17 giugno 2020

Stati generali

Le parole della neopolitica

 

Agli inizi di giugno il Presidente Conte annuncia un’iniziativa inattesa: «Avremo gli Stati Generali dell’Economia a Palazzo Chigi con tutte le migliori forze del Paese, ci confronteremo e raccoglieremo, in questo passaggio finale, le idee che ci sembrano più utili, i suggerimenti più efficaci» (è un momento dell’intervento all'apertura dei lavori del digital talk “Italia Riparte. Analisi, prospettive e strategie per l'Italia post Covid-19”, il 4 giugno). L’iniziativa, ma non il nome, era stata lanciata il giorno precedente nella conferenza stampa sulla ripresa della mobilità interregionale ed è giunta a realizzazione a partire dal 13 giugno. Sull’evento si sono addensate le critiche dell’opposizione, che ha deciso di non partecipare a quella che è stata definita una parata autocelebrativa, o una pagliacciata, e i malumori di una parte della maggioranza, che non era stata informata del lancio dell’iniziativa. Questo aspetto, prettamente politico, non può interessarci in questa sede. Ma le critiche hanno riguardato anche il nome dato all’iniziativa.

 

Come Luigi XVI?

 

Ha scritto l’economista Alessandro Penati, su «Repubblica» del 6 giugno: «Ho appreso con una certa apprensione la notizia della solenne convocazione degli Stati generali da parte del primo ministro Conte. I ricordi liceali mi hanno riportato alla memoria gli Stati generali convocati da Luigi XVI nel maggio 1789 per riunire tutte quelle che oggi chiameremmo "parti sociali" ed avere da loro indicazioni su come metter fine alla grave crisi economica e sociale della Francia ed evitare il dissesto delle finanze pubbliche. Suona familiare? Come andò a finire lo sappiamo: la crisi è degenerata in una sanguinosa rivoluzione; tre anni dopo il Re è stato destituito e poi ghigliottinato. E mi sono domandato se Conte (o il suo spin doctor) ignori la storia, se abbia voluto fare un gesto volutamente scaramantico, o se si creda oramai un sovrano capace di riuscire dove Luigi XVI fallì».

La critica è rimbalzata nelle discussioni sui social network. Ma l’argomentazione è fragile: sarebbe come se si obiettasse a chi accusa una persona di essere cattiva di volerla fare prigioniera, perché il captivus che sta alla base del nostro cattivo significava, per l’appunto, ‘prigioniero’. Ma la lingua, e per prima cosa i significati delle parole, cambiano, anche vistosamente, nel tempo. Richiamarsi all’origine, più o meno remota, di un’espressione, per commentarne l’uso odierno, è un’operazione antistorica e spesso fallace.

 

Già dagli anni Sessanta

 

Ormai da qualche decennio, gli stati generali indicano una riunione nella quale i portatori d’interessi rispetto a una certa tematica presentano il loro punto di vista e le loro proposte a chi deve pianificare soluzioni a singoli problemi o in intere aree di azione. Ho trovato le prime tracce dell’uso di stati generali in questo senso già negli anni Sessanta, a proposito delle riunioni dei sindaci delle maggiori città europee: nel 1964, quando questa riunione si è tenuta a Roma («il vice-presidente del Consiglio, onorevole Nenni, e il segretario della democrazia cristiana, onorevole Rumor, sono intervenuti questa sera alla solenne manifestazione conclusiva degli “stati generali” dei Comuni d’Europa, svoltasi sulla piazza del Campidoglio», nel «Corriere della sera» del 18 ottobre 1964): nel 1970 (questa volta gli stati generali dei Comuni d’Europa erano a Londra: «Quattromila sindaci e altri amministratori locali europei parteciperanno a Londra, dal 16 al 18 luglio, alla nona edizione degli “Stati generali” del consiglio dei comuni d’Europa»: «Corriere della sera», 10 luglio 1970); nel 1984, quando hanno avuto luogo a Torino («Un altro importante fatto porrà a Torino al centro dell'attenzione internazionale, si tratta della conferenza degli “Stati generali del Consiglio dei Comuni d'Europa”»: «Stampa Sera», 11 gennaio 1984). Dato l’orizzonte internazionale dell’evento a proposito del quale abbiamo trovato queste prime attestazioni dell’espressione nel significato «moderno», si può supporre che l’estensione semantica, dal tradizionale significato legato al mondo feudale, si sia sviluppata inizialmente in una delle culture degli altri Paesi europei.

Ma, giunti al 1984 dell’ultimo esempio, la formula si era ormai generalizzata e aveva ulteriormente esteso il suo ambito d’uso. Su «Repubblica» si citano ripetutamente stati generali di varia natura: l’11 luglio è la volta di un’iniziativa genovese, promossa da Regione, Provincia e Comune e alla quale hanno partecipato i rispettivi consigli, i parlamentari, i sindacati; il 17 luglio è stata definita stati generali una riunione dei movimenti pacifisti europei, che si è tenuta a Perugia («questa assemblea degli Stati generali del disarmo è un'impresa»). L’espressione girava comunque con facilità sulla stampa, se il 5 settembre la notizia di un convegno sulla figura di Aldo Moro viene data con questo titolo: «Aperti da un polemico Fanfani gli “stati generali” della DC».

 

Obiezioni pretestuose

 

Stati generali è, dunque, un’espressione che ricorre da decenni nell’accezione in cui l’ha usata il Presidente del Consiglio. Non solo: nell’indifferenza di quasi tutti, era ampiamente presente nei giornali alla vigilia dell’annuncio di Conte: in maggio sono stati annunciati gli «Stati generali dello Sport» della Regione Campania, è stata proposta la convocazione degli «Stati generali del sindacato del Mezzogiorno», si è sviluppata la polemica sull’organizzazione degli Stati generali nazionali del Movimento Cinque Stelle; e mi sono imbattuto anche in questa dichiarazione di Ivo Nardella, presidente della società che organizza Saie, la Fiera delle costruzioni a Bologna Fiere: «da sempre Saie rappresenta gli stati generali del settore delle costruzioni».

Insomma, chi accusa Conte di rifarsi a un concetto feudale e monarchico lo fa in modo pretestuoso, in chiave di polemica politica, senza tener conto dell’ampia diffusione dell’espressione proprio nel significato utilizzato dal Presidente del Consiglio; oppure, come spesso accade nelle discussioni che hanno per oggetto la lingua, si fonda esclusivamente su quanto ha appreso a scuola, senza pensare che il sapere linguistico di una persona non può limitarsi a quello che si cristallizza nei ricordi liceali cui ha fatto riferimento Penati.

 

Le parole (o locuzioni) già trattate da Michele A. Cortelazzo: menevadismo, contratto di governo, manina, palle, sovranismo, cambiamento, pacchia, mangiatoia, umanità, pigranza, buonista, revenge porn, radical chic, salvo intese, professoroni, rosiconi, gufo, sbruffoncella, rosicare, interlocuzione, rottamazione, ruspa, vaffa, sardine, Italia viva, Germanicum, spallata, non mollare, pieni poteri, zona protetta, ciuffetto, chiudere, riaprire, riapertura, Decreto Rilancio, congiunto

 

Immagine: Inaugurazione degli Stati Generali, 5 maggio 1789

 

Crediti immagine: Louis-Charles-Auguste Couder / Public domain

 


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