La pratica applicazione dell’azione di classe a tutela di consumatori e utenti continua a deludere le aspettative di quanti confidano nell’efficacia di quello che avrebbe dovuto essere il più sofisticato ed efficiente strumento di deterrence delle condotte plurioffensive poste in essere dagli operatori del mercato.
L’analisi delle pronunce più recenti consente di cogliere le difficoltà pratiche poste dall’applicazione della disciplina processuale e di segnalare le incertezze della giurisprudenza, chiamata al difficile compito di supplire in via interpretativa alle lacune tecniche del testo dell’art. 140 bis c. cons.

I. Prosegue nelle aule di giustizia il percorso dell’azione di classe che, sinora, ha prodotto magre soddisfazioni per i consumatori e gli utenti.
Una rapida rassegna delle più recenti decisioni consente di offrire una panoramica delle principali questioni di rilievo processuale poste dalla disciplina dell’art. 140 bis c. cons.
Soltanto in due casi l’azione è stata accolta; nel primo (Trib. Napoli 18 febbraio 2013) una dozzina di consumatori acquirenti di un pacchetto turistico c.d. tutto compreso ha visto riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da vacanza rovinata; nel secondo (App. Milano 26 agosto 2013, in Foro it., 2013, I, 3326), un solo consumatore, rappresentato da un’associazione consumeristica, ha ottenuto la restituzione di 14,50 euro, pari al costo di un test influenzale pubblicizzato in modo ingannevole dalla società distributrice in Italia.
La sentenza della corte meneghina si segnala all’attenzione perché contribuisce a fare chiarezza su alcuni dei molti aspetti critici della disciplina contenuta nell’art. 140 bis c. cons. (su cui sia consentito rinviare a A.D. De Santis, La tutela giurisdizionale collettiva. Contributo allo studio della legittimazione ad agire e delle tecniche inibitorie e risarcitorie, Napoli, 2013, 531 ss.).

II. La Corte d’appello di Milano ha riformato la decisione resa in primo grado da Trib. Milano 13 marzo 2012 (in Foro it., 2012, I, 1909) e ha sancito, in contrasto con Trib. Napoli 18 febbraio 2013, cit., l’inammissibilità dell’intervento volontario nel processo di classe nonché l’impossibilità di assimilare l’aderente alla parte processuale.
Si è rapidamente dato conto, in occasione del breve commento alla sentenza partenopea, delle ragioni favorevoli e contrarie all’ammissibilità dell’intervento di terzi, specialmente se aderenti, nel processo regolato dalle forme dell’art. 140 bis c. cons.
La novità proposta dalla Corte d’appello milanese sta nell’aver comunque riconosciuto all’interventore in primo grado la legittimazione ad impugnare la sentenza, ma con riferimento al solo capo relativo alle spese processuali.
La scelta interpretativa compiuta appare persuasiva perché tende a scoraggiare l’ampliamento del contraddittorio nel processo di classe, ontologicamente destinato, nel modello accolto dal nostro legislatore, a svolgersi tra due soli soggetti cui riconoscere i poteri e le prerogative delle parti processuali.
Quanto alla fase iniziale del processo di classe, consistente in un “filtro” di ammissibilità, i giudici milanesi paiono attestarsi sulle posizioni espresse da Cass.14 giugno 2012, n. 9772 (in Foro it., 2012, I, 2304), nel senso che l’ordinanza di ammissibilità della domanda non è idonea ad acquistare l’efficacia di giudicato interno, è sempre modificabile e revocabile e non preclude il riesame, da parte del giudice di merito, dei presupposti e delle condizioni per l’esperimento dell’azione.
Parrebbe ormai minoritaria l’opinione, pur inizialmente confortata da App. Torino 27 ottobre 2010 (in Foro it., 2010, I, 3545), secondo cui il giudizio di ammissibilità non demandi al giudice un controllo meramente formale, ma anzi gli imponga una valutazione «di tipo sostanziale di merito», da compiersi però allo stato degli atti; in particolare, l’accostamento, ipotizzato dal collegio piemontese, tra il giudizio di ammissibilità regolato dall’art. 140 bis c. cons. e quello di cui all’art. 5 l. 117/1988 lasciava intravedere la possibilità che il provvedimento con cui fosse dichiarata la manifesta infondatezza della domanda potesse avere ad oggetto, anziché meri fatti o semplici requisiti formali, l’inesistenza del diritto dedotto in giudizio dall’attore di classe, con conseguente idoneità al giudicato sostanziale di rigetto.
Di certo, la consapevolezza della utilità del giudizio di ammissibilità deve dirsi ormai acquisita e sembra risiedere nel bilanciamento tra i valori in gioco: da un lato, l’esigenza del convenuto di liberarsi in tempi rapidi da azioni di classe pretestuose o palesemente infondate e, dall’altro, quella dei consumatori, titolari di diritti omogenei a quelli del proponente, di essere tutelati rispetto alla possibilità di aderire ad azioni destinate ad un probabile insuccesso.

III. Il Tribunale di Roma, con due ordinanze “gemelle” del 2 maggio 2013 ha dichiarato ammissibili due azioni di classe proposte da utenti del servizio di somministrazione di acqua potabile nei confronti del Comune di Montenero di Bisaccia e del Comune di Petacciato, che, per motivi di tutela della salute pubblica, ne avevano disposto il divieto di uso.
Si tratta, a quanto consta, dei primi provvedimenti resi nell’ambito di azioni di classe promosse contro enti territoriali, i quali hanno, in corso di causa, eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
A sostegno della scelta di ritenere esperibile l’azione di classe, soggetta alla giurisdizione ordinaria, nei confronti un ente pubblico territoriale quale il Comune, le ordinanze del Tribunale capitolino pongono in evidenza la diversità intercorrente tra il rimedio di cui all’art. 140 bis c. cons. e quello predisposto dalla c.d. azione di classe pubblica, di cui al d. lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, attuazione dell’articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, esperibile davanti al giudice amministrativo; in particolare, viene in rilievo il fatto che il ricorso ex d. lgs. 198/2009 è finalizzato a tutelare gli utenti imponendo alla pubblica amministrazione la condanna in forma specifica ad un facere e a ricondurne l’operato nei canoni dell’art. 97 Cost., e per questo è esercitabile davanti al giudice amministrativo, mentre l’azione di classe ex art. 140 bis c. cons., ha una natura «satisfattoria diretta» dei diritti individuali e, quindi, è soggetta alla giurisdizione ordinaria.
Il motivo non appare pienamente persuasivo, anche considerando l’irrilevanza, sancita dalla Corte di cassazione, del rimedio esperibile come criterio per determinare il riparto di giurisdizione nei casi in cui sia esercitata un’azione nei confronti di una pubblica amministrazione (v. Cass., sez. un., 14 marzo 2011, n. 5926, in Arch. circolaz., 2011, 579, secondo cui«l’inosservanza da parte della p.a., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della p.a. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un facere, giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere»).
In effetti, anche per l’azione di classe parrebbe operare il principio per cui il collegamento con l’esercizio del potere amministrativo è il vero presupposto necessario per affermare la giurisdizione del giudice amministrativo (v. Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191, in Foro it., 2006, I, 1625 e Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, in Foro it., 2004, I, 2594).
Tuttavia, è bene segnalare le potenziali incertezze interpretative derivanti dall’esercizio dell’azione ex art. 140 bis nei confronti di enti territoriali, alla luce della ipotizzata necessaria, ai fini dell’ammissibilità della domanda, qualità di impresa da riconoscersi in capo al legittimato passivo (cfr. Trib. Roma 27 aprile 2012, in Danno e resp., 2012, 1243 e Trib. Torino 31 ottobre 2011, in Foro it., 2012, I, 1910).
Il fatto che l’inadempimento di una obbligazione, scaturente dal contratto o dalla legge, legittimi il ricorso all’azione di classe, nei confronti di soggetti privati o pubblici non appare condiviso da App. Firenze 27 dicembre 2011 (in Foro it., 2012, I, 1908), secondo cui «non sono concepibili diritti contrattuali facenti capo a una pluralità di consumatori, dovendosi pertanto escludere la loro tutelabilità mediante l’azione di classe, in relazione alla tariffa di igiene ambientale, il cui pagamento costituisce un obbligo di legge».

IV. Il Tribunale di Milano, con ordinanze del 8 novembre 2013, ha dichiarato inammissibili due azioni di classe proposte contro un medesimo vettore ferroviario locale, per il risarcimento dei danni patiti dagli utenti del servizio a causa di malfunzionamenti sulla linea e ritardi nell’arrivo e nelle partenze dei convogli.
Una delle due pronunce si segnala all’attenzione perché, oltre a ribadire il difetto di legittimazione all’esercizio dell’azione di classe in capo ad enti associativi, ha stabilito che la mancata indicazione nell’atto di citazione dei fatti costitutivi dei diritti al risarcimento del danno da inadempimento di contratti di trasporto ferroviario impedisce di definirne i caratteri e di specificare i criteri in base ai quali i consumatori che chiedono di aderire sono inclusi nella classe o devono ritenersi esclusi e determina l’inammissibilità della domanda per manifesta infondatezza.
In effetti, la mancata indicazione dei fatti costitutivi del diritto azionato dal proponente potrebbe avere conseguenze ulteriori, date dalla specificità delle forme processuali dell’art. 140 bis c. cons., rispetto a quelle di una causa ordinaria; il processo di classe ha inizio con un giudizio di ammissibilità, nel quale il collegio è tenuto a valutare, oltre che la manifesta infondatezza della domanda, anche l’omogeneità dei diritti di attore e potenziali aderenti e ad indicare, se del caso, i criteri in base ai quali legittimare la classe di consumatori ad aderire all’azione.
Tuttavia, non sembra cogliersi la ragione per escludere che all’atto introduttivo dell’azione di classe, che è la citazione di cui all’art. 163 c.p.c., si applichi il regime di sanatoria della nullità per vizi della c.d. editio actionis, previsto dall’art. 164 c.p.c.
Con l’altra pronuncia, il Tribunale di Milano ha dichiarato inammissibile l’azione di classe esercitata per tutelare diritti individuali al risarcimento del danno perché la diversità, rispetto a ciascun consumatore, delle conseguenze dell’inadempimento di una pluralità di contratti di trasporto ferroviario, ne comporta la disomogeneità.
L’ordinanza è, a quanto consta, il primo provvedimento che, all’indomani delle modifiche che il d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012 n. 27, ha apportato al testo dell’art. 140 bis c. cons. (tra cui l’eliminazione del riferimento alla identità dei diritti fatti valere e la sua sostituzione con quello dell’omogeneità), esclude l’ammissibilità della domanda ravvisando nella eterogeneità delle conseguenze patrimoniali per i singoli consumatori la mancanza della omogeneità dei diritti, pur in presenza di un unico fatto costitutivo.
Si tratta di una soluzione alquanto timida e, forse, frutto di un malcelato timore del collegio giudicante di fronte alle difficoltà di personalizzazione del risarcimento nei confronti di un ampio numero di individui.

V. La più recente pronuncia che si pone all’attenzione è stata resa dal Tribunale di Milano, in data 9 dicembre 2013 e ha dichiarato l’inammissibilità di un’azione di classe proposta nei confronti di una società appaltatrice del Comune di Milano per la somministrazione dei pasti nelle mense scolastiche e per la riscossione dei pagamenti da parte dai rappresentanti legali dei minori.
Anche in questo caso, il collegio ha riscontrato nella prevalenza di questioni personali relative all’accertamento dei diritti al risarcimento del danno non patrimoniale alla salute in capo ai potenziali consumatori aderenti i presupposti per dichiararne la disomogeneità.
L’ordinanza, inoltre, contribuisce a chiarire il significato dell’aggiunta (operata dall’art. 6, 1° comma, lett. a), d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. in l. 24 marzo 2012, n. 27) del riferimento, nel testo dell’art. 140 bis, agli interessi collettivi, quali posizioni soggettive tutelabili.
Secondo i giudici milanesi, deve escludersi la possibilità di conseguire, con l’azione di classe, rimedi inibitori e misure ripristinatorie, propri del diverso strumento costituito dall’azione collettiva di cui all’art. 140 c. cons., al cui esercizio sono legittimate solo alcune grandi associazioni di consumatori.
La controversa e ampiamente dibattuta nozione di interesse collettivo, quale oggetto di tutela di una azione giudiziaria, integrerebbe, nel meccanismo processuale dell’art. 140 bis c. cons., il semplice requisito dell’ampiezza del numero di potenziali consumatori coinvolti dall’illecito civile; si tratterebbe, dunque, di un riferimento tutto sommato atecnico, utilizzato al fine di introdurre una sorta di monito alle parti e ai giudici, circa la numerosity della potenziale classe di aderenti.

VI. L’impressione generale, che si ricava dalla rapida analisi delle ultime pronunce rese nell’ambito di azioni di classe, è di trovarsi al cospetto di uno strumento processuale altamente inefficiente.
La molteplicità di questioni interpretative poste dalla disciplina costituisce, più che un banco di prova della capacità della classe forense di cimentarsi con un nuovo istituto, una secca nella quale si incagliano i tentativi di incremento della deterrence propria di uno strumento collettivo di private enforcement.
Nonostante l’obiettiva sfiducia nelle chances di successo e diffusione delle azioni di classe, l’importanza che nei moderni sistemi giuridici rivestono le forme di tutela giurisdizionale collettiva (dimostrata, per esempio, dalla proroga voluta dal legislatore tedesco dell’efficacia dello strumento del Kapitalanleger-Musterverfahrensgesetz), in termini di deterrenza della diffusione di condotte illecite, prevenzione degli effetti distorsivi sul mercato, emersione della domanda di giustizia e deflazione del contenzioso seriale, impone l’adozione di tutti i possibili accorgimenti interpretativi per vivificare un istituto destinato, altrimenti, ad una progressiva e inesorabile atrofizzazione.

Pubblicato il 14/01/2014

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