In una delle interviste rilasciate in agosto dal Papeete Beach di Milano Marittima, Matteo Salvini ha pronunciato una frase che ha avuto una vasta eco per l’uso dell’epiteto zingaraccia: «Ma le pare normale che ci sia una zingara di un campo rom abusivo vicino a Milano, a Baranzate, una zingaraccia che dica: “Salvini dovrebbe avere un proiettile”? Preparati che arriva la ruspa, amica mia. Proiettile..., tu preparati ad accogliere la ruspa, cara la mia zingara, poi vediamo». Zingaraccia a parte, questa dichiarazione ci è utile perché è una delle più recenti testimonianze dell’uso salviniano di ruspa. Si tratta di una di quelle parole che Enrico Letta prima, l’«Espresso» dopo, hanno indicato come simbolo della delegittimazione degli avversari che caratterizza la politica odierna.

La Lega e la ruspa in parlamento

Ruspa, come parola in uso nella politica, viene unanimemente associata alla Lega e al suo leader, a partire dall’intervento di Salvini a «Mattino 5», l’8 aprile 2015: «Cosa farei io al posto di Alfano e Renzi? Con un preavviso di sfratto di sei mesi, visto che non c’è la bacchetta magica e non si fa niente in quarto d’ora, io preannuncio la ruspa e poi spiano, rado al suolo tutti i campi rom». Da quel giorno ruspa è diventata parola chiave della propaganda della Lega, ma ancor prima icona di quella propaganda: pochi giorni dopo una ruspa compare nei comizi in Veneto, in Toscana e poi anche a Pontida, a giugno Salvini indossa una delle sue innumerevoli felpe, che raffigura una ruspa disegnata all’interno di un segnale stradale di pericolo, con la scritta «ruspe in azione»; a novembre sempre Salvini partecipa a «Porta a porta» in giacca e cravatta, ma con una spilla a forma di ruspa, mentre in giugno l’allora capogruppo al Senato, Gian Marco Centinaio, porta in aula un modellino di ruspa.

Prima venne lo stil novo renziano

Sintetizza Alessandro Gilioli in un commento nel giornale on line «Alganews», che già il 12 aprile 2015 poteva intitolarsi Salvini: il ruolo della ruspa: la più recente metafora salviniana «è quella della ruspa, che dopo un debutto poco più che casuale riferito ai Rom sta diventando il trademark del leader leghista: il quale dopo la prima battuta ha ripetuto più volte l’elogio di Caterpillar e affini, facendosi infine fotografare accanto a uno di essi. La ruspa, come macchina distruttrice, è del resto la perfetta metafora di una forza politica che punta a catalizzare la protesta antisistema».

Ma le cose non stanno proprio così. Innanzi tutto, perché l’immagine della ruspa che fa pulizia materiale delle brutture (in questo caso del passato) aveva affascinato anche Renzi: nel suo Stil novo (Rizzoli, Milano, 2012) aveva scritto che «abbiamo bisogno di architetti generosi e visionari, gente innamorata del bello e non del proprio ego, ma avremmo bisogno anche e soprattutto di ruspe. Nel mio piccolo ho ormai un appuntamento fisso con i fiorentini: una volta l’anno, come una sorta di sacrificio laico, salgo sulle ruspe per abbattere qualcosa. (…) Occorre distruggere e rivendicare con forza il benefico, forse salvifico, potere della ruspa».

Le altre forze politiche

Ma poi perché, dopo il 2015, l’immagine della ruspa, come simbolo generale della politica antisistema della Lega, viene diffusa più da commentatori, competitori, avversari che non dalla Lega stessa. Per esempio, nel giugno 2015, l’allora presidente del Consiglio regionale lombardo Raffaele Cattaneo, del Nuovo Centrodestra, ipotizza una sconfitta del centrodestra se non coinvolge anche il suo partito e conclude: «con la politica delle ruspe a Milano non si vince» o il sindaco di Genova, Marco Doria del centrosinistra, afferma che «non è con le ruspe di Salvini che si risolvono i problemi, ma senza dubbio dobbiamo garantire il rispetto della legalità».

Da parte sua Salvini, che nell’aprile 2014 aveva già usato la parola ruspa in un contesto del tutto diverso («Gli investigatori non hanno trovato nemmeno una fionda e sfido chiunque a chiamare carro armato quella ruspa spara-supposte», cioè il trattore agricolo trasformato da alcuni separatisti veneti, arrestati nei giorni precedenti, in un rudimentale carro armato dotato di un cannoncino), a partire dal 2015 usa ruspa quasi esclusivamente in senso proprio, riferendosi ai campi rom o, per estensione, ai centri sociali («La soluzione per certa gente? La ruspa», in riferimento ai manifestanti dei centri sociali che lo avevano contestato a Porto Recanati nell’aprile 2015). Tra le poche eccezioni, vi è il chiarimento che Salvini ha fornito a Pontida il 21 giugno 2015: «Uso la ruspa per spazzare via Renzi, non i rom».

Per il resto, sono più gli appartenenti agli altri gruppi politici ad assumere l’immagine metaforica della ruspa nei loro discorsi, come ha fatto l’allora candidato sindaco per il centrodestra a Roma, Guido Bertolaso, quando, nel febbraio 2016, ha orgogliosamente affermato: «Vado avanti come una ruspa per risolvere i problemi di Roma, non quelli della Lega».

Anche i giornalisti

Anche i giornalisti si mostrano attratti dalla metafora della ruspa: il 7 giugno 2016, Ezio Mauro scrive su «Repubblica»: «Diverso è se si pensa che la fonte battesimale del nuovo potere sia la rottamazione non della vecchia politica ma delle persone e delle loro storie, quasi come se una ruspa domestica (esclusivamente contro i tuoi compagni) potesse diventare il vero emblema della sinistra» (si noti il riferimento alla sinistra e l’avvicinamento di ruspa a rottamazione) e Maria Teresa Meli, sul «Corriere della sera» del 23 giugno 2015, commenta che «Marino però resiste. Ma di fronte a sé ha una ruspa. Di quelle vere. Non di quelle evocate nei comizi di Matteo Salvini. Renzi è determinato, sicuro».

Stupisce l’interpretazione di Maria Teresa Meli. Se è vera la nostra ricostruzione, infatti, è nei discorsi di Salvini che quello di ruspa è un uso concreto, per quanto iperbolico, in quanto allude alla distruzione fisica dei campi rom (e, a volte, dei centri sociali). L’uso metaforico è degli altri. E gli altri sono arrivati prima, a giudicare da questa dichiarazione rilasciata nel dicembre 2014 all’agenzia AdnKronos da Matteo Orfini, allora presidente del PD, designato commissario del partito a Roma: «Ci vorrà la ruspa in certi casi, ma mostreremo la capacità di autorigenerarsi (sic)».

Le parole (o locuzioni) già trattate: menevadismo, contratto di governo, manina, palle, sovranismo, cambiamento, pacchia, mangiatoia, umanità, pigranza, buonista, revenge porn, radical chic, salvo intese, professoroni, rosiconi, gufo, sbruffoncella, rosicare, interlocuzione, rottamazione

Immagine: Interno della Camera dei deputati a Palazzo Montecitorio, Roma

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