07 dicembre 2011

Eminenza azzurrina

Chi sono queste eminenze che, a dare retta all’etimo, sovrastano il gregge dell’umanità in virtù delle proprie qualità? Dice la lingua latina – che nemmeno fa finta di nascondersi dietro la testa dell’eminenza, circonfusa da aureola dorata e beata – che eminenza (attestato dalla metà del Trecento nella lingua scritta italiana) risale, per via dotta, al sostantivo eminěntia(m), derivato di eminěnte(m), participio presente di eminēre ‘sporgere in fuori, elevarsi’, a sua volta da ěx ‘fuori’ e mĭnae ‘sporgenza’. «Era una piccola eminenza prativa», scrisse il coltissimo Vate nostrano, Gabriele D’Annunzio, intendendo, alla lettera, eminenza come un rilievo, una sporgenza verticale che si solleva dal piattume circostante. Poi, come sempre, dal significato proprio s’è sviluppato quello figurato dell’‘essere eminente’, ovvero dello spiccare per elevatezza di doti spirituali e morali, intellettive e intellettuali: insomma, in una parola – che oggi brulica sulle labbra dei propagandisti parolai del made in Italy – si parla delle eccellenze (e più se ne parla, più, nei fatti, le si deprime e se ne vanificano gli sforzi, appunto, tesi a essere eminenti).
 
Eminem(s)
 
L’attrice Luciana Littizzetto, col suo uso parodico e deformante del sostantivo eminenza, ci ha ricordato che Eminenza – scritto con la maiuscola iniziale e preceduto da Sua nel caso di appello diretto alla persona – è titolo onorifico riservato alle eccellenze in ambito ecclesiastico, in particolare ai cardinali. Insomma, primizie del made in Vatican. Per Littizzetto, Eminenza è diventato di volta in volta Eminens, Eminenz e, sul filo del sovvertimento totale delle idee ricevute, Eminems, praticamente il nome di un noto rapper non particolarmente pio nel suo ritmato favellar cantando.
Ci ricorda il dizionario etimologico italiano monovolume più saldo e aggiornato, il DELI, che «il titolo di eminenza e di eminentissimo fu dato ai cardinali da Urbano VIII nel 1603 […] ma era in uso anche prima […] Nello stesso tempo Urbano VIII vietò agli altri ecclesiastici di qualunque grado e dignità l’uso del titolo di Eminenza e di Eminentissimo».
 
Richelieu e Joseph: il rosso e il grigio
 
Non suona casuale, perciò, che proprio in ambiente ecclesiastico siano state coniate due espressioni colorite (alla lettera: colorate) per appellare, rispettivamente, due prelati che ebbero una certa voce in capitolo nella grande Storia (quella, come si dice, con la S maiuscola). Le espressioni sono eminenza rossa ed eminenza grigia e traducono le corrispettive francesi: è dalla Francia e dal francese, infatti, che ci sono giunte. Leggiamo sul Vocabolario Treccani.it, s. v. eminenza: « E minenza grigia, consigliere segreto e potente di qualche alto personaggio. L’espressione fu usata la prima volta (fr. éminence grise) per il cappuccino François Le Clerc du Tremblay (detto le père Joseph), confidente e consigliere del cardinale Richelieu, che aveva invece il titolo di éminence rouge “eminenza rossa”». In italiano, risale all’inizio del Novecento (1905) l’estensione di significato della locuzione eminenza grigia oltre il recinto del puntuale riferimento al singolo personaggio, con il passaggio a indicare, appunto, qualsiasi consigliere potente e, di solito, segreto o comunque fautore dell’azione nascosta, velata, protetta dal clamore e sottratta al dominio pubblico.
 
Tra l’occulto e lo sbiadito
 
Il cromonimo (nome di colore) grigio, come ha scritto Rita Fresu per il Portale della Treccani, «esprime mancanza di chiarezza indicando contesti figurativamente poco visibili (come zona grigia o eminenza grigia), ma può essere anche sinonimo di scialbore e desolazione (città grigia; vita o esistenza grigia ; come derivato grigiore )» ( https://www.treccani.it/lingua_italiana/Fresu.html ). Insomma, tra l’occulto e lo sbiadito, l’eminenza che si ricopre di grigio sembra scegliere il maleficio masochistico dell’apparente inconsistenza espressiva e comunicativa per agire, nella sostanza, travasando il colore nascosto del proprio ingegno – fatto in realtà di fine e diplomatica accortezza, unita a sottile ma penetrante malizia – nel plasma sanguigno del potente per il quale ha deciso di valere (cioè di essere eminente sotto mentite grigie spoglie), praticando l’arte di farsi da parte sulla scena per non oscurarlo, forte viceversa della più o meno repressa convinzione di avvalersi del potente cui offre il proprio consilium: l’eminenza grigia pensa in realtà di comandare per procura. Non raccoglie le facili glorie delle piazze, reali e virtuali, e del sondaggismo taroccato; ma non si espone al ludibrio dei cali di popolarità cui i leader del drogato (e drogante) potere politico-mediatico sono ciclicamente e, talvolta, rovinosamente soggetti.
 
Gianni Letta, regalo di Dio
 
La più o meno recente storia italiana ci ha fatto conoscere un politico di lungo corso, nato come giornalista, da sempre immerso nei giochi politici: l’ex democristiano moderato (si sarebbe detto, un tempo, con più franchezza: di destra – sebbene di quella destra democristiana non rozza, ringhiosa e palazzinara, bensì manierata, untuosa e prelatizia) Gianni Letta, 76 anni, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nei Governi Berlusconi. Berlusconi stesso, con la tipica magnanimità di chi si crede il migliore, ha fotografato l’importanza del ruolo svolto da Letta: «C'è una sola persona indispensabile a Palazzo Chigi. Pensate sia Silvio Berlusconi? No, è Gianni Letta. È lui che ha chiesto di non fare il vicepremier perché avrebbe potuto aiutarmi di meno. Gianni Letta è un regalo di Dio agli italiani». Bello il quadretto che raffigura il primo Governo della cosiddetta Seconda Repubblica (siamo nel 1994), nel quale Enzo Biagi sistema anche Letta: «A prima vista mi è sembrato più che un Consiglio dei ministri un consiglio di famiglia. C’è infatti l’avvocato di fiducia: Cesare Previti; il gran cerimoniere: Gianni Letta; e c’è Giuliano Ferrara, che potrebbe anche essere considerato l’intrattenitore» (E. B., Io c’ero, a cura di L. Mazzetti, Rizzoli, Milano 2008, p. 421).
 
Arrivano gli azzurri
 
Una vera eminenza, dunque, Gianni Letta. Siccome però, in politica, i colori si fanno portatori simbolici di identità, l’eminenza non potrà certo essere né rossa, né nera: la casella del rosso è occupata sia dalle talari cardinalizie, i cardinali, sia da bandiere e fazzolettini degli storici avversari politici (i comunisti). Per fortuna c’è l’azzurro – colore primario come il nero e il rosso – che, dopo aver designato in Italia i monarchici e i nazionalisti (vedi Maurizio Ridolfi sul Portale Treccani: https://www.treccani.it/lingua_italiana/Ridolfi.html ), è stato rispolverato con abile mossa semiotica dal Berlusconi fondatore di Forza Italia (e, giù per li rami, dei vari popoli, poli e case della libertà), ovvero il partito degli azzurri (come i giocatori delle nazionali italiane di calcio e degli altri sport via via meno famosi).
 
Irenismo
 
Può capitare, però, che a spennellarti d’ideologia si precipitino per primi gli avversari. Ecco allora che il colore affibbiato all’eminente consigliere di Berlusconi è un colore “alterato”, un cromonimo, azzurro,con il suffisso diminutivo che suona vagamente ironico nel suo irenismo meteorologico. Leggiamo un pezzetto di editoriale scritto dal direttore Antonio Padellaro sul «Fatto quotidiano», nei giorni in cui si rincorrevano le voci sul prossimo, probabile, Governo Monti: «Letta non è visto benissimo dal Pd, e ci mancherebbe altro, poiché il personaggio in questione è stato per una vita l’ombra protettiva e complice di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, con ciò che ne consegue. Per Di Pietro, addirittura, il ritorno dell’eminenza azzurrina costituirebbe un affronto indigeribile: o lui o noi, ha fatto sapere, pronto a passare all’opposizione, così come già annunciato per altre ragioni dalla Lega» (16 novembre 2011).
È proprio finita così, poi: Gianni Letta, visti i malumori che la sua candidatura, avanzata più o meno ufficialmente da Berlusconi e dal Pdl, suscitava nel centro-sinistra, si è fatto da parte, tirandosi indietro. Mossa che le eminenze, grigie o azzurrine che siano, sanno compiere con garbo, fidando sul fatto che la danza, quella che interessa loro, non termina mai.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Immagine: triplo ritratto del cardinale de Richelieu, Philippe de Champaigne (1637 o 1642), National Gallery, Londra. Crediti: [Public Domain].

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