05 giugno 2020

Congiunto

Le parole della neopolitica

 

Non si poteva prevedere facilmente che una parola poco usata, concettualmente di non facile definizione, semanticamente vaga come congiunto potesse diventare una parola chiave del dibattito politico e istituzionale degli ultimi mesi. Che lo sia diventato, però, è un fatto sufficientemente comprovato (per esempio dai dati sulla diffusione del hashtag #congiunti).

La parola è stata introdotta in un testo normativo, il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 aprile 2020 (quello che ha dato il via alla cosiddetta fase 2). Nel primo comma del primo articolo, il Decreto dispone che «sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti». Ma è stata usata anche nella conferenza stampa nella quale il Presidente del Consiglio ha illustrato il provvedimento: «soltanto aggiungiamo anche la possibilità di spostamenti mirati per far visita a congiunti».

 

Il congiunto Piersanti

 

Congiunto si presenta come una parola ben inserita nel vocabolario personale di Giuseppe Conte. Era già stata usata dal Presidente del Consiglio in occasione del dibattito sulla fiducia al suo primo governo (quello con la Lega). Nella replica, Conte è incappato in uno dei momenti più infelici della sua oratoria, al di là delle intenzioni, quando ha dichiarato: «una delle cose che più mi ha addolorato nei giorni scorsi è stato l’attacco alla memoria di un congiunto del presidente Mattarella sui social, adesso non ricordo esattamente, e veramente mi è dispiaciuto». Nelle dichiarazioni di voto, il capogruppo del Partito Democratico, Graziano Del Rio, gli ha polemicamente risvegliato la memoria («Signor presidente del Consiglio, si chiamava Piersanti, si chiamava. Piersanti!»). Dal punto di vista lessicale, però, il problema non era costituito tanto dall’amnesia del nome, quanto dalla rimozione del nome più comune per designare il grado di parentela tra Piersanti e Sergio Mattarella (fratello) e dal ricorso all’asettico e burocratico congiunto, che male si addiceva a rappresentare i sentimenti di dispiacere e di addolorata partecipazione che dovevano costituire il nucleo della comunicazione di Conte su questo punto.

 

Semantica vaga

 

In entrambe le occasioni, sia pure per motivi diversi, il Presidente del Consiglio si è rifugiato dietro una parola dalla fisionomia tecnica, ma dalla semantica vaga. Nell’occasione più recente non è stato seguito, almeno nell’immediato, dalla stampa: nei resoconti della conferenza stampa non è stato citato il passo che contiene la parola congiunto, bensì quello che contiene la parola parente: ricordata la necessità di evitare il rischio che il contagio torni a diffondersi, Conte aveva ammonito: «guardate anche nelle relazioni familiari con i parenti bisogna stare attenti perché bisogna rispettare questa precauzione» (quella di stare distanti almeno un metro).

 

Sconcerto

 

La parola ha colpito, però, i cittadini, tanto è vero che nella stessa serata del 26 aprile e nella nottata la ricerca del significato di congiunti su Google ha raggiunto subito un picco e l’indomani la Presidenza del Consiglio ha dovuto diffondere un chiarimento su cosa si dovesse intendere per congiunto (un tweet del Sole 24 ore, nel quale si noti che congiunto appare come hashtag, sintetizza così la spiegazione: «Per #congiunti si intende: coniugi, partner conviventi, partner delle unioni civili, persone legate da stabile legame affettivo, parenti fino al sesto grado (i figli dei cugini tra loro) e affini fino al quarto grado (i cugini del coniuge)»). In poco tempo, la nozione di congiunto (e la vicenda comunicativa legata a questo nome) è diventata oggetto di polemica politica (Elsa Fornero, in un intervento televisivo, il 28 aprile 2020, ha potuto lanciarsi in una critica rapida ma precisa sulla questione: «c'è grande incertezza, questioni come quella dei congiunti lasciano sconcertati»).

Ma congiunto è diventato anche epiteto da lanciare, in forma polemica, nella discussione politica. Il 30 aprile il senatore del M5S Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, ha scritto su Facebook: «quando è intervenuto in aula Matteo Renzi, applaudivano con entusiasmo i senatori della Lega Nord, di Fdi, di Forza Italia. Un caso? Adesso è intervenuto Matteo Salvini. L'altro Matteo è stato oggetto di un apprezzamento neanche tanto velato. Loro sì che sono veri “congiunti”».

 

Parole per prendere tempo

 

Ma perché Conte è caduto in questo che appare come un infortunio comunicativo? La spiegazione è duplice: da una parte Conte è schiavo della sua formazione e indugia troppo in tecnicismi, che possono rendere oscura la comunicazione rivolta a un pubblico vasto; dall’altra, la vaghezza semantica è strumento e sintomo di una condizione generale di questo governo (ma anche del precedente), che anticipa in dichiarazioni pubbliche le linee generali dei suoi provvedimenti, ma poi abbisogna di tempo per codificarle in atti ufficiali o per precisarne la portata. In questo quadro, l’uso di parole vaghe permette al governo di prendere tempo, in attesa di decidere in maniera definitiva il dettaglio dei suoi provvedimenti.

 

 

Le parole (o locuzioni) già trattate: menevadismo, contratto di governo, manina, palle, sovranismo, cambiamento, pacchia, mangiatoia, umanità, pigranza, buonista, revenge porn, radical chic, salvo intese, professoroni, rosiconi, gufo, sbruffoncella, rosicare, interlocuzione, rottamazione, ruspa, vaffa, sardine, Italia viva, Germanicum, spallata, non mollare, pieni poteri, zona protetta, ciuffetto, chiudere, riaprire, riapertura, Decreto Rilancio

 

Immagine: Ritratto di Carlo Emanuele di Savoia con la famiglia - Famiglia Reale Sabauda di Re Carlo Emanuele III

 

Crediti immagine: Giuseppe Duprà / Public domain

 

 

 


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