Se in Italia non esistesse l’argomento “burocrazia”, molti – nel dibattito politico, intellettuale, giornalistico e pure nelle chiacchierate al bar – potrebbero essere privati di un formidabile pretesto per infinite discussioni, innumerevoli titoli e altrettanti anatemi. Per farsi un'idea dei capi di imputazione, basta ricorrere a un motore di ricerca per scovare online due parole: “burocrazia blocca”. In 0,32 secondi spuntano più di 266.000 risultati. Ecco che “La burocrazia blocca la sanatoria”; poi ostacola di tutto: le energie rinnovabili, centinaia di imprese, i dottori, l’ascensore, le ruspe, il funerale, gli abbattimenti delle nutrie, la ricerca sul siero Covid, migliaia di mascherine. Mortifica pure il genio italiano.

Appare evidente che la burocrazia – insieme di apparati e persone, i burocrati, cui è affidata l’amministrazione di uno Stato (e di enti diversi) – non è male come capro espiatorio. Per esempio, secondo un’opinione diffusa col contributo di alcuni politici (i cosiddetti “sovranisti”), l’Unione europea sarebbe governata da burocrati freddi e imperscrutabili; per giunta, “non eletti dal popolo” e insensibili ai problemi quotidiani della gente. Non è vero: perché i presidenti della Commissione europea e i singoli commissari sono politici a tutti gli effetti, così come i membri del Parlamento dell’Unione.

Dalla Francia del Settecento

Sul cortocircuito tra propaganda politica e fatti reali, torneremo più avanti. Prima è opportuno capire quale sia l'origine di questa parola. È un neologismo settecentesco nato in Francia: bureaucratie. Nel sito internet del Centre National de Ressources Textuelles, creato dal Centre national de la recherche scientifique, si legge che è stato inventato dall’economista  francese Vincent de Gournay (1712-1759) e che deriva dalla parola bureau con l’aggiunta di -cratie.

A proposito della paternità attribuita al de Gournay, sostenuta dallo scrittore tedesco Friedrich Melchior von Grimm (1723-1807), non c’è la certezza assoluta. Tuttavia nel Dictionnaire d'administration publique viene spiegato che “sarebbe stata forgiata” proprio dall’economista, “vicino al movimento fisiocratico”: questo è stato portatore di una dottrina sociale fondata sul concetto di un ordine naturale preesistente e sovrastante agli ordinamenti basati sul diritto positivo, espresso con la legge applicata nello Stato. Egli “vedeva in essa un quarto tipo di regime politico, i cui leader sono funzionari statali, che si svolge nella tipologia classica delle forme di governo accanto alla ‘monarchia’, all'‘aristocrazia’ e alla ‘democrazia’”. Guarda caso, Il nuovo Etimologico (Zanichelli, 1999) segnala una prima citazione in italiano nel 1781, quando l’ambasciatore di Napoli a Parigi, il marchese Domenico Caracciolo (1715-1789), in una lettera inviata all'economista Ferdinando Galliani (1728-1787), citò “la forza destruttiva, dispotica ed illimitata della burocrazia”.

Un mondo di scartoffie?

Oggi quella parola, dal punto di vista della linguistica, è considerata polisemica, portatrice di più significati. Viene usata, si legge sul Dictionnaire appena citato, “nella terminologia sviluppata dalle cosiddette Scienze organizzative”; però s’è imposta molto a livello internazionale così come la intendeva de Gournay: “per esprimere disprezzo per gli sprechi e gli errori ridicoli della pubblica amministrazione”; infatti “evoca un mondo di scartoffie e lentezza e si riferisce a un’amministrazione tentacolare e schizzinosa, persino oppressiva o arbitraria”. Invece la moderna definizione sociologica associa la burocrazia a un significato elogiativo: “Si riferisce a un'amministrazione la cui azione è legalmente inquadrata e i cui funzionari sono reclutati da un concorso, lavorano in un settore specifico e obbediscono solo ai doveri oggettivi della loro funzione”. Secondo una delle teorie tuttora più autorevoli, elaborata dal sociologo tedesco Max Weber (1864-1920) all’inizio del Novecento, si corre un rischio: quella funzione positiva può trasformarsi, come si legge sull’Enciclopedia Treccani, “in un processo irreversibile di burocratizzazione universale”, che tende a sottomettere gli uomini “alla potenza anonima, irresponsabile e ogni giorno più necessaria degli apparati burocratici”.

Come pulire quella scrivania

Per quel che riguarda l’etimologia dei due termini che compongono la parola burocrazia, bureau significa prima di tutto ‘scrivania’, ‘tavolino per scrivere’ (nome usato ancora dagli antiquari per designare il mobile-scrivania con ribalta) e ha assunto, di conseguenza, anche il significato di ‘ufficio’. Quest’ultimo significato è usato tuttora in modo generico o per nomi di enti, in inglese e francese: come il “Federal Bureau of Investigation” (FBI) negli Stati Uniti o il “Bureau de lutte contre le terrorisme” dell’ONU. Bureau deriva da bure, un tessuto grossolano di lana grigia. Bure sarebbe nato a sua volta dal latino popolare bura, nel significato di ‘stoffa grossolana’. Il linguista Aldo Gabrielli conferma questa tesi, spiegando che “indicava in origine una grossa e grezza stoffa di lana di color bruno che si usava soprattutto per confezionare le tonache di certi ordini religiosi. ...Avvenne che presto questo robusto tessuto e di poco prezzo venisse usato per ricoprire il piano superiore dei banchi degli scrivani; e di qui il nome di bureau al banco stesso, al tavolino per scrivere, e, con estensione anche maggiore al luogo dove si scrive, allo studio, all’ufficio”. Passando al suffisso -cratie (-crazia in italiano), viene dal greco -κρατία, derivato di κράτος (potere) e κρατέω (dominare): compare in molte parole composte derivate dall’antica lingua ellenica (come aristocrazia o democrazia) o formate in epoche moderne (come tecnocrazia e, appunto, burocrazia), col significato, in genere, di ‘esercizio del potere’.

Fragili autoassoluzioni

Torniamo al modo in cui oggi si abusa del termine burocrazia nel lessico politico e mediatico italiano. Già è stato chiarito come un’area politica parli strumentalmente ed erroneamente di “burocrazia europea”. Però molti politici e media puntano il dito anche, e soprattutto, contro la burocrazia statale, accusandola di essere responsabile dell’arretratezza e dei ritardi nelle riforme in Italia. Se si guarda ai membri della Pubblica amministrazione come possibili portatori di interessi corporativi, il timore espresso un secolo fa da Weber continua ad avere valore. D’altra parte altre categorie possono fare altrettanto (ordini professionali, partiti, apparati finanziari e via elencando), come mostra la cronaca quotidiana.

È arduo invece sostenere che la burocrazia italiana sia pressoché l’unica responsabile di ogni problema. Sia chiaro, questa non è esente da critiche e ai vertici vanta un’aristocrazia inossidabile, troppo collusa con la politica (Tito Boeri e Sergio Rizzo in un recente libro l’hanno chiamata poliburocrazia). Però chi lavora lealmente per la Pubblica amministrazione deve applicare valanghe di leggi e procedure, contraddittorie e contorte, varate soprattutto da Governo e Parlamento, da giunte e consigli regionali o comunali. Insomma, elaborate e volute dalla politica. Quindi le accuse rivolte da molti esponenti di partito e da vari media alla massa indistinta dei burocrati suonano soprattutto come una fragile autoassoluzione. Tanto più che spesso nell’Italia repubblicana i partiti, quando non hanno saputo che pesci pigliare, sono stati costretti a cedere la guida del Governo a un alto burocrate. È successo nel caso di tre governi “tecnici” su quattro (escluso il premier Mario Monti, economista nominato nel 2011): da Carlo Azeglio Ciampi (1993) a Lamberto Dini (1995), fino a Mario Draghi nel 2021, tutti con trascorsi burocratici ai vertici della Banca d’Italia. Se non è questa l’ironia della sorte...

Bibliografia essenziale

Tito Boeri, Sergio Rizzo, Riprendiamoci lo Stato. Come l'Italia può ripartire, Milano, Feltrinelli, 2020

Marco Brando, Formazione dei burocrati: lo Stato investe ogni anno solo 49 € a testa, InformazioneSenzaFiltro.it, 2020

Enciclopedia Treccani, Burocrazia, Treccani.it, Roma

Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, Il nuovo Etimologico / Dizionario etimologico della lingua italiana, II ed. a c. di Michele A. Cortelazzo, Bologna, Zanichelli, 1999

Aldo Gabrielli, Nella foresta del vocabolario, Milano, Mondadori, 1978

Nicolas Kada, Martial Mathieu, Dictionnaire d'administration publique, Grenoble, PUG, 2014.

Immagine: Illustration for bureaucratic articles

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