Fig. 1 (Fonte immagine: https://www.frasi-celebri.net/frasi/MTM1MDEw/) Fig. 2 (Fonte immagine: https://www.pinterest.it/pin/824792119243712920/)

Un modo di dire fortunato

«Il problema non è la coda di paglia ma la segatura nel cervello», «Chi ha la coda di paglia spesso ha una lingua che taglia», «Mi piacciono le persone che hanno la coda di paglia così possono prendere fuoco più facilmente», e anche l’immancabile «Keep calm and coda di paglia» con l’opposto «Keep calm and che brutto avere la coda di paglia». Tra i vari modi di dire italiani (avere) la coda di paglia sembra tra quelli oggi maggiormente produttivi nei processi di memizzazione e di pseudocitazione (ossia il meccanismo che porta alla creazione di presunte “frasi celebri”, come in fig. 1): così una frase come «Chi ha la coda di paglia vede accendini nelle mani di chiunque» finisce persino tra le «Citazioni buddiste» (si vedano le categorie dell’immagine citata in fig. 2) e si trova in moltissimi meme taggato come “citazione” (di chi non è chiaro). Il passaggio a pseudocitazione è compiuto nel momento in cui, come in un caso nel forum del «Corriere della sera» (vedi), la frase è accompagnata dalla sola indicazione «cit.», che indica la ormai avvenuta proiezione nell’universo sapienziale.

Il modo di dire gode inoltre di consistente fortuna nel lessico giornalistico: sono circa 500 le attestazioni nell’ultimo ventennio nella banca dati di «Repubblica»; meno frequente l’uso nel «Corriere della Sera», in cui la coda di paglia compare 478 volte dal 1878 (quando fa da titolo a un articolo) a oggi. Di là dai giornali, tuttavia, quasi tutte le attestazioni scritte del modo di dire provengono dall’àmbito giornalistico, a partire dal titolo La coda di paglia dato da Guido Piovene nel 1962 a un volume che ripercorreva l’esperienza della generazione formatasi durante il Fascismo.

Coda di paglia è inoltre ben radicato nel lessico parlamentare dell’Italia repubblicana, usato quasi sempre da deputati di opposizione: lo usano il comunista Palmiro Togliatti nel 1950, riferendosi ai democristiani, e il socialista Pietro Nenni nel 1952, parlando di «coda di paglia del patto Gentiloni»; il missino Giorgio Almirante nel 1967 parla di «qualche eminente o eminentissimo uomo politico, che ha, evidentemente, la coda di paglia» (il riferimento è a Aldo Moro); nell’ottobre 1998, il segretario del Partito della Rifondazione comunista Fausto Bertinotti, che pochi giorni prima aveva negato la fiducia al primo Governo Prodi, decretandone in pratica la caduta, fa lo stesso nei confronti del nuovo governo guidato da Massimo D’Alema, notando tra l’altro la «coda di paglia di un atteggiamento di contraddizione tra il detto e il fatto». Usò l’espressione in verità anche Giulio Andreotti, nel 1970, riferendosi al liberale Vittorio Badini Confalonieri. L’uso si è fatto poi sempre più frequente nelle più recenti legislature: nell’ultima, per esempio, l’espressione è stata usata in discorsi alla Camera dai deputati Sara Moretto e Ivan Scalfarotto di Italia Viva e dal leghista Edoardo Ziello.

Ma che fa chi ha la coda di paglia?

I principali repertori lessicografici registrano diffusamente il modo di dire avere la coda di paglia, pur dando significati leggermente diversi tra loro. Se per il Treccani online il significato è «di chi, non avendo la coscienza tranquilla, si adombra per ogni discorso che ritiene allusivo», e per il GRADIT vuol dire «sentirsi in difetto o in colpa per qcs. e pensare che gli altri vi alludano», il GDLI intende invece «temere e sospettare sempre accuse, danni, sapendo di esser in colpa, di aver qualche difetto, non avendo la coscienza tranquilla».

Più complesso è invece ricostruire l’origine del modo di dire. La spiegazione tradizionale, ancora oggi largamente conosciuta e ritenuta vera (vedi anche Wikipedia) fa risalire l’espressione a una favola in cui una volpe, dopo aver avuto mozzata la coda in una tagliola, se ne sarebbe messa una posticcia di paglia, facendo ben attenzione a tenerla lontana dal fuoco in modo che non si incendiasse. Il primo a fornire questa spiegazione per l’origine del modo di dire è il senese Temistocle Gradi nel Saggio di letture varie per i giovani (1865), che attribuisce il racconto (che termina con la morte della volpe nell’incendio della coda) a una «massaia». Questa storiella (con l’eccezione della finale morte della volpe) viene ripresa dal lessicografo fiorentino Pietro Fanfani nelle Voci e maniere del parlar fiorentino (1870): di qui in poi questa diventa di fatto l’origine comunemente accettata di avere la coda di paglia. L’origine favolistica è del resto abbastanza comune nei modi di dire (si pensi ad esempio a fare come la volpe e l’uva). Tuttavia, almeno in questo caso, il richiamo alle favole di Esopo non è del tutto convincente: la volpe dalla coda mozza, infatti, nel racconto esopiano non finisce per indossare una coda di paglia, bensì per proporre a tutte le altre volpi di mozzarsi la coda.

Fig. 3 (Fonte immagine: https://www.fenomenologia.net/2020/06/26/avere-la-coda-di-paglia/)

È stato Ottavio Lurati nel Dizionario dei modi di dire a proporre una spiegazione diversa e più convincente. Il modo di dire sarebbe il rispecchiamento linguistico della pratica dei vincitori di umiliare gli sconfitti in battaglia facendoli sfilare con una coda di paglia attaccata al sedere, con la possibilità che qualcuno gliela incendiasse come gesto di ulteriore scherno. Di tale uso Lurati cita un episodio avvenuto nella guerra tra Pavesi e Milanesi. Si tratta, più precisamente, del racconto che fa Galvano Fiamma nel capitolo 159 della sua cronaca, intitolata Manipulus Florum. Nel 1108 i prigionieri pavesi furono – così dice Galvano – trattati con grande clemenza dal Comune di Milano: dopo pochi giorni che erano prigionieri, infatti, essi «furono liberati e portati tutti quanti sulla piazza del Comune e a ciascuno dei Pavesi fu legata una manciata di paglia, come se fosse una coda; dato fuoco a quest’ultima, furono cacciati dalla città». Si tratta, tuttavia, di un uso di cui non risulta altra documentazione: se è possibile che non tutti i cronisti lo ritenessero un gesto di così grande liberalità come Galvano e censurassero l’azione del proprio Comune, è pur vero che non mancano descrizioni di supplizi e umiliazioni ben più crude di queste. Si tratta, in ogni caso, di un uso documentato anche nelle sfilate di Carnevale, ancora in Romagna fino al primo Novecento.

Il gesto di mettere la coda a qualcuno è ovviamente la trasposizione simbolica della degradazione al grado bestiale di colui che porta la coda. La paglia indica invece scarso valore (si pensi a modi di dire come uomo di paglia o al sostantivo paglietta).

La proposta di Lurati sembra dar conto dei diversi e contemporanei stati d’animo che caratterizzano chi ha la coda di paglia: la consapevolezza del proprio errore e la diffidenza verso coloro che possono rendere pubblica la colpa. L’origine medievale, inoltre, spiegherebbe bene anche il perché l’immagine della coda non sia limitata all’italiano ma compaia in forma identica in catalano (tenir la coa de palla), in sardo (qui hat coa de paza non s’accurziet a fogu) e, in una forma assai simile, anche in francese (avioir la paille au cul).

I proverbi

Probabilmente proprio da questo uso medievale (militare e forse carnascialesco) nasce il proverbio Chi ha la coda di paglia ha sempre paura che ’l fuoco non l’arda, registrato dal poligrafo fiorentino del Cinquecento Francesco Serdonati, che lo spiega «Chi è in colpa teme del gastigo»; con poche differenze (chi ha la coda di paglia ha sempre paura che gli pigli fuoco) il proverbio compare nelle giunte di Gino Capponi alla ottocentesca raccolta di Giuseppe Giusti (si vedano i Proverbi italiani dell’Accademia della Crusca). Anche qui, in forme simili, il proverbio compare in tutta l’area italiana, come testimoniano le attestazioni che si incontrano nei dizionari dialettali di tutta la penisola: chi gh’a la cua d paia, l gh’a pagüra che la gh brüsa (Pavia), chi ha o cu de paggia, ha puia ch’ ghe pigge feugo (Genova), kićć à la kợa de paija ćà paura ke įe pia foku (Foligno), chi tene la coda de paglia se l’abbruscia (Sannio), cu’ àvi ’a coda di pagghia, ’a paura lu tagghia (Calabria)

Lo studioso di proverbi Carlo Lapucci, nel registrare nel Dizionario dei proverbi italiani il proverbio del Serdonati lo ritiene forma eufemistica del simile Chi ha culo di paglia stia lontano dal fuoco, con riferimento «alla vistosa imbottitura posteriore tipica degli abiti femminili di un tempo». D’altronde spesso il riferimento al nascondere le proprie magagne è espresso attraverso metafore del vestire: chi g’ha la pataja sporca ha semper paura (‘chi ha la camicia sporca ha sempre paura’, Parma), chi ha la camisa merda ha seimper la pora ados (‘chi ha la camicia sudicia ha sempre la paura addosso’ Bologna).

Se tutti prima o poi abbiamo nella nostra vita avuto la coda di paglia (perché tutti abbiamo qualche scheletro nell’armadio, altro modo di dire che trova paralleli in altre lingue), non resta che star calmi, e dunque keep calm and coda di paglia.

Fig. 4 (Fonte immagine: https://keepcalms.com/p/keep-calm-and-coda-di-paglia/)

Bibliografia e sitografia minima

Fanfani, Pietro, Voci e maniere del parlar fiorentino, Firenze, Tip. del Vocabolario, 1870.

Gradi, Temistocle, Saggio di letture varie per i giovani, Torino, Tip. scolastica di Sebastiano Franco e figli, 1865.

GRADIT. Grande dizionario italiano dell’uso, a cura di Tullio De Mauro, 6 voll., Torino, UTET, 1999-2000, con due volumi di supplemento: Nuove parole italiane dell’uso, vol. VII, 2003; Nuove parole italiane dell’uso 2, vol. VIII, 2007.

Gualvanei Flammae Manipulus florum, sive Historia Mediolanensis ab origine urbis ad annum circiter MCCCLXXI, nunc primum edita ex manuscripto codice pergameno mediolanensi, et cum altero Bibliothecae Ambrosianae collata, in Rerum Italicarum Scriptores ab anno aerae christianae quingentesimo ad millesimumquingentesimum, t. XI, Mediolani, Ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, 1727 coll. 531-740.

Lapucci, Carlo, Dizionario dei proverbi italiani, Firenze, Le Monnier, 2006.

Lurati, Ottavio, Dizionario dei modi di dire, Milano, Garzanti, 2001.

Piovene, Guido, La coda di paglia, Milano, Mondfadori, 1962.

Il ciclo Per modo di dire. Un anno di frasi fatte è curato da Alessandro Aresti, Debora de Fazio, Antonio Montinaro, Rocco Luigi Nichil, Rosa Piro, Lucilla Pizzoli. Di seguito, l’elenco degli articoli già pubblicati.

Lucilla Pizzoli, Colorare i discorsi

Alessandro Aresti, Attaccare (un) bottone

Antonio Montinaro, Rompere il ghiaccio

Debora de Fazio, Elementare, Watson!

Lucilla Pizzoli, Essere un carneade

Pierluigi Ortolano, Stai fresco!

Antonio Montinaro, Galeotto fu il libro

Lucilla Pizzoli, Brutto anatroccolo

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