Il quarantotto è un numero fortunato dal punto di vista della lingua italiana: da esso nascono diversi sostantivi e locuzioni. La sua produttività è inferiore solo a quella di numeri fondamentali (anche per motivi religiosi) come tre e sette, o di cifre tonde come cento e mille.

Nella Firenze medicea i quarantotto (o anche i quarantotti) erano i membri di un Consiglio che aveva funzioni legislative (basti la voce del GDLI, con esempi di autori importanti come Benvenuto Cellini, Benedetto Varchi e Anton Francesco Grazzini).

Anticamente c’erano poi le locuzioni avere uno a carte quarantotto e dirgliela a carte quarantotto, che significavano rispettivamente ‘non sopportare qc.’ e ‘parlare a qc. in modo schietto’ (la prima locuzione è riportata da molti dizionari ottocenteschi sulla scorta di un passo del fortunatissimo epistolario di Annibal Caro). Inoltre, nel suo Vocabolario dell’uso toscano Pietro Fanfani registra «il modo detto assolutamente A carte quarantotto», che si usa «quando vogliamo che una cosa sia detta o fatta recisamente» (Fanfani, s.v. carta). Negli ultimi decenni dell’Ottocento fanno la loro comparsa le locuzioni, tuttora correnti, andare o mandare a carte quarantotto ‘andare/mandare in rovina, a scatafascio’.

Manca una spiegazione precisa dell’origine delle locuzioni in questione; nel Vocabolario Treccani si ipotizza che esse siano «tutte insorte in ambienti di biblioteche e archivî, con riferimento a carte e documenti in disordine»; e si immagina una sovrapposizione «del sign[ificato] di “confusione” collegato con i disordini del 1848» (che per alcune di esse è però impossibile per ovvi motivi cronologici).

Si può recuperare e sviluppare l’ipotesi implicitamente proposta da Carena 1854, p. 117: a carte quarantotto è riferibile all’ultima pagina (p. 96, secondo il sistema divenuto presto comune, che prevede numeri distinti per il recto e il verso) di un libretto. Si noti che 48 è un multiplo di 16: a carte quarantotto indica quindi l’ultima carta di un sedicesimo. Tutte le locuzioni avrebbero a che fare col concetto di conclusione: avere uno a carte quarantotto potrebbe quindi significare considerarlo per ultimo tra tutti i conoscenti; dire a carte quarantotto varrebbe fare un’affermazione che chiude il discorso, non ammettendo replica; andare o mandare a carte quarantotto esprimerebbero l’idea di una situazione a cui non si può mettere rimedio. Naturalmente, rimane vero che «non si sa perché si dovesse andare o mandare a carte quarantotto» (DELI, s.v. quaranta), e non, per esempio, a carte sessantaquattro (o altro multiplo di sedici). Per le ultime locuzioni, vista la loro datazione tarda, è probabile che il riferimento al 1848 sia entrato in gioco: si tratterebbe quindi di una contaminazione di significati di origine diversa.

La primavera dei popoli

Nel gennaio del 1848 cominciò una serie di moti rivoluzionari in vari paesi d’Europa, che si concluse solo nei primi mesi del 1849. Nel grande tentativo di incrinare la cappa di piombo della Restaurazione, «alle istanze politiche, di liberazione e indipendenza nazionale e di conquista di regimi democratici, si affiancarono istanze di tipo sociale» (Diz. di storia, s.v. rivoluzioni del 1848).

Già il 1° marzo 1848 lo scrittore mazziniano Filippo De Boni parlava di primavera dei popoli, coniando un’etichetta destinata a rimanere nell’uso (anche scolastico) fino ad oggi, ma colpevolmente ignorata dai dizionari; la locuzione si legge in un suo grido agl’italiani, tipicissimo esempio di prosa risorgimentale: «Li 22 Febbraio spuntava dentro Parigi la primavera dei popoli, la redenzione evangelica si compieva tre giorni dopo, e l’umanità levavasi tutta fuor dalla sua sepoltura, proclamando il codice dell’avvenire» (De Boni 1848, p. 3).

Quell’esperienza si concluse con la sconfitta dei rivoluzionari: le varie conquiste raggiunte si rivelarono quasi tutte di breve durata. Nondimeno, nell’immaginario collettivo è rimasta a lungo viva l’impressione (perlopiù negativa) di un momento di grandi sconvolgimenti; ne restano tracce significative nel lessico e nella fraseologia italiani.

Dal 1848 al quarantotto

Come avverrà più di un secolo dopo col sessantotto, l’evocazione dell’anno delle rivoluzioni è divenuta presto così comune da non dover richiedere l’esplicitazione di millennio e secolo. Una riprova è data dall’altissimo numero (alcune centinaia, come si ricava facilmente dalla consultazione del catalogo SBN) di libri il cui titolo contiene il quarantotto (spesso inserito in un contesto che determina di quale aspetto particolare si tratta; per es. Il quarantotto a Vicenza). Quest’uso è tutt’ora vivissimo; si può citare un libro fresco di stampa: I__dee d’Italia. Da Napoleone al Quarantotto di Francesco Bruni. Si tratta spesso di un modo per far riferimento in generale al clima del Risorgimento, come si vede bene in un racconto contenuto in Gli zii di Sicilia, il primo libro di Leonardo Sciascia, intitolato semplicemente Il quarantotto, in cui è narrata una vicenda che si svolge lungo un periodo di dodici anni.

Interessante la nascita di tre distinti periodici intitolati «Il Quarantotto» (a Messina, Napoli, Milano); tutti e tre sono stati fondati dopo l’Unità: ciò significa che per chi ha scelto quel titolo il ricordo della primavera dei popoli vale anche come richiamo, slegato da precise coordinate storiche, alle istanze della libertà e del progresso.

Con un processo analogo a quello che determina il passaggio dal nome proprio al nome comune (secondo la celebre etichetta di Bruno Migliorini), quarantotto viene presto utilizzato come sostantivo, nel significato di ‘subbuglio, confusione’ (con varie sfumature possibili). Quest’uso, a quanto sembra, «nasce a Milano in ricordo delle Cinque giornate» (DELI): il dialettale quarantott precede probabilmente la forma italiana.

Le prime attestazioni finora note (riportate nel GDLI, s.v.) appartengono al romanzo di Emilio De Marchi Arabella (1892-1893), in cui il termine è usato in modo piuttosto creativo: «Conoscete la Santina? È mezza malata e senza voce e non voleva venire! ma io l’ho condotta per forza. Ci dobbiamo essere tutti a questo quarantotto»; «La donna, sbarrando gli occhi pieni di quarantotto, pareva un cagnaccio in atto di scagliarsi su un gatto».

Se ne può indicare una di poco precedente, in una novellina per bambini: «sperò… in una divagazione di memoria della maestra […]; in un quarantotto, che facesse chiudere improvvisamente le scuole» (Corti 1890, p. 385).

Quarantotto è anche un cognome (chi si occupa di lingua italiana conosce per esempio Claudio Quarantotto, che è stato autore di importanti dizionari di neologismi). Si è ipotizzato un legame col quarantotto rivoluzionario, che però è impossibile: «non esistono cognomi formatisi da soprannomi in epoca così recente» (Caffarelli 2014, pp. 132-33, che indica alcune possibili spiegazioni, tutte plausibili, come il legame col 1348, anno rimasto tristemente famoso per la grande pestilenza, o col consiglio fiorentino dei Quarantotto, da cui si può essere originato un soprannome per indicare «una ‘persona importante, maggiorente, notabile’»).

I derivati

La lunga permanenza dei fatti del 1848 nella memoria collettiva è dimostrata anche dai numerosi sostantivi e aggettivi derivati per suffissazione da quarantotto: il GDLI ne registra in totale otto, e un nono viene aggiunto dal GRADIT. Con una sola eccezione, si possono retrodatare grazie alle attestazioni rintracciabili attraverso Google libri:

- quarantottardo dal 1904: «Ma non vado oltre con questi pensieri; sento che mi stridono agli orecchi i berleffi degli scettici, che mi mandano alla gogna dei ... quarantottardi! («Archivio storico lombardo» 1904: il motore di ricerca non permette visualizzare il testo per intero, e quindi di risalire al nome dell’autore dell’articolo).

- quarantottata dal 1873: «[Cavour] non si stancava mai dal ripetere che bisognava ad ogni patto evitare le quarantottate» (Massari 1873, pp. 284-85).

- quarantotteggiamento dal 1885: «Addio dunque, o quarantotteggiamenti faticosi e amoretti leziosi!» (Edoardo Scarfoglio, cit. in GDLI).

- quarantottescamente dal 1897: «sognai d’Italia e terza Roma anch’io, / e vaneggiai quarantottescamente (oh Patria!) / i dì miglior del viver mio» (Testa 1897, p. 27).

- quarantottesco dal 1860: «12 anni di oppressione ci hanno insegnato a non essere minchioni, come fummo il 15 maggio di quarantottesca rimembranza» («Il tuono» 1860, p. 130).

- quarantottiano come sostantivo dal 1872: «L’opposizione si divide in due frazioni, cioè la sinistra moderata, ovvero centro sinistra, e la sinistra estrema chiamata dei quarantottiani» («La cronaca» 1872, p. non numerata; notevole in questo passo anche la presenza di centro sinistra, ben precedente alla data di prima attestazione indicata dai dizionari); come aggettivo dal 1883: «In politica è ancora quarantottiano, quindi lirico» (Del Piave 1883, p. 114).

- quarantottino come sostantivo dal 1861: «nel caso che i Quarantottini avessero rimesso su bisca» («Lampione» 1870, p. non numerata); come aggettivo dal 1870: «vedeva di buon occhio quella concentrazione di capi caldi, come uno sfogo che avrebbe salvato il paese da una seconda febbre quarantottina» (Corsi 1870, p. 254).

- quarantottismo dal 1861: Ma in questo momento non è il partito rivoluzionario che domina qui; gl’italianissimi si tacciano, o diventano murattisti, e quel che si chiama in Italia il quarantottismo è una febre che non esiste più» (Monnier 1861, p. 62).

- quarantottista dal 1860: «Odiatissima e ridicola fra tutte le cortigiane istituzioni figurava la commessione del teatro regio: fra gli altri il più odiato che ne facesse parte era un quarantottista convertito» (Mistrali 1860, p. 475).

È retrodatabile rispetto alle indicazioni dei dizionari anche il prefissato prequarantottesco, attestato almeno dal 1906: «E quello del “Cyrano” non è l’effetto della rinascita in noi del romanticismo prequarantottesco» (Pilo 1906 [ma la prima ed. è del 1895], p. 245).

Le locuzioni

Contemporaneamente ai primi usi figurati di quarantotto compaiono anche locuzioni idiomatiche come essere / fare un quarantotto: «Fu un quarantotto! Tutta la popolazione si sollevò in massa, quasi a sommossa» (Cappa 1891, p. 92); «cominciò a brontolare contro Milano, un guscio d’ovo in mezzo alla nebbia, nel quale non si può allungare le gambe o starnutare senza che la gente savia, e specialmente la gente santa non ne faccia un quarantotto!» (Rovetta 1892, p. 90).

Sono molti i verbi che possono essere impiegati per formare questo genere di locuzioni. Ecco un’esemplificazione basata sulla narrativa recente (le citazioni sono prese da e-book, quindi non si possono indicare i numeri delle pagine):

- avvenire: «Lei spaventata finse un improvviso mancamento e si lasciò andare, mentre nel frattempo sua madre, preoccupata per il mancato rientro a casa, era già scesa in strada a cercarla... avvenne un quarantotto» (Zuccaccia 2017).

- combinare: «Il babbo non mi vuole nei dintorni del capannone perché tonto come sono potrei combinare un quarantotto» (Naspini 2018).

- impiantare: «E si impianta un quarantotto per questo?» (Auci 2021).

- piantare: «la ragazza gli aveva piantato un quarantotto […], sfanculandolo con una foga pervasa di amarezza» (Fracchia 2017).

- saltar fuori: «Al “Tu che mi hai dato il cuor” vecchia canzone italiana, Piralli, appena tornato da Buenaventura, rispose con una pernacchia; la fisarmonica dello studente stridette e ne saltò fuori un quarantotto» (Marchi 2017).

- scatenare: «In paìsi intanto si era scatenato un quarantotto: tutti sui balconi o alle finestre a taliàre in cielo. Il torneo di scopone e la corsa coi sacchi furono sospesi» (Camilleri 1998).

- scoppiare: «Accadde poche settimane dopo la partenza di Giovanni per la Germania e fu un incentivo in più, per Nina, per far scoppiare un quarantotto e le cervella di tutti i fascisti» (Clemente 2018).

- succedere (insieme a fare è il verbo più comunemente usato): «“C’avete un bel da ridere, se viene tutta quell’acqua che dicono, succede un quarantotto”. / “Un cinquantuno, a tal dèg me.” L’anno dell'alluvione» (Pasini 2015; da notare come il personaggio che risponde dimostri di conoscere l’origine dell’espressione, trovandola poco adeguata).

- venir fuori: «se iniziano a pensare poi si confondono, vanno avanti e poi indietro, si scontrano tra di loro e viene fuori un quarantotto che distrugge tutto» (Rizzo 2018).

Gadda e il quarantott

Un contributo all’incremento dei derivati di quarantotto viene dalla prosa di Carlo Emilio Gadda. Non è un fatto sorprendente, se si tengono conto da un lato l’inesauribile vena onomaturgica dell’autore, dall’altro la centralità nel suo immaginario del campo semantico del caos (cfr. Roscioni 1995, pp. 76-94). Gli sconvolgimenti (o anche le semplici interruzioni della serena routine) creano senza dubbio sconcerto all’autore che però, per una delle sue tipiche ambivalenze, ne è anche affascinato.

Oltre ad usare nelle sue pagine quarantottardo, quarantottesco e quarantottista (oltre al milanese quarantott), Gadda conia due derivati (pre-quarantottardo e quarantottato) interessanti in sé, e ancor più per i contesti in cui li inserisce.

Il primo (registrato nell’aggiornamento del 2009 del GDLI) si trova in una delle non rare celebrazioni del vaso da notte sparse dall’autore nelle sue pagine. Nella fattispecie, si tratta di una delle mille digressioni messe in atto nel Pasticciaccio: «Riportava l’animo a certa romanesca lautezza e scioltezza del vivere e del fungere, a certo pre-quarantottardo (o pre-quarantanovesco) e alquanto gregoriano “loisir de siéger”» (Gadda 2018, p. 176). Qui il cantaro (come lo chiama in altre occasioni) è curiosamente interpretato come un lascito della placida vita d’altri tempi, prima che i rivolgimenti ne decretassero la fine.

Il secondo si legge nella pagina inziale di Quando il Girolamo ha smesso (in L’Adalgisa). Il racconto si apre con la descrizione delle energiche attività dei lavoratori di una impresa di pulizie, dei quali non si può dire che non mettessero impegno nello svolgere i loro compiti: «Ardeva loro uno zelo muto, il tacito seme del ribaltamento» (Gadda 2012, p. 23). Per poter rendere lucido ogni angolo, gli addetti rimuovevano ogni ostacolo con decisione: «in un battibaleno avevano bell’e che messo a soqquadro tutta casa». Il tumulto provocato da tale lavorio è così descritto: «Cigolanti poltrone carriolavano stridendo a barricar gli anditi e i quarantottati passaggi, o si davano a rincorrere le quattro altre carrùcole della inopinata “ottomana della Teresa”, che però questa qui viaggiava su certe sue rotaie speciali inventate e fabbricate apposta per lei, nel 1847, un anno prima del Quarantotto» (Gadda 2012, p. 24). La vetusta e nobilissima ottomana si ritrova in una situazione assai poco decorosa, imprevedibile per chi l’aveva costruita un anno prima del quarantott; la morale è presto ricavata: nessuna situazione di quiete può aspirare ad essere definitiva, essendo inevitabile che le forze del caos arriveranno a turbarla.

Il quarantotto non è più solo un riferimento storico: diviene una categoria universale.

Riferimenti bibliografici

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Il ciclo Per modo di dire. Un anno di frasi fatte è curato da Alessandro Aresti, Debora de Fazio, Antonio Montinaro, Rocco Luigi Nichil, Rosa Piro, Lucilla Pizzoli. Di seguito, l’elenco degli articoli già pubblicati.

Per iniziare

Lucilla Pizzoli, Colorare i discorsi

Alessandro Aresti, Attaccare (un) bottone

Antonio Montinaro, Rompere il ghiaccio

Citazioni d’autore

Debora de Fazio, Elementare, Watson!

Lucilla Pizzoli, Essere un carneade

Echi danteschi

Pierluigi Ortolano, Stai fresco!

Antonio Montinaro, Galeotto fu il libro

Fiabe e favole

Lucilla Pizzoli, Brutto anatroccolo

Giulio Vaccaro, Avere la coda di paglia

Rocco Luigi Nichil, La volpe e l’uva

Animali

Alessandro Aresti, Menare il can per l’aia

Antonio Montinaro, Salto della quaglia

Colori

Lucilla Pizzoli, Essere al verde

Alessandro Aresti, Avere una fifa blu

Numeri

Immagine: Rivoluzione di marzo 1848 a Berlino, via Wikimedia Commons