24 gennaio 2019: esce da Feltrinelli il libro di Giacomo Papi, Il censimento dei radical chic. 11 febbraio 2019: «Il Sole 24 ore» pubblica un’intervista all’autore dal titolo Giacomo Papi: «Salvini è il vero radical chic». 24 marzo 2019: nella versione on line dell’«Avvenire», la rubrica «Parolacce e paroline» di Umberto Folena è dedicata a radical chic. 17 aprile 2019: Michela Murgia risponde su Facebook a un post di Matteo Salvini, che l’aveva accusata di appartenere alla categoria degli «“intellettuali” radical-chic italiani», che «non si smentiscono mai: primi al mondo per spocchia, poi si stupiscono che la gente non li voti più»: il post di Michela Murgia, che confronta la propria biografia con quella del Ministro, raggranella in 6 giorni oltre 140.000 condivisioni.

In tutta la loro essenza

Radical chic è parola usatissima: basta dare un’occhiata, anche per pochissimi giorni, alla pagina di Matteo Salvini su Facebook. Il 15 aprile 2019 l’epiteto di radical chic se l’era beccato l’ex ministro greco Yanis Varoufakis, che aveva dichiarato che il nostro Ministro dell’interno era simile a Hitler e Mussolini («Il fallimentare ex ministro greco mi paragona a ... Hitler! Ma questi chiacchieroni radical-chic seguono un copione?»); il 16 aprile 2019, oltre che contro Michela Murgia, la parola era stata usata in un altro post: «in 60 secondi Rampini, giornalista non certo vicino alla Lega, distrugge buonisti e radical chic in diretta tivù» (mentre il 14 aprile 2019 un suo supporter aveva commentato, a proposito di Nicola Zingaretti, «ci siamo rotti i coglioni dei radical chic falsi buonisti sinistroidi con Rolex al polso ed attico a New York»). Dopo il post di Michela Murgia, Salvini, sapientemente, non ha reagito, ma non ha neppure rinunciato all’uso di radical chic: il 20 aprile, ha commentato, con riferimento a un intervento televisivo di Gad Lerner, «Eccoli i radical chic, in tutta la loro essenza ...» (e anche in questo caso un suo supporter è stato più esplicito, in un commento a un articolo del «Giornale» che riferisce le reazioni di Lerner: «ha detto bene una volta Salvini nell'asserire che i radical chic conoscono gli immigrati solo perché servono loro la colazione a letto in guanti bianchi»).

Tom Wolfe, l'onomaturgo

Insomma, radical chic, neologismo degli anni Settanta, è ancora una parola pimpante, una parola ben viva nella polemica politica, soprattutto in quella leghista e della destra (al pari di buonista, parola recuperata dagli anni Novanta). Il suo significato è, secondo il vocabolario Treccani, «che o chi, per moda o convenienza, professa idee anticonformistiche e tendenze politiche radicali» (ma nella definizione manca un tratto che mi pare fondamentale, e cioè l’agiatezza economica che si accompagna alle idee di sinistra dei radical chic). Più sbrigativamente potremmo glossare con qualche sinonimo, come rivoluzionari da salotto (o, anche, sinistra in cachemire). E i_l nostro Matteo Salvini, fondendo_ le due formule, nel novembre 2018 ha parlato del sindaco di Milano Giuseppe Sala come di un «radical chic da salotto buono milanese».

L’espressione radical-chic _è stata coniata dallo scrittore Tom Wolfe, in un reportage apparso sul «_New York Magazine» nel giugno del 1970 ed è stata subito ripresa in Italia da Alberto Arbasino, nel suo Sessanta posizioni (Milano, Feltrinelli, 1971, p. 84): «ah no, io mi sento molto più radical-chic».

Gli epiteti contro i fatti

«È l’espressione del momento», commenta Helga Marsala in _«_Artibune» _del 24 luglio 2018: «u_sata, abusata, trasformata in invettiva anti casta, ma anche anti istituzioni, anti immigrati, anti sistema, anti pluralismo e multiculturalismo. Persino anti vaccini, in polemica col pensiero scientifico ufficiale, asservito ai complotti di Big Pharma». Certo, perché, come ricorda Umberto Folena, «gli epiteti sono armi eccellenti nel pugno di chi vuole metter fine a un confronto basato su fatti, dati e argomenti. Da quel momento in poi non si parlerà più di immigrazione, disuguaglianza, educazione, clima o altri temi che richiedono studio, sfumature e approfondimenti, che com'è noto stancano e non attirano né like né voti. Da quel momento in poi il presunto radical chic dovrà dimostrare di non esserlo, sarà costretto in difesa e, come il calcio insegna, chi si ritrova stretto negli ultimi venti metri prima o poi il gol lo becca».

Il curriculum di Salvini

Ma vale, anche a proposito di radical chic, il monito evangelico che invita a scagliare la prima pietra solo se si è senza peccato. Gli epiteti, infatti, si possono ritorcere contro il lanciatore. Secondo Giacomo Papi, nell’intervista al «Sole 24 ore» citata all’inizio, «il curriculum di Salvini è quello di un radical chic, è nato nel centro di Milano, suo padre era dirigente d'azienda, ha studiato nel liceo classico della buona borghesia milanese, è diventato comunista, ha frequentato il Leoncavallo, gli piace De Andrè, quindi ha tutte le carte in regola per essere il più radical chic di tutti».

Le parole (o locuzioni) già trattate: menevadismo, contratto di governo, manina, palle, sovranismo, cambiamento, pacchia, mangiatoia, umanità, pigranza, buonista, revenge porn

Immagine: Interno della Camera dei deputati a Palazzo Montecitorio, Roma

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