Scriveva qualche tempo fa la linguista, lessicologa e lessicografa Valeria Della Valle che oggi, spesso, più i giornalisti che non gli scrittori («la cui vena onomaturgica se non spenta, è sicuramente in calo») promuovono parole nuove, fossero pure, queste parole nuove, degli occasionalismi (sovente scherzosi: dei ludoneologismi, come a loro volta neologizzano due “studentesse di linguistica”), pescati in superficie nel ribollire del minestrone di circostanze contingenti che l'attualità quotidianamente mette sul fuoco. Un esempio di occasionalismo recente è no-Expo, aggettivo e sostantivo, spuntato in margine alle manifestazioni più e meno violente di contestazione dell'Expo milanese. No-Expo, però, non è parola d'autore: è venuta fuori, pronta all'uso, dal magazzino di virtuali tesserine lego che la lingua contemporanea offre quando si vogliano indicare persone o azioni di protesta indirizzate contro un obiettivo preciso; e, subito, senza che un individuabile giornalista fosse riconosciuto come singolo artefice, il no + sostantivo (sul modello di no-Tav e di tanti altri comodi sloganetti precedenti) si è attivato automaticamente nelle prose giornalistiche in forma di no-Expo, una parola, tra l'altro, che potrebbe essere stata coniata a Roma come a Londra, a Madrid come a Berlino o a Parigi. Con ingegno e maggiore originalità – ma sempre ricorrendo a collaudati meccanismi di formazione delle parole, vecchi, seminuovi e nuovi – giornalisti con nome e cognome ben visibili creano neologismi non di rado efficaci, per quanto effimeri: pensabenista (Giovanni Sartori, un politologo che ha imparato a scrivere in modo brillante nei giornali), cacicchismo (Marco Plutino), discussificio (Pierluigi Battista), noncentrismo (con cui Ilvo Diamanti, sociologo dalle grandi doti giornalistiche, satireggia con amarezza l'atteggiamento di chi dice “va tutto male ma io non c'entro niente, mica è colpa mia”), fino a erotidramma, frutto della verve di un'intellettuale moderna, cioè versatile e creativa, come Gaia Manzini, che è scrittrice, soggettista cinematografica (Mia madre di Nanni Moretti), giornalista, pubblicitaria. Forse, dunque, tornando alla constatazione di Della Valle, gli scrittori devono ampliare il proprio orizzonte di esperienze per tornare a essere creatori di parole nuove.
Che cosa c'entra tutto questo con la nona puntata della consueta “caccia alle parole nuove” in cui sono impegnati lettrici e lettori del nostro portale (qui trovate la puntata di apertura, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima e l'ottava)? C'entra almeno perché una delle parole nuove proposte, tanatonauta, è la traduzione italiana di un neologismo d'autore partorito da uno scrittore (francese). E c'entra anche perché nel mazzetto che proponiamo è forte la componente onomaturgica, insomma il timbro autoriale di chi propone la parola. Glottonarcisismo (mi candido anche io...)? Può darsi, ma ricordiamoci che il narcisismo è un principio vitale. Vediamo se qualcosa di buono ne può venire alla lingua degli altri.
A. M. è il primo dei nostri lettori che si fa avanti con una propria neoformazione, comunicazione fasica,una locuzione nominale di sapore tecnicistico che produce a tutta prima disorientamento perché richiama, per somiglianza di suoni, la funzione fàtica della comunicazione, che in linguistica è quella incentrata sul canale di comunicazione. Qui, però, anche se A. M. dice che la comunicazione fasica «utilizza principi di logica per argomentare e spiegare quei processi di ragionamento utili alla risoluzione di questioni ordinarie e complesse facenti parte [dell]a sfera del ragionamento umano», sembra che ci si muova in un àmbito diverso, collocato all'intersezione tra pensiero, linguaggio e logica, sui quali intervenire per migliorare il nostro comportamento. Fasico come aggettivo di relazione tratto dal sostantivo fase è inusitato, nell'accezione che gli assegna A. M., creatore del pensiero fasico (diviso, cioè, in nove fasi differenti), poiché – per tutti noi – fasico è esclusivamente un tecnicismo della lingua medica che vale, in patologia clinica, 'che alterna fasi positive e fasi negative', detto del decorso di una malattia, mentre in anatomia si usa con riferimento all'alternarsi di contrazione e rilassamento muscolari.
La locuzione è da mettere in quarantena, almeno fino a quando non godrà di diffusione e attestazioni scritte tratte da varie autorevoli fonti.
Come il precedente A. M. è il creatore della locuzione da lui stesso segnalata, così M. G. C. sponsorizza un tipico nome da esperto e studioso (grazie al suffisso -logo, di antichissima e grecissima origine), che lo riguarda direttamente. M. G. C. si definisce fantasiologo, ovvero «studioso di storie e caratteristiche della fantasia e dell’immaginazione». Va detto che il nome è bello. E che M. G. C. ha attirato, negli anni, la curiosità e l'interesse della stampa, dal settimanale «Panorama» nel 1987 alla «Repubblica» nel 2012, con numerose e variegate attestazioni in mezzo. Poiché l'attività del fantasiologo mette in campo l'idea del gioco e, in particolare, del gioco linguistico, ci sentiamo di sostenere che il nome e l'attività rappresentano uno spiraglio divertente e intelligente in tempi di loquele e di azioni spesso funeste.
One-man-word ,per dir così, M. G. C. non ha ancora eredi in grado di propagare l'uso del nome, svincolandolo dalla propria persona. Vediamo di dargli una mano.
Tertium , anzi, tertia datur: la signoraP. G., dopo aver illustrato l'attività che svolge «da oltre 15 anni» («sono studiosa e cultrice di antiche immagini devozionali (i cosiddetti "santini")») e chiamato a testimone il blog da lei creato (molto interessante), nota, a proposito del proprio impegno, serio e insieme di nicchia, che «non esiste ancora un termine nella nostra Lingua Italiana che lo identifichi e lo caratterizzi». Da qui la candidatura neologica di «iconofilia e, di conseguenza, iconofilo relativo a e designante il cultore ed il collezionista».
Manca il conforto di attestazioni scritte, ma forse il problema più grosso di questi termini è che l'affascinante carico etimologico greco che vorrebbero caricarsi sulle spalle (eikón 'immagine' e -philía 'amicizia', -phílos 'amico') pesa già, da un paio di secoli, sui già ben consolidati omonimi iconofilia 'nel VII secolo, movimento che raccoglieva chi si opponeva all'iconoclastia' e iconofilo 'che, chi si opponeva all'iconoclastia'. È vero che chi, oggi, ama e studia le antiche immagini devozionali è tutto meno che un iconoclasta (lato sensu), ma forse la collisione omofonica danneggia, più di quanto possa favorire, l'emersione dei termini nelle nuove accezioni.
Sospensione dubbiosa.
Affezionato lettore e critico, F. R. tira giù un breve sapido elenco di proposte neologiche. Dunque, sempre nel campo dell'onomaturgia siamo, ma qui l'invenzione è esclusivamente pro aliorum domo. Riporto di seguito l'elenco, con le glosse dell'autore:
«SANITIERE: soldato di Sanità, attualmente privo di una sua connotazione.
TRILLINO: per sostituire quell’orribile “cellulare” che richiama più il furgone per il trasporto dei detenuti che il telefono portatile.
LETTERISTA: chi invia sistematicamente lettere ai giornali.
MASSINFORMA: i mezzi di comunicazione di massa (giornali, radio, televisioni).
ELETTROPOSTA: per sostituire l’inglese “e-mail”.
CLICCATORE: per sostituire l'inglese "mouse".
REBUSISTA: chi si diletta a risolvere i rebus».
Chi propone conosce bene i meccanismi di formazione delle parole e ha un suo gusto. Non volendo cadere nel trastullo impressionistico e soggettivo del “mi piace”-”non mi piace”, mi limiterò a dire che, là dove le parole da sostituire sono ormai ben salde nell'uso, la proposta alternativa suona come un puro gioco dell'intelletto, ancorché mosso da implicite istanze neopuristiche non deprecabili. Insomma, ormai mouse, e-mail e mass media ce li teniamo, anche se massinforma non è male e cliccatore è ben formato e trasparente. Elettroposta, a mio parere, non funziona a causa del confisso elettro-, che normalmente vale 'elettrico', ed 'elettronico' soltanto in parole composte riferite a generi di musica moderna (elettropop, elettrodance). Insomma, elettroposta sembra pescato in un romanzo di scientifiction, antenata della science fiction dei primi anni del Novecento. Letterista designa già altre attività professionali; forse, varrebbe la pena calcare sull'irrisione con un idiosincrasico letteromane.
Con L. B., infine, torniamo al tema introduttivo di questo articolo, ovvero l'onomaturgia, la creazione d'autore di una parola nuova; in particolare, quando l'autore è uno scrittore. In verità, tanatonauta è ricavato dal titolo di un romanzo di fantascienza francese del 1994, Les Thanatonautes, di Bernard Werber (come ci informa L. B.), che è stato tradotto in varie lingue (The Thanatonauts in inglese, per esempio). I tanatonauti del romanzo, che ha venature fantastiche e sotterranee ambizioni filosofico-religiose, come suggerisce il bell'etimo che rimonta all'antico greco, sono viaggiatori (nauti) della e nella morte (tanato[s]-). Anzi, forse sarebbe meglio definirli viaggiatori tra la vita e la morte, poiché la parola fa riferimento alle presunte esperienze di “ritorno” dalla morte o di breve permanenza oltre la vita, in una condizione indefinibile ma prossima alla morte. Grazie alla sua veste grecizzante e dunque internazionale, la colta parola ha incontrato anche la lingua spagnola: trovo una raccolta di racconti peruviana del 2011 intitolata El Tanatonauta, mentre in un volume del 2011 che riunisce due racconti italiani di fantascienza, Sottomondo. Avvisi ai naviganti, di Claudio Asciuti e Stefano Roffo, si parla di un Giorno del Tanatonauta.
Chi vivrà (e, almeno un poco, morirà?) vedrà.