Alla fine è passato. Il jobs act. E il mistero della sua identità è stato svelato. Ma è tutta un’altra cosa, come si vede dal titolo del decreto che trasforma in legge il provvedimento urgente sostenuto da almeno un anno a questa parte da Matteo Renzi, con la forza turbinante del cinetismo verbale che gli è proprio. È tutta un’altra lingua, più che altro: Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. Questo significa, almeno, in parte jobs act. Manca infatti un pezzo, che in seguito diventerà disegno di legge.

Il paroloide

Del composto “largo” jobs act, però, nemmeno l’ombra nel testo di legge. Viene citato soltanto nella titolazione che apre la pagina web del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, in cui la misura è presentata.Se no chi avrebbe capito che lo scattante jobs act era la stessa persona del tardigrado Disposizioni?

La politica (economica), diventando legge, acquista perifrasi definitorie tanto pignole, quanto necessarie, e lascia a casa, con jobs act,la configurazione sprint del paroloide. Paroloide, dico io (ma andrebbe bene, almeno in parte, anche la locuzione parola stramba; leggi due paragrafetti più sotto), è la parola-slogan dai contorni indeterminati, dalla forte carica emotivo-impressiva, pronta per la farcia di una semantica variabile, che caratterizza il lessico politico supermediatico, quotidianamente diretto a riempire (o a svuotare?) i cervelli dei cittadini sempre, ormai, potenzialmente votanti.

Piano per il lavoro?

Ecco come il Vocabolario Treccani.it ha definito jobs act, riportando alcune varianti grafiche che hanno avuto corso nei mesi scorsi, quando, oltre che il contenuto dell’act, tutto nella testa del suo ideatore, anche la veste linguistica aveva contorni vaghi: «Jobs act (Job Act, job act) loc. s.le m. Piano per il lavoro. ◆ «Al primo posto, il lavoro. Ci sono tre milioni di disoccupati, il 40 per cento di giovani. Sto preparando un Job Act: un piano per il lavoro. Sarà innovativo». [Matteo Renzi] (Marco Damilano, Espresso.it, 13 marzo 2013, Palazzo) • Che importa se un piccolo drappello di eurodeputati cattolici e già 'renziani' del Pd ha dato man forte ai conservatori, ai popolari e alle destre estreme, per sancire che l'aborto non è da considerare un diritto umano delle donne, da rendere sicuro e legale. Meglio dirottare l'attenzione dell'opinione pubblica altrove: job act, green economy, finanziamento dei partiti. L'ipocrisia e l'oscurantismo hanno vinto. (Carlo Patrignani, Huffington Post.it, 15 dicembre 2013) • «Venendo qui ho incontrato una signora che mi ha preso in giro per il Jobs act: “Oh Renzi, falla finita con questi nomi strambi!”. Ha ragione: basta anglicismi. Però abbiamo sottratto la discussione sul lavoro agli “esperti” e l'abbiamo portata in pubblico. I dilettanti hanno fatto l'arca. Gli “esperti” hanno fatto il Titanic». [Matteo Renzi] (Aldo Cazzullo, Corriere della sera, 12 gennaio 2014, p. 3). // Espressione ingl. composta dai s. job 'lavoro' e act 'atto legislativo approvato e promulgato; legge'.

Parole strambe

È interessante notare la ferina capacità di Matteo Renzi di catturare gli umori della gente: nell’ultimo esempio riportato qui sopra, il giornalista Aldo Cazzullo raccoglie la testimonianza metalinguistica resa dallo stesso Renzi, il quale, appena sentito suonare un piccolo campanello d’allarme (le sane rimostranze della “signora” per «parole strambe» come jobs act), si affretta a proclamare: «basta anglicismi». Vediamo se sarà di parola, perché, viceversa, Renzi è affascinato dal potere seduttivo del “dimolo strano” che un paroloide può sprigionare. Il paroloide è tanto più esotico e malioso, quanto più lontano dal livello medio della lingua; tanto più circonfuso di un’aura di efficienza e pragmatismo, quanto più rivestito di tecnicismo angloamericano, stile Wall Street o White House. La consistenza di tecnicismo, cioè di termine ad alto grado di restrizione semantica, è caratteristica, nell’ambito dei linguaggi settoriali, dei linguaggi tecnico-scientifici. Ma quale tecnicismo all'italiana è mai jobs act?Per sapere che jobs act significa, in definitiva, più o meno ‘piano per il lavoro’ o, magari un po’ più in particolare, ma sempre in termini abbastanza lassi, «piano del Governo per favorire il rilancio dell’occupazione e riformare il mercato del lavoro italiano», abbiamo dovuto aspettare la scheda di sintesi pubblicata il 12 marzo 2014 sul sito del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Pensavamo – ricordando Massimo Troisi – che fosse un tecnicismo, invece era un calesse.

Rimasticature obamiane

Non si può non concordare con quanto scritto a più riprese, e con decisa tensione critica, da Licia Corbolante nel suo blog, a proposito del rutilante mondo dei forestierismi, usati come gadget di lusso anche in contesti, come quelli politici, pubblici e istituzionali, che richiederebbero viceversa sobria precisione e trasparenza. Proprio a proposito di jobs act, Licia Corbolante ha notato che, specialmente per chi conosce a menadito l’inglese (come lei), il composto, appena introdotto di volata nella lingua italiana politica e giornalistica, ha mostrato la sua natura mutagena, sia nella forma (job al singolare, poi al plurale, talvolta col genitivo sassone), sia nella semantica. Poiché – ha argomentato Corbolante, il 9 gennaio di quest’anno - «In inglese la parola act, in particolare se scritta con l’iniziale maiuscola, identifica un atto legislativo approvato dal parlamento e promulgato dal capo dello stato (una legge)», «È più probabile che Renzi intenda invece una proposta di legge, ma in questo caso in inglese il termine corretto è bill (e comunque in Italia si deve essere parlamentare per presentarne una)». Insomma, c’è stato un uso improprio di act, da parte di Renzi e renziani, e una rimasticatura approssimativa di titolistica obamiana. L’importante, a quanto pare, non è tanto il rispetto per l’interlocutore – il cittadino –, che andrebbe messo nelle condizioni di capire ciò che il politico gli presenta, quanto la seduzione con cui avvincere il destinatario, preso alla sprovvista e privo di possibilità di verifica e interazione. Non c’è più distinzione tra discorso e propaganda.

Un troll di nome Durc

È vagamente paradossale, infine, che, nella citata presentazione della scheda di sintesi pubblicata dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, il terzo capoverso reciti così: «Per quanto riguarda la semplificazione, in particolare, la smaterializzazione del DURC, il documento unico di regolarità contributiva, finalizzata al superamento dell'attuale sistema, che impone ripetuti adempimenti burocratici alle imprese». Va bene che siamo in regime di “sintesi”, ma vogliamo almeno spiegare in due parole il senso di questa smaterializzazione,cioè che il vocabolo designa il passaggio dalla produzione di documenti su carta alla produzione di documenti elettronici, ‘non fatti di materia tangibile’? Se no, appena diradato il mistero dell’elfo Jobs act, ci prende l’ansia per la scomparsa nell’etere di un troll di nome Durc.

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