Undici domande a Marino Sinibaldi, tra lingua e vita

Autobiografia in un tweet

Nato biologicamente nel 1954, culturalmente nel 1968, professionalmente nel 1977 quando ha iniziato a fare il bibliotecario e nel 1999 quando è diventato prima vicedirettore e poi direttore di Radio3. Tutto in uno spicchio di mondo (Roma) che ama ma non idolatra.

1. La parola al centro della sua vita: quando lo ha capito?

Parlare. Ho capito presto che era la cosa che più  mi piaceva  fare, l’ho fatto per passione e per lavoro, perfino da solo (ma più spesso con altri e per altri, fortunatamente) fino a fare mia la massima di Don Milani: «Essere dilettanti in tutto e specialisti solo nell'arte del parlare_»._

2. Un modo di dire, una frase, un proverbio, il verso di una poesia o di una canzone che le ritorna in mente.

Cambiano rapidamente, specie le canzoni che tornano in memoria. Ora più spesso di tutte una che dice, tra l’altro, «ad un futuro che ha già in mano».

3. Una parola o espressione, anche dialettale, del suo lessico familiare.

Chi ha il pane non ha i denti.

4. La parola che la fa volare.

Radio.

5. La parola che la amareggia.

Paura.

6. Il dizionario: pesante o leggero?

Pesante quanto basta.

7. Tre lemmi che eliminerebbe dal dizionario e perché.

Obbligo (perché preferisco la libera scelta), servitù (perché preferisco il suo contrario), sicurezza (perché così saremmo costretti a cercare sinonimi meno equivoci).

8. Chi sono i padroni della lingua?

I parlanti.

9. L’aggettivo che più le si addice.

Curioso.

10. Quello al quale non vorrebbe mai essere associato.

Potente.

11. L’emoji con cui si identifica.

L’arcobaleno.

Illustrazione di Stefano Navarrini