singoli tribunali e anche con esclusivo riferimento a specifiche categorie di procedimenti;

  3. nei giudizi (contenziosi o di volontaria giurisdizione) dinanzi alla corte di appello, l’obbligo di deposito telematico di atti e documenti per le parti «precedentemente costituite» entrerà in vigore solo dal 30 giugno 2015, sia per i giudizi pendenti che per quelli instaurati ex novo a partire da tale data, come disposto dallo stesso art. 44, comma 2, lett. c) del decreto, che ha inserito un comma 9 ter all’art. 16 bis del d.l. 179/2012. Resta ferma la possibilità, anche in tal caso, che il Ministro della Giustizia individui, con apposito decreto non regolamentare e previo accertamento della funzionalità dei servizi di comunicazione, le sedi di Corti di appello ove anticipare l’obbligatorietà dei depositi telematici, limitatamente ai processi iniziati prima del 30 giugno 2015 ed anche con riferimento a specifiche categorie di procedimenti.

  4. Nulla è previsto dal decreto n. 90 con riguardo al procedimento d’ingiunzione ex art. 633 c.p.c., la cui soggezione alle forme telematiche resta disciplinata dall’art. 16 bis,comma 4, del d.l. 179/2012, secondo cui il deposito degli atti, documenti e provvedimenti della fase monitoria ha luogo dal 30 giugno 2014 in via necessariamente telematica; mentre la fase di opposizione è ricondotta alla regola generale per cui l’obbligo di deposito telematico concerne i soli atti endoprocessuali, con conseguente esclusione dell’atto di opposizione e della comparsa di costituzione.

1.2. Nel processo ordinario di cognizione.
Restringendo l’angolo visuale al processo ordinario di cognizione, può rilevarsi che l’ambito oggettivo di riferimento resta quello segnato dal d.l. 179/2012 (art. 16 bis comma 1), secondo cui l’obbligo di deposito telematico concerne i soli atti e i documenti depositati «da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite»: vi rientrano, dunque, tutti gli atti endoprocessuali, quali memorie ex art. 183, 6° comma, comparse conclusionali e memorie di replica ex art. 190 c.p.c., ma anche (sempre per il tramite del difensore costituito) le relazioni dei consulenti tecnici di parte.
Restano estranei all’obbligo, invece, l’atto di citazione (o qualsiasi altro atto introduttivo) e la comparsa di risposta (o qualsiasi altra memoria di costituzione, come quella del terzo interveniente ex art. 267 c.p.c.), atti che potranno continuare ad essere depositati in forma cartacea, unitamente ai documenti allegati.

1.3. Per le parti che stanno in giudizio personalmente.
Dal punto di vista soggettivo, sono senz’altro esentate dall’obbligo di deposito telematico le parti che stanno in giudizio personalmente, non costituite a mezzo di difensore, per l’intuitiva ragione che esse sono solitamente ad oggi sprovviste dei dispositivi (firma digitale, pec, redattore) atti al compimento delle operazioni di deposito telematico di un atto processuale: a questo proposito, l’art. 44, comma 2, lett. a) del decreto ha aggiunto all’art. 16 bis, comma 1, d.l. 179/2012 un periodo volto a chiarire che per difensori non si intendono «i dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente», con conseguente esclusione in capo a tali soggetti dell’obbligo di deposito telematico degli atti. L’obbligo del deposito telematico, invece, ovviamente sussiste per gli avvocati che si difendono in proprio: in tal caso, la qualità professionale prevale sulla difesa personale.

2. Facoltà di deposito telematico e residuo valore dei decreti dirigenziali:

2.1. La (ormai superata) fase sperimentale del p.c.t.
Questione nient’affatto chiara è tuttora, forse ancor più dopo l’introduzione delle norme del decreto, quella relativa all’ambito degli atti e procedimenti per cui (non sussistendo ancora un obbligo di legge) è comunque consentito il deposito facoltativo nelle forme telematiche.
Occorre ricordare sul punto che l’art. 35, comma 1, del d.m. 44/2011 (c.d. «regole tecniche» del processo telematico, emanate in virtù dell’art. 4, comma 1, del d.l. 193/2009 conv. in l. n. 24/2010) disponeva, e tuttora dispone, che «l’attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio» [decreti consultabili per ciascun tribunale all’indirizzo http://pst.giustizia.it/PST/it/pst_2_4.wp, all’interno della apposita sezione «uffici giudiziari» del portale dei servizi telematici].
Nella fase c.d. “sperimentale” del p.c.t., ante 30 giugno 2014, si era diffusa la prassi di ritenere che i suddetti decreti, emessi dalla Direzione Generale per i sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia (DGSIA), oltre a quello di accertare la complessiva funzionalità dell’infrastruttura informatica per ciascun ufficio, avessero anche il compito di definire il perimetro dei singoli atti e procedimenti per cui era consentito l’utilizzo delle forme telematiche nei diversi tribunali.
Vi erano state, infatti, pronunce giurisprudenziali che avevano perfino sanzionato con l’inammissibilità il deposito telematico di un atto non rientrante nel novero di quelli indicati dai suddetti decreti dirigenziali emanati a livello locale, sull’assunto della violazione della disciplina tecnico-regolamentare del processo telematico [cfr. Trib. Foggia, 10 aprile 2014, in http://tinyurl.com/kvm6grg, che ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso introduttivo depositato in via telematica, non essendo tale atto ricompreso tra quelli depositabili con valore legale nell’ambito del decreto DGSIA emesso nel tribunale di Foggia. Soluzione diversa, ed assai più cauta, era stata prescelta da Trib. Perugia, 10 gennaio 2014, in http://tinyurl.com/kty8unr che ha concesso la rimessione in termini alla parte che aveva erroneamente depositato, in via telematica, una comparsa conclusionale, non assentita dal decreto DGSIA del tribunale di destinazione. La rimessione è stata concessa, nella specie, sul presupposto che la cancelleria aveva emesso con colpevole ritardo (dopo 7 gg.) la ricevuta attestante il rifiuto del deposito, così precludendo alla parte la possibilità di provvedere nuovamente al deposito entro i termini].
Nell’attuale regime di parziale obbligatorietà del p.c.t., ci si deve chiedere se i predetti provvedimenti abbiano conservato un qualche valore ai fini della individuazione degli atti che (pur non soggetti ad obbligo) possono nondimeno essere depositati facoltativamente in via telematica: il dubbio ha ragion d’essere tanto per gli atti introduttivi o di costituzione delle parti depositati nei procedimenti instaurati a far data dal 30 giugno 2014, quanto per tutti gli atti endoprocessuali depositabili nei giudizi già pendenti alla data del 30 giugno, ancora esenti dall’obbligatorietà fino al 31 dicembre prossimo.

2.2. I procedimenti pendenti al 30 giugno 2014.
In linea con quanto preannunciato dal Ministro nella richiamata lettera circolare del 10 giugno [ove leggesi che «per assicurare esigenze di uniformità dei servizi su tutto il territorio nazionale, il deposito telematico sarà reso facoltativo anche sulle procedure pendenti, indipendentemente da specifiche autorizzazioni di questo Ministero»] e fatto palese dal tenore dell’art. 44, comma 1, ult. periodo, d.l. 90/2014 [secondo cui fino alla data del 31 dicembre 2014, «nei casi previsti dai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 16 bis del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, gli atti processuali e i documenti possono essere depositati con modalità telematiche e in tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità»], può ritenersi senza ombra di dubbio che la facoltà di deposito telematico degli atti endoprocessuali (e documenti) nell’ambito dei procedimenti pendenti alla data del 30 giugno 2014 sia ormai concessa ex lege, a prescindere dall’esistenza nel singolo tribunale e dal contenuto stesso del decreto DGSIA: ciò significa che se un difensore dovesse trasmettere in uno di tali procedimenti un atto endoprocessuale in via telematica, il deposito sarebbe senz’altro valido ed efficace anche nell’ipotesi in cui quel determinato atto non rientrasse tra quelli contemplati nel decreto dirigenziale emesso nel tribunale di destinazione [per ulteriori riferimenti v. R. Bellé, Prime note su pct e processo di cognizione, in www.judicium.it, § 1., nota 1. Nello stesso senso v. anche N. Fabiano, Il D.L. 90/2014 e le novità in materia di PCT, in http://tinyurl.com/mf9vmsb, secondo cui i decreti dirigenziali già emessi nei singoli tribunali sembrerebbero superati ed ormai inapplicabili alla luce degli emanandi decreti previsti dall’art. 44, comma 5, d.l. 90/2014. Di diverso avviso J. Rudi, Il decreto “Orlando” sul PCT, in http://tinyurl.com/kp5qnjk, secondo cui l’ambito degli atti depositabili in via facoltativa è ancora subordinato ai decreti emanati dalla DGSIA ai sensi dell’art. 35 DM n. 44/2011, pur dando atto che «l’interpretazione è discussa e discutibile»].

2.3. I procedimenti instaurati a partire dal 30 giugno 2014.
Assai meno pacifica è la questione relativa alla facoltà di deposito telematico degli atti introduttivi e di costituzione nell’ambito dei procedimenti “nuovi”, instaurati a far data dal 30 giugno 2014.
A voler seguire le indicazioni contenute nella Circolare diffusa dal ministero della giustizia in data 27 giugno 2014 [in www.giustizia.it], con l’entrata in vigore della obbligatorietà non sarebbe venuta meno la necessità di un provvedimento ministeriale (rectius dirigenziale) per l’abilitazione alla ricezione degli atti introduttivi e di costituzione in giudizio, con la conseguenza che, nei tribunali già muniti di autorizzazione per tali atti, costituirà facoltà delle parti quella di depositarli telematicamente; mentre, i tribunali sprovvisti di autorizzazione per i suddetti atti saranno tenuti a richiederla. 
Il ministero non chiarisce, tuttavia, quale sia la sanzione conseguente al deposito telematico di un atto processuale (introduttivo o di costituzione) in un tribunale sprovvisto di autorizzazione, limitandosi a precisare opportunamente che, in tal caso, è comunque precluso al cancelliere qualsiasi potere di rifiuto dell’atto, dovendosi rimettere al giudice la relativa questione.
È ragionevole dubitare, tuttavia, che la soluzione prospettata, tesa a preservare uno spazio di validità ai decreti DGSIA, sia corretta dal punto di vista esegetico.
Il richiamato art. 35 d.m. si limita infatti a conferire ai suddetti decreti dirigenziali l’unica funzione di validare l'attivazione della trasmissione dei documenti informatici, accertando «l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio»: al di là della generica funzione di ricognizione della idoneità telematica del singolo ufficio giudiziario, la previsione non autorizza a ritenere invece che la Direzione generale del Ministero abbia anche il compito di individuare quali atti possano essere depositati telematicamente (e quali no) [v. le condivisibili osservazioni di M. Reale, Deposito telematico può riguardare solo gli atti individuati da decreto ministeriale, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=67989; nello stesso senso cfr. anche F. Minazzi, Processo Civile Telematico: l’indicazione degli atti depositabili, in http://tinyurl.com/nvang6t.].
Se così fosse, infatti, si dovrebbe giungere alla paradossale conseguenza di negare validità al deposito telematico anche per gli atti con riferimento ai quali esso è previsto dalla legge come obbligatorio (si pensi, per tutti, al ricorso per decreto ingiuntivo) sol perché una fonte subordinata (il suddetto decreto dirigenziale) non contempla l’atto tra quelli cui è conferito il valore legale della trasmissione telematica.
Ne consegue che, allo stato attuale della normativa, deve ritenersi sussistente una sorta di presunzione ex lege di funzionalità telematica del sistema nel singolo ufficio giudiziario, con la conseguenza di dover ammettere il deposito telematico in via facoltativa di qualsiasi atto (anche introduttivo o di costituzione in giudizio), indipendentemente dalla circostanza che esso sia assentito dal decreto dirigenziale di quel tribunale [di contrario avviso G. Marinai, PCT obbligatorio: in Gazzetta il D.L. 25 giugno 2014, n. 90, in http://www.magistraturademocratica.it/mdem/qg/articolo.php?id=484, secondo cui tuttavia la limitazione normativa non trova giustificazione in ragioni tecnico-organizzative, atteso che il deposito di atti introduttivi o comparse di costituzione non pare creare problemi né alle cancellerie, né al giudice, ed anzi consente di avere a disposizione un fascicolo ab origine interamente telematico]. Il che contribuisce a semplificare la questione relativa alla individuazione degli atti “endoprocedimentali”: dal punto di vista formale, infatti, l’opposizione a decreto ingiuntivo è atto “endoprocedimentale”, perché la pendenza, ai sensi dell’art. 643 c.p.c., è determinata dalla notificazione del decreto; lo è anche l’atto per la “prosecuzione del giudizio di merito” di cui all’art. 703, co. 4°, c.p.c. e lo sono tutti gli atti di riassunzione del processo, compresi quelli innanzi al giudice competente. Non è, invece, atto “endoprocedimentale” quello con il quale si inizia il giudizio di merito, ai sensi dell’art. 669 octies c.p.c. La soluzione di tali questioni, alcune delle quali controverse ed opinabili, non può, ovviamente, essere affidata al cancelliere con gravi conseguenze per il depositante. L’ammissibilità del deposito telematico di qualsiasi atto in base ad una presunzione legale della funzionalità telematica del sistema nell’ufficio giudiziario offre una via d’uscita.
Una tale possibilità non porrebbe neppure particolari problemi tecnici, atteso che l’ostacolo principale, rappresentato dalla difficoltà di depositare telematicamente un atto di citazione notificato secondo le tradizionali forme cartacee, potrebbe essere agevolmente superato con il deposito via PEC di una copia (informatica) dell’atto originale (semmai corredata dalla copia per immagine delle relazioni di notificazione restituite in cartaceo dall’ufficiale giudiziario), con l’onere di produrre alla prima udienza l’originale cartaceo della citazione notificata, come già avviene oggi con il sistema dell’iscrizione a ruolo su “velina” [v. le istruzioni contenute sul portale dei servizi telematici in http://pst.giustizia.it/PST/en/pst_1_0.wp?previousPage=pst_1_2&contentId=SPR377].
Il difensore che voglia tentare il deposito facoltativo di un atto non ancora coperto dalla obbligatorietà deve, però, sapere che la prima giurisprudenza formatasi dopo lo start del regime di obbligatorietà è orientata in senso opposto, avendo dichiarato l’inammissibilità di un ricorso introduttivo telematico (di un procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c.) proprio sul presupposto che il locale decreto dirigenziale prevedeva l’attivazione dei servizi telematici con riferimento ai soli atti successivi alla costituzione delle parti [v. Trib. Torino, 15 luglio 2014, in http://www.foroitaliano.it/wp-content/uploads/2014/07/trib-torino-15-7-14.pdf.].

3. Le modifiche al codice di procedura civile:

3.1. L’eliminazione della sottoscrizione autografa sul processo verbale e sul verbale di assunzione dei mezzi di prova.
Le modifiche direttamente incidenti sul codice di procedura civile sono contenute nell’art. 45 del decreto legge e mirano ad eliminare alcuni ostacoli che la struttura tradizionalmente cartacea del processo frappone all’utilizzo delle tecnologie dell’informatica.
Un primo intervento (contenuto nell’art. 45 lett. a) tocca l’art. 126, comma 2, c.p.c. – recante la disciplina generale del contenuto del processo verbale - e dispone l’eliminazione della necessità di sottoscrizione dello stesso ad opera delle parti o di altri soggetti intervenuti personalmente.
Il nuovo testo prevede semplicemente che «il processo verbale è sottoscritto dal cancelliere. Se vi sono altri intervenuti, il cancelliere, quando la legge non dispone altrimenti, dà loro lettura del processo verbale», con conseguente scomparsa dell’inciso per cui il cancelliere «li invita a sottoscriverlo».
L’esigenza di revisione normativa si giustifica con la circostanza che, quando il verbale venga redatto sulla consolle informatica del giudice come documento nativo digitale e successivamente firmato in digitale dal magistrato, la necessità di apporvi la sottoscrizione autografa delle parti presenti personalmente comporterebbe l’inevitabile regressione al formato cartaceo (stampa del verbale informatico, firma e successiva acquisizione via scanner da parte della cancelleria), essendo il cittadino di regola sprovvisto del dispositivo di firma digitale.
La novella non può dirsi, tuttavia, pienamente soddisfacente per un duplice ordine di rilievi.
In primo luogo, il legislatore ha perso l’occasione di svincolare il verbale dalla necessaria sottoscrizione del cancelliere, assai difficoltosa anche in ragione della cronica carenza di personale tra gli operatori giudiziari, e così di prevedere la sufficienza della sottoscrizione del magistrato, con mero obbligo di trasmissione telematica del verbale alla cancelleria [v., in questo senso, la nota dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense sul d.l. 24 giugno 2014, n. 90 in www.consiglionazionaleforense.it, § 6.1.].
Per altro verso, si è anche mancato di coordinare la previsione riformata con l’art. 130 c.p.c. (norma speciale, relativo alla redazione del solo verbale di udienza) che prevede tuttora la necessità di doppia firma sul verbale da parte del giudice che presiede l’udienza e del cancelliere: posto che, allo stato, gli strumenti informatici atti alla redazione dei verbali di causa non consentono la doppia sottoscrizione [v. in tal senso la citata Circolare del Ministero della Giustizia del 27 giugno 2014, cit., § 12.], si dovrà allora dare continuità a quell’orientamento giurisprudenziale (formatosi nel regime cartaceo) secondo cui l’omessa sottoscrizione del verbale da parte del cancelliere non determina nullità, in quanto la sua funzione è solo integrativa di quella del giudice e l’omissione non incide sull’idoneità dell’atto al concreto raggiungimento dello scopo cui è destinato [così Cass. 20 aprile 2007, n. 9389, in Riv. giur. trib., 2007, 940, con nota di Cerioni; Cass. 25 maggio 1996, n. 4849, in Foro it., Rep. 1996, voce Procedimento civile, n. 158; Cass. 9 marzo 1984, n. 1639, id., Rep. 1984, voce cit., n. 77, con la precisazione che il verbale fa fede, anche in assenza di sottoscrizione del cancelliere, fino a querela di falso; Cass. 13 gennaio 1984, n. 290, ibid., voce cit., n. 78; Cass. 25 maggio 1983, n. 3599, id., Rep. 1983, voce cit., n. 186. Cfr. anche, nel senso di cui al testo, M. Orlando, Sul processo telematico “vince” il gradualismo, in http://tinyurl.com/kztdcjr.].
Analoga ratio ha ispirato la modifica dell’art. 207, comma 2, c.p.c. (v. art. 45 lett. c. d.l. 90/2014) che cancella l’obbligo della parte comparsa personalmente o del testimone di sottoscrivere il processo verbale dell’assunzione dei mezzi di prova; e ciò, sempre al fine di favorire la redazione in forma di documento nativo digitale del verbale di causa, evitando in toto il passaggio dal cartaceo.

3.2. La redazione analogica del verbale di conciliazione.
Resta invece l’obbligo di formazione analogica del verbale di conciliazione, secondo il dettato dell’immutato art. 88 disp. att. c.p.c. per cui «la convenzione conclusa tra le parti per effetto della conciliazione davanti al giudice istruttore è raccolta in separato processo verbale, sottoscritto dalle parti stesse, dal giudice e dal cancelliere». La mancata sottoscrizione autografa delle parti potrebbe infatti ostacolare la trascrizione del verbale stesso; sicché il giudice, quand’anche il documento venisse redatto in forma digitale, provvederà a stamparne copia cartacea per farla firmare alle parti e a farne acquisire copia per immagine nel fascicolo informatico a cura della cancelleria [secondo l’art. 52 del decreto legge n. 90, «le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici dei procedimenti indicati nel presente articolo, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere». Nel senso che l’esonero della sottoscrizione delle parti, previsto dall’art. 45 del d.l. n. 90/2014, non operi là dove si tratti di raccogliere un accordo delle parti avente natura transattiva o conciliativa v. Trib. Milano, 15 luglio 2014, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=68345, con osservazioni di M. Reale, relativa ad ipotesi di verbale di conciliazione in sede di separazione].

3.3. Il biglietto di cancelleria contenente il testo integrale della stessa.
L’art. 45 lett. b) del d.l. n. 90/2014 incide sull’art. 133, comma 2, c.p.c. prevedendo l’onere del cancelliere di dare notizia alle parti costituite dell’avvenuto deposito della sentenza, mediante biglietto contenente «il testo integrale della sentenza», e non più il solo «dispositivo» della stessa.
La disposizione si raccorda con la modifica già apportata (dall’art. 16 lett. b e c d.l. 179/2012) all’art. 45 disp. att., norma generale riguardante ogni tipo di provvedimento giudiziario, per cui il biglietto mediante il quale il cancelliere esegue le comunicazioni di cui all’art. 136 c.p.c. contiene in ogni caso «il testo integrale del provvedimento comunicato».
In proposito, occorre precisare che la comunicazione in forma integrale del provvedimento da parte dell’ufficio, quand’anche effettuata mediante notifica da parte dell’ufficiale giudiziario (cui può essere rimesso il biglietto di cancelleria: v. art. 136 ult. comma e 137, comma 1, c.p.c.), non è comunque idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione della sentenza, atteso l’univoco tenore dell’art. 285 c.p.c. secondo cui la notificazione della sentenza, ai fini del computo del termine d’impugnazione ex art. 325 c.p.c., deve avvenire «su istanza di parte».
Ulteriore conferma di tale asserto si trae dalla circostanza che, quando il legislatore ha voluto far decorrere i termini di impugnazione da un momento diverso dalla notificazione del provvedimento a istanza di parte (e, dunque, in via esclusiva o concorrente dalla comunicazione dello stesso) lo ha detto espressamente: si pensi, tra gli altri, all’art. 47 c.p.c. per il regolamento di competenza; all’art. 348 ter, comma 3, c.p.c. per il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, nel caso di disposta inammissibilità dell’appello; all’art. 702 quater c.p.c., per l’appello avverso l’ordinanza conclusiva del primo grado del procedimento sommario di cognizione; all’art. 18, co. 13 e 14, l.f., per il ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello sul reclamo contro la sentenza di fallimento; all’art. 1, comma 58, l. 92/2012, per il reclamo avverso la sentenza resa nel c.d. “rito Fornero” [ma v. anche il termine per proporre il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello resa in materia di usi civici, decorrente dalla notificazione della sentenza compiuta, d’ufficio, dalla cancelleria, mediante invio del dispositivo a ciascuna delle parti, in forza dell’art. 7 della l. 10 luglio 1930, n. 1078, oggi abrogato dall’art. 34 del d.lgs. 150/2011: cfr. Cass., sez. un., 5 ottobre 2009, n. 21193, in Foro it., Rep. 2009, voce Usi civici, n. 18].
Non è improbabile comunque che, anche alla luce dei rilievi sollevati dall’avvocatura, in sede di conversione del decreto venga aggiunta all’art. 133, comma 2, c.p.c. l’ovvia precisazione per cui la comunicazione della sentenza effettuata in forma integrale (dispositivo + motivazione) «non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'articolo 325» [in questo senso la proposta di emendamento formulata dalla Commissione Giustizia della Camera nel Parere reso sul decreto n. 90/2014 lo scorso 10 luglio 2014 (v. osservazione n. 18), in accoglimento dei rilievi formulati dal C.N.F.: il testo integrale del parere è consultabile in http://tinyurl.com/kp2dgl9].

4. Semplificazione di alcune criticità emerse nell’applicazione del p.c.t.:

4.1. I (sorpassati) limiti di orario per il deposito telematico.
Ulteriori interventi (in larga parte auspicati dagli operatori) sono contenuti negli artt. 51 e 52 del decreto legge e intendono meritoriamente sciogliere alcuni dei nodi emersi nella prima applicazione pratica dei depositi telematici.
L’art. 51, comma 2, del decreto dirime finalmente l’incertezza interpretativa, suscitata dalla coesistenza di fonti discordanti, in merito alla supposta vigenza di un limite orario per il compimento dei depositi telematici.
Come è noto, da un canto, le regole tecniche del p.c.t. - art. 13, comma 3, d.m. 44/2011 – disponevano (e tuttora dispongono) che, quando la ricevuta di avvenuta consegna (c.d. “RDAC”) della pec con cui è effettuato il deposito venga rilasciata dopo le ore 14, tale deposito debba considerarsi effettuato il giorno feriale successivo; dall’altro, il sopravvenuto art. 16 bis d.l. 179/2012 nulla aveva previsto sui limiti di orario del deposito telematico, pur richiamando il «rispetto della normativa anche regolamentare» di settore ai fini delle modalità di effettuazione dell’incombente.
La prima giurisprudenza applicativa [Trib. Milano 5 marzo 2014, n. 3115, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=66734, con nota di M. Reale] ha letto il silenzio del legislatore (del d.l. 179/2012 poi convertito con mod. nella l. n. 221/2012) come manifestazione della volontà di abrogazione implicita della disposizione antecedente di rango regolamentare, aprendo così la strada alla facoltà di depositare tempestivamente un atto in via telematica fino alla mezzanotte del giorno di scadenza.
Come già altrove rilevato [v., se vuoi, G.G.Poli, Profili teorico-pratici del deposito degli atti nel processo civile telematico, in Foro it., 2014, V, 137 ss.; D. Dalfino – G.G. Poli, Processo telematico: una partenza con “brivido” ma necessaria per un salto di qualità del sistema, in Guida al dir., 2014, 26, 10 ss.], in effetti, l’osservanza di un limite di orario (diurno) per i depositi telematici, svincolati per loro stessa fisiologia dalla necessità di accettazione fisica e contestuale da parte delle cancellerie (e, dunque, effettuabili anche oltre gli orari di apertura al pubblico delle stesse), non solo non avrebbe alcun fondamento logico, ma si tradurrebbe in un’inaccettabile eterogenesi dei fini del processo telematico che, nato per semplificare il lavoro dell’avvocato, finirebbe per riservare alle parti un trattamento deteriore rispetto a quello cartaceo. E ciò perché, a ben vedere, nel sistema telematico è vivamente sconsigliato il deposito di un atto nell’ultimo giorno utile, se si vuole sperare di rimediare ad eventuali inconvenienti segnalati dalla cancelleria dopo l’accettazione della c.d. busta telematica [l’art. 13, comma 4, del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 prevede infatti che il rigetto del deposito da parte dell’ufficio «non impedisce il successivo deposito», ma purché esso venga effettuato «entro i termini assegnati o previsti dalla vigente normativa processuale»].
Il richiamato art. 51, comma 2, del decreto (pur senza disporre l’abrogazione espressa della previsione delle “regole tecniche”) ha oggi aggiunto un nuovo periodo al comma 7 dell’art. 16 bis del d.l. 179/2012, secondo cui il deposito si ha per eseguito tempestivamente «quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 155, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile».
La norma chiarisce dunque, nel senso auspicato, che il deposito telematico è effettuato per tempo, se entro le ore 23.59 del giorno di scadenza viene generata dal sistema la seconda delle quattro ricevute (RDAC), rilasciata dal gestore di posta elettronica del Ministero della Giustizia a distanza di pochi secondi dopo l’invio della pec da parte del depositante, con conseguente irrilevanza dell’eventuale sforamento del limite (da considerarsi non più esistente) delle ore 14.
Corollario di questa innovazione è la previsione dell’art. 51, comma 1, del decreto n. 90, che riduce l’orario di apertura al pubblico delle cancellerie e segreterie giudiziarie [modificando in parte qua l’art. 162 della l. 23 ottobre 1960 n. 1196, sull’ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e dei dattilografi] da cinque ad «almeno tre ore nei giorni feriali», con il presumibile intento di consentire al personale di dedicarsi più proficuamente e prontamente alla attività di ricezione e verifica delle c.d. “buste telematiche”, contenenti gli atti depositati in formato digitale [la misura era stata annunciata dal Ministro della Giustizia con la circolare del 10 giugno 2014, ove si era segnalata l’esigenza di una «razionale organizzazione della gestione dei depositi telematici, anche mediante una diversa regolamentazione dell’orario di apertura delle cancellerie». Nel senso che la riduzione dell’orario di apertura al pubblico consentirà alle cancellerie di riservare una parte rilevante del proprio lavoro alla ricezione degli atti inviati telematicamente v. anche la Circolare del Ministero della Giustizia del 27 giugno 2014, cit., § 5]. Attività dal cui espletamento dipende (come si vedrà infra al § 6.2) la possibilità delle parti di visionare l’atto depositato sul fascicolo informatico. 
Precisazione opportuna è, infine, quella secondo cui anche ai depositi telematici, come a quelli cartacei, si applica la proroga della scadenza dei termini di deposito (a decorrenza successiva) al primo giorno seguente non festivo (prevista dall’art. 155, commi 4 e 5, c.p.c.) nel caso in cui l’ultimo giorno utile per l’adempimento cada in giorno festivo o nella giornata di sabato [la proroga dei termini prevista dall’art. 155, commi 4 e 5, c.p.c. non trova applicazione, invece, per i termini c.d. «a ritroso» (caratterizzati dall’assegnazione di un termine minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività) in quanto, altrimenti, «si produrrebbe l’effetto contrario di una abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio con le esigenze garantite con la previsione del termine medesimo»: v. così Cass. 4 gennaio 2011, n. 182, in Foro it., Rep. 2011, voce Termini processuali civili, n. 20. L’orientamento trova conferma anche in numerose pronunce di merito].

4.2. Il superamento della soglia dei 30 MB.
Il secondo periodo del secondo comma dell’art. 51, comma 2, cristallizza una prassi già diffusa in molti uffici giudiziari grazie ai protocolli sul p.c.t. [v. i Protocolli dei Tribunali di Bari, Belluno, Cagliari, Firenze, Foggia, Reggio Calabria, Roma, Udine]: la disposizione prevede che «quando il messaggio di posta elettronica certificata» (ma meglio sarebbe stato riferirsi alla «busta telematica», in accordo con quanto previsto all’art. 14, comma 3, del provvedimento DGSIA del 16 aprile 2014) contenente l’atto ed i documenti allegati da depositare «eccede la dimensione massima stabilita nelle specifiche tecniche del responsabile dei sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia» (ovvero i 30 MB) «il deposito degli atti o dei documenti può essere eseguito mediante gli invii di più messaggi di posta elettronica certificata».
Ciò significa che le cancellerie saranno tenute ad accettare due o più buste consecutive, come integranti un unico deposito telematico di atti e documenti processuali.
Ai fini della tempestività del deposito, però, l’avvocato dovrà aver cura di terminare le operazioni di deposito multiplo, con l’invio dell’ultima busta «entro la fine del giorno di scadenza», come pare chiarito (ancorché con formula non impeccabile: «il deposito è tempestivo quando è eseguito…») dall’ultimo inciso dell’art. 51, comma 2, del d.l. n. 90/2014.
Si scongiura così lo spettro della integrazione cartacea del deposito telematico troppo “pesante”, che costituiva uno dei nonsense del sistema di gestione dematerializzata del fascicolo [sul persistente obbligo per le cancellerie di tenuta del fascicolo su supporto cartaceo v., tuttavia, le indicazioni della Circolare del Ministero della Giustizia del 27 giugno 2014, cit., § 2].
Regola di buon senso, pur non fissata nelle recenti disposizioni del decreto, rimane quella di inserire, nella prima delle plurime buste telematiche, l’indice di tutti i documenti in corso di deposito, al fine di facilitare negli invii successivi al primo la loro riconducibilità all’atto principale oggetto di deposito; così come quella di indicare all’interno dei depositi successivi, qualora l’atto depositato telematicamente sia un atto introduttivo di un giudizio, il numero di ruolo generale assegnato dalla cancelleria alla prima busta ricevuta.

4.3. Il domicilio digitale.
L’art. 51, comma 1, lett. b) del decreto inserisce nel tessuto del d.l. 179/2012 (conv. con mod. nella l. n. 221/2012) l’art. 16 sexies, secondo cui la notificazione degli atti processuali, ad istanza di parte, deve essere fatta prioritariamente all’indirizzo PEC del difensore destinatario, risultante dall’elenco di cui all’art. 6 bis del d.lgs. 82/2005 (c.d. «INI-PEC») o dal registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal ministero della giustizia (c.d. «ReGIndE»). In via soltanto residuale, quando non sia possibile effettuare la notifica presso l’indirizzo PEC del difensore, per causa a questi imputabile, la notifica potrà essere legittimamente eseguita presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario.
La modifica recepisce le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, ove si era già affermato che la regola della notificazione alla PEC dovesse essere osservata anche nell’ipotesi in cui l’avvocato (destinatario della notifica), esercente il ministero fuori dal circondario del suo tribunale, non avesse provveduto ad eleggere domicilio nel comune ove ha sede l’ufficio giudiziario in cui si svolge la causa; essendosi, di contro, statuito che la domiciliazione ex lege in cancelleria potesse scattare solo nell’ipotesi (subordinata) in cui lo stesso difensore avesse omesso di indicare nell’atto difensivo il proprio indirizzo PEC comunicato al consiglio dell’ordine di appartenenza [in tal senso Cass., sez. un., 20 giugno 2012, n. 10143, in Foro it., 2013, I, 1287, con nota di G.G. Poli, L’indicazione della Pec (posta elettronica certificata) salva il difensore fuori circondario dalla domiciliazione «ex lege» in cancelleria: le sezioni unite tra vecchie regole e nuove tecnologie, che aveva sancito l’abrogazione implicita della regola di domiciliazione dell’avvocato esercente extra districtum,prevista dall’art. 82 r.d. 22 gennaio 1934, n. 37].
A questo proposito, nel corso dell’iter di conversione alla Camera del d.l. 90/2014, è stato approvato un emendamento che dispone (attraverso l’inserimento dell’articolo 45 bis nel d.l. n. 90) l’eliminazione dell’onere, previsto a carico del difensore dall’art. 125 c.p.c., di indicare nel primo atto difensivo «l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine».
La proposta di modifica tiene giustamente conto della circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori è autonomamente ricavabile da pubblici elenchi (ReGIndE), tanto è vero che le disposizioni in materia di comunicazioni e notificazioni telematiche (art. 16, comma 4, d.l. 179/2012; art. 149 bis, comma 2, c.p.c.; art. 3 bis l. n. 53/1994) prevedono che la notifica debba effettuarsi presso l’indirizzo risultante da tali elenchi, senza fare alcun riferimento a quello indicato dal difensore negli atti di causa. Sicché, l’onere di indicazione in capo al difensore si rivelava non solo superfluo (perché fonte di inutili duplicazioni) ma anche foriero di problemi applicativi, ogni volta che il difensore avesse indicato nell’atto processuale un indirizzo difforme da quello risultante dai «pubblici elenchi».
In correlazione al venir meno di tale onere, si prospetta la necessità di eliminazione della sanzione pecuniaria a carico della parte prevista dal T.U. in materia di spese di giustizia (v. art. 13, comma 3 bis, d.p.r. 115/2002), per il caso in cui l’avvocato avesse omesso l’indicazione del proprio indirizzo PEC ai sensi dell’art. 125 c.p.c.
Alla luce di tali modifiche, la «causa imputabile» al destinatario, che potrebbe legittimare la notificazione a istanza di parte in cancelleria, non potrà consistere nel mancato reperimento dell’indirizzo PEC negli atti di causa, ma semmai nella mancata attivazione e comunicazione dello stesso indirizzo al proprio consiglio dell’ordine da parte del difensore (che ne determinerebbe la mancata inclusione nei pubblici elenchi di cui all’art. 16 ter d.l. 179/2012) ovvero ancora nella eventualità che la mancata consegna della notifica sia dipesa dalla casella PEC piena del destinatario.

5. Potere di autentica di atti e provvedimenti in capo ai professionisti:

5.1. Estrazione di copie, analogiche e informatiche, e duplicati degli atti e provvedimenti presenti nel c.d. «fascicolo informatico».
L’art. 52 del decreto introduce il potere di autentica di atti e provvedimenti giudiziari da parte dei difensori e degli ausiliari del giudice, estendendo a tali soggetti una prerogativa tradizionalmente conferita ai cancellieri ed ai depositari di pubblici registri dall’art. 744 c.p.c.
La disposizione, con la consueta tecnica dell’interpolazione normativa, inserisce un nuovo comma 9 bis nell’articolo 16 bis del d.l. 179/2012.
In prima battuta, il periodo iniziale del comma 9 bis sancisce la piena equivalenza all’originale delle copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte o degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest’ultimo che siano «presenti nei fascicoli informatici», quand’anche privi della firma digitale del cancelliere: la previsione si coordina con la necessità, prevista dall’art. 9 delle regole tecniche (d.m. 44/2011) e 11, comma 1, delle specifiche tecniche (del 16 aprile 2014), che vengano acquisite al fascicolo informatico, tramite scansione, le copie informatiche per immagine degli atti/provvedimenti originariamente depositati in cartaceo, e vale a garantire la piena conformità all’originale analogico della copia digitale, anche in assenza della firma del cancelliere. E ciò, per evitare la paralisi del sistema, in ogni caso in cui l’operatore di cancelleria non possa (per le più svariate ragioni) apporvi la firma digitale.
La norma deroga in melius al dettato dell’art. 22, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. 82/2005), secondo cui i documenti informatici, contenenti copia di atti (pubblici o privati) o documenti di ogni tipo originariamente formati su supporto analogico, godono della stessa efficacia dell’originale (ai sensi degli artt. 2714 e 2715 c.c.) alla sola condizione che sulle copie sia apposta, da parte del pubblico ufficiale o del depositario pubblico autorizzato che li rilascia o li spedisce, una «firma digitale o firma elettronica qualificata» [cfr. anche M. Orlando, Sul processo telematico vince il gradualismo, cit.].
Sancita la piena equipollenza all’originale della copia consultabile in formato digitale, il secondo periodo del nuovo comma 9 bis introduce, come detto, il potere del difensore e degli altri ausiliari del giudice (consulente tecnico, professionista delegato, curatore, commissario giudiziale) di estrarre dal fascicolo informatico con modalità telematiche (ad. es.: copia, salvataggio, stampa) copie, analogiche o informatiche, ovvero duplicati degli atti e dei provvedimenti ivi presenti (ma non anche dei documenti allegati) e di attestarne la conformità ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico_._
Il periodo immediatamente successivo del comma 9 bis chiarisce, in una sorta di proprietà transitiva, che le copie analogiche o informatiche (anche per immagine) così estratte dal fascicolo informatico e munite della attestazione di conformità da parte dei soggetti legittimati dalla norma equivalgono all’originale.
Dal punto di vista pratico, la previsione comporta che, da oggi in poi, il difensore (o gli ausiliari individuati dalla norma) potrà salvare sul proprio pc o stampare in cartaceo ed eventualmente scannerizzare un atto od un provvedimento, certificarne autonomamente la conformità all’originale (c.d. copia autentica), e procedere successivamente alla notifica degli stessi.
Tale notifica, peraltro, potrà anche essere effettuata “in proprio” (senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario) a mezzo pec da parte di qualsiasi avvocato munito di procura alle liti ai sensi della l. n. 53/1994, sempre che l’indirizzo del destinatario sia censito nei pubblici elenchi enumerati dall’art. 16 ter d.l. 179/2012 [su tali aspetti sia consentito rinviare a G.G. Poli, Sulle novità in tema di notifiche «in proprio» degli avvocati a mezzo Pec: riflessioni a prima lettura, in Foro it., 2013, V, 154 ss., ove ulteriori richiami]. E’ invece venuta meno con il decreto in commento (v. art. 46 dello stesso d.l. 90/2014) la necessità per l’avvocato di farsi rilasciare una previa autorizzazione del consiglio dell’ordine di appartenenza [nella Relazione illustrativa al d.d.l. 2486/AC/XVII di conversione in legge del d.l. n. 90/2014, tuttora pendente all’esame della assemblea, si legge che la prevista autorizzazione del Consiglio dell’ordine «costituisce una cautela non necessaria, in considerazione dell’estrema affidabilità del sistema di PEC, che garantisce la provenienza, l’integrità e l’autenticità del messaggio»].
Con riferimento alla possibilità di estrazione di copie autentiche, il sistema così congegnato supera l’assetto risultante dall’art. 23 bis, comma 2, del Codice della amministrazione digitale (d.lgs. 82/2005), secondo cui le copie e gli estratti informatici tratti dal documento informatico possono avere la stessa efficacia probatoria dell’originale a patto che la loro conformità sia attestata «da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato» o non sia «espressamente disconosciuta».
Quanto, invece, ai «duplicati» informatici – costituenti, per esemplificare, file caratterizzati dalla medesima estensione dell’originale (pdf tratto da pdf) – il comma 9 bis chiarisce che resta ferma la previsione dell’art. 23 bis, comma 1, del C.a.d., secondo cui tali duplicati hanno il medesimo valore giuridico del documento nativo digitale (c.d. originale) da cui sono tratti, purché prodotti in conformità alle regole tecniche emanate ai sensi dell’art. 71 dello stesso codice dell’amministrazione digitale [L’art. 1 lett. i) quinquies del d.lgs. 82/2005 definisce il “duplicato informatico” come il «documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario», a differenza della “copia informatica” di documento informatico, definita dalla lettera i quater) dello stesso articolo come il documento informatico avente contenuto identico a quello da cui è tratto su supporto informatico, ma «con diversa sequenza di valori binari»].
Per ragioni di comprensibile cautela, la possibilità di autenticazione autonoma è esclusa in relazione agli atti processuali contenenti provvedimenti che autorizzano il prelievo (i.e. lo svincolo) di somme di danaro vincolate su decisione del giudice: si pensi ai provvedimenti resi nel corso dell’esecuzione forzata che abbiano destinato le somme al soddisfacimento dei creditori.

5.2. Le copie esecutive.
Il potere di autentica riconosciuto ai difensori non dovrebbe trovare ostacolo nelle ipotesi in cui sia necessario richiedere il rilascio di “copia esecutiva” di un provvedimento giudiziario, ai fini dell’esecuzione forzata.
In tal caso, il difensore potrà autenticare da sé la copia del provvedimento (in base ai poteri accordatigli dall’art. 52 del decreto) e richiederne alla cancelleria la sola spedizione in forma esecutiva (v. art. 475 c.p.c. e 153 disp. att. c.p.c.).
Non sarà, dunque, necessario che il difensore si rivolga alla cancelleria anche per il previo rilascio della copia conforme [cfr. anche G. W. Caglioti, Poteri di autentica copia atti giudiziari da parte dei difensori e degli ausiliari del giudice, in www.dirittoegiustizia.it], dalla cui eventualità conseguirebbe giocoforza anche l’onere di corrispondere all’ufficio i relativi diritti di copia (v. art. 268 d.p.r. 115/2002), oggi non più dovuti in caso di autenticazione degli atti ad opera dell’avvocato, come si vedrà al paragrafo che segue.

5.3. L’abolizione dei diritti di copia e l’aumento del contributo unificato.
Come necessario pendant della facoltà di autenticazione autonoma degli atti da parte del professionista, senza intermediazione delle cancellerie, l’art. 51, comma 2, del decreto ha disposto l’abolizione della necessità di corrispondere il diritto di copia sia nel caso di estrazione di copia autentica (v. art. 268 d.p.r. 115/2002) sia nel caso di estrazione di copia senza certificazione di conformità di cui all’art. 269 d.p.r. 115/2002 [il precedente testo del comma 1 bis dell’art. 269 del d.p.r. 115/2002 (inserito dalla “Legge Stabilità per il 2014” n. 147/2013) prevedeva che il diritto di copia senza certificazione di conformità non fosse dovuto «dalle parti che si sono costituite con modalità telematiche ed accedono con le medesime modalità al fascicolo»: questo assetto era evidentemente incompatibile con il sistema del processo telematico, che tuttora non prevede l’obbligo del deposito telematico né per gli atti introduttivi né per quelli di costituzione. In questi termini v. anche la Relazione illustrativa al d.d.l. 2486/AC/XVII di conversione in legge del decreto legge n. 90/2014].
Nel primo caso, l’esenzione è espressamente subordinata al requisito che la copia sia «estratta dal fascicolo informatico dai soggetti abilitati ad accedervi». Nel secondo caso, l’esenzione dal diritto di copia è strettamente correlata ai poteri contemplati dal nuovo comma 9 bis dell’art. 16 bis d.l. 179/2012, sicché il legislatore ha potuto limitarsi al mero richiamo dei casi ivi indicati (estrazione di duplicati, copie analogiche o informatiche da parte del difensore o altri ausiliari).
Il minor gettito derivante al bilancio dello Stato dalla abolizione dei diritti di copia (ma anche dalla eliminazione dell’importo della marca da bollo sulle notifiche effettuate in proprio dai difensori: su cui v. art. 46, comma 1, lett. d del decreto) è stato compensato dal corposo innalzamento degli oneri dovuti a titolo di contributo unificato, secondo quanto dettagliatamente previsto dall’art. 53 del decreto che ha novellato l’art. 13 d.p.r. 115/2002.

6. Alcune questioni ancora aperte:

6.1. L’errore di formato nel deposito telematico di un atto processuale.
Un profilo che avrebbe certamente meritato una presa di posizione espressa da parte del recente legislatore è quello concernente le conseguenze processuali ricollegabili al c.d. “errore di formato” commesso nel deposito telematico di un atto.
Si ricorderà che la disciplina tecnica del processo telematico (ricavabile dal combinato disposto degli art. 11 del d.m. 44/2011 e 12 delle specifiche tecniche DGSIA del 16 aprile 2014) esige che l’atto processuale da depositare consista in un file “.pdf” (privo di elementi attivi, come macro o campi variabili) ottenuto dalla trasformazione di un documento informatico testuale (di tipo word, open office, ecc.), che non presenti restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti: non un file di immagine, dunque, ma un “.pdf”, il cui testo sia liberamente utilizzabile dall’ufficio giudiziario, anche per il copia/incolla di parti dell’atto nella motivazione della sentenza o altro provvedimento.
L’errore più ricorrente da parte dell’avvocato “non sufficientemente telematico” può essere allora quello di stampare l’atto processuale creato sul pc (anziché convertirlo in pdf) e acquisirlo successivamente via scanner dal cartaceo: questa incauta operazione finirebbe per generare inevitabilmente un file di immagine, dal testo immodificabile; il che, come detto, cozza con le prescrizioni della disciplina tecnica di settore.
Fermo restando che, in tal caso, non sembra predicabile alcuna legittimazione al rifiuto del deposito da parte della cancelleria, giustificandosi tale potere nelle sole ipotesi limite ricavabili dalla interpretazione adeguatrice dell’art. 73, comma 2, disp. att. c.p.c. [che, concepito per il processo cartaceo, prevede che il cancelliere possa «rifiutare di ricevere il fascicolo di parte che non contenga le copie degli atti» di parte da inserire nel fascicolo d’ufficio: mutatis mutandis, nel sistema telematico il rifiuto della c.d. busta digitale, contenente l’atto depositato via PEC, da parte della cancelleria si rivela legittimo nelle sole ipotesi di errore c.d. «FATAL», in cui la busta risulta indecifrabile o carente dell’atto processuale; mentre, ogni diversa questione, avendo natura giuridico-processuale, non può che essere necessariamente riservata al sindacato del giudice: cfr. ancora D. Dalfino – G.G. Poli, Processo telematico: una partenza con “brivido”, cit., 11], occorre chiedersi se sia davvero obbligata la declaratoria dell’inammissibilità dell’atto depositato in formato difforme dalle previsioni tecniche del p.c.t. (“.pdf immagine”, anziché “.pdf” testuale), ipotizzata nella prima giurisprudenza applicativa, sul presupposto che tale atto sarebbe carente dei «requisiti genetici indispensabili per dar valido corso ad un procedimento telematico» [così testualmente Trib. Roma, 9 giugno 2014, inedita - che ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso per decreto ingiuntivo erroneamente depositato mediante file “.pdf” immagine - secondo cui non potrebbe operare la sanatoria della nullità dell’atto per raggiungimento dello scopo, poiché tale principio non troverebbe applicazione nelle ipotesi in cui la legge richiede forme determinate per il compimento dell’atto processuale; né avrebbe senso ragionare in termini di rinnovazione dell’atto nullo nell’ambito del medesimo procedimento, a fronte della libera riproponibilità della domanda prevista dall’art. 640 c.p.c.].
La soluzione lascia assai perplessi, se si considera che l’inammissibilità è una categoria sanzionatoria applicabile, almeno con riguardo ai vizi formali, nelle sole ipotesi tassativamente previste dalla legge (tutte peraltro, de lege lata, attinenti ai giudizi di impugnazione) [v. per tutti G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, Bari, 2014, II, 345. Tra le disposizioni in cui il legislatore codicistico fa espresso riferimento alla categoria della inammissibilità v. gli artt. 331, 334, 342, 348 bis, 358, 360 bis, 365, 366, 398, 408 c.p.c.] e che, di contro, né la normativa primaria, né la disciplina tecnica del p.c.t. prevedono alcuna conseguenza espressa per l’inosservanza di forme telematiche previste per il deposito degli atti [cfr. M. Reale, Deposito telematico, cit.].
L’errore di formato non sembrerebbe inquadrabile neppure nella nullità per mancato raggiungimento dello scopo (art. 156, comma 2, c.p.c.), se è vero che l’atto malamente depositato (come pdf immagine) può giungere comunque a destinazione (all’indirizzo pec dell’ufficio giudiziario presso cui è effettuato il deposito), deve essere accettato dalla cancelleria, e reso liberamente visibile dal giudice e dalle controparti nel fascicolo informatico.
L’unico inconveniente generato dal suddetto errore di formato è, in definitiva, l’impossibilità che il giudice estragga (con il copia/incolla) parti dell’atto per trasfonderle nel suo provvedimento: ma tale utilità non può certo assurgere al rango di scopo, cui parametrare la validità dell’atto.
Stando così stando le cose, ci si sarebbe potuti attendere che il legislatore, per sopire ogni possibile disputa e scongiurare improvvide declaratorie di inammissibilità, qualificasse l’errore di formato al più come semplice irregolarità, sanabile mediante ordine di rinnovazione (ai fini del deposito dell’atto in formato regolare) entro un termine perentorio, a mo’ di quanto previsto dagli artt. 182 o 421 c.p.c. [altra strada suggerita dagli interpreti è quella di considerare l’atto depositato in formato “.pdf” immagine alla stregua di una semplice fotocopia dell’atto (sottoscritta digitalmente) e farne discendere l’applicazione dell’art. 2719 c.c., con la possibilità di produzione dell’originale (depositato in formato telematico regolare) a seguito del disconoscimento dell’atto ad opera della controparte: in questo senso Bellé, Prime note su pct, cit., § 8].

6.2. Deposito telematico, visibilità dell’atto ed esercizio del potere di replica.
Altro problema ancora in attesa di soluzione è connesso alla discrasia temporale tra momento perfezionativo del deposito telematico a fini processuali e momento (successivo) in cui l’atto è reso visibile alle parti sul fascicolo informatico.
Mentre il primo momento coincide con quello in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna (RDAC) da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della Giustizia - il che accade di solito a distanza di pochi secondi dall’invio della Pec da parte del depositante -  l’atto depositato telematicamente diviene consultabile sul portale dei servizi telematici solo una volta ultimati con successo i controlli manuali da parte della cancelleria ed emessa la quarta ed ultima ricevuta di sistema (c.d. “Esito controlli cancelleria”), che può essere generata anche a distanza di qualche giorno dal perfezionamento del deposito.
Questo stato di cose può determinare due tipi di inconvenienti: 1) una possibile contrazione dei termini a difesa della parte chiamata a replicare all’atto depositato telematicamente (si pensi alla dialettica delle memorie ex art. 183, 6° comma, c.p.c.), ogni volta che la cancelleria scarichi con ritardo la busta telematica contenente l’atto depositato; 2) l’irreparabilità degli eventuali errori commessi in fase di deposito telematico dall’avvocato, in quanto la lentezza della cancelleria nella accettazione degli atti rischia di vanificare la previsione dell’art. 13, 4° comma, d.m. 44/11, secondo cui il rigetto del deposito da parte dell’ufficio «non impedisce il successivo deposito», purché compiuto «entro i termini assegnati o previsti» dal codice di procedura civile.
In attesa di auspicate, più radicali, soluzioni che eliminino in toto la necessità di accettazione manuale da parte della cancelleria [in questo senso v. la proposta della F.I.I.F. - Fondazione italiana per l’innovazione forense - di sostituire con controlli completamente automatizzati l’accettazione manuale del cancelliere, formulata nell’incontro del 24 maggio 2014, tenutosi a Roma tra i referenti informatici COA: il testo integrale delle proposte in http://fiif.it/s.php?i_fori_fanno_rete.], era lecito attendersi una maggiore audacia da parte del governo, che avrebbe potuto tipizzare una forma di rimessione in termini automatica delle parti pregiudicate dal colpevole ritardo della cancelleria nella accettazione dei depositi telematici [un tale intervento normativo supporrebbe anche la necessità di quantificare il lasso di tempo massimo - espresso in numero di giorni lavorativi - entro il quale la cancelleria è tenuta a provvedere all’accettazione delle buste telematiche. Sul punto, la circolare del Ministero della Giustizia del 27 giugno 2014, cit., auspica opportunamente che «l’accettazione del deposito di atti e documenti provenienti dai soggetti abilitati all’invio telematico sia eseguita entro il giorno successivo a quello di ricezione da parte dei sistemi del dominio giustizia»].
Il silenzio del d.l. 90 sul punto, unito alla assenza di qualsiasi previsione sul limite massimo di giorni concessi alle cancellerie per la lavorazione delle buste telematiche, scarica sulle parti tutta l’alea della discrezionalità dei giudici nella concessione della rimessione in termini e rischia di incagliare il giudizio nell’esame di defatiganti questioni procedurali.

Pubblicato il  31/07/2014