Negazionista è tutt’altro che una parola nuova. Negazionismo, nel senso di ‘forma di revisionismo storico, che nega la veridicità di alcuni fatti, in particolare dell’esistenza dei campi di sterminio tedeschi durante la seconda Guerra mondiale’, è in uso in italiano almeno dal 1991, dopo che il francese négationnisme era stato introdotto dallo storico Henry Rousso nell’opera Le Syndrome de Vichy 1944-198..., uscita nel 1987. Négationnisme ha dato luogo anche all’inglese negationism, al tedesco Negationismus, allo spagnolo e al portoghese negacionismo, al rumeno negaționism e via dicendo.
Dai lager alla pandemia
È però una parola (anzi, una famiglia di parole) che entra a pieno diritto nel novero delle parole della neopolitica, perché è stata frequentemente usata negli ultimi mesi per indicare chi nega l’esistenza della pandemia di Covid-19, o chi giudica infondata almeno parte delle notizie che vengono date in merito o, per estensione, anche chi critica le modalità con cui è stata affrontata l’emergenza (soprattutto per quel che riguarda gli strumenti normativi usati).
Limitandoci agli ultimi mesi, troviamo l’espressione in un tweet di Nicola Zingaretti del 5 settembre («Fermatevi #negazionisti! La manifestazione è un errore. Siete ancora in tempo per annullarla») e in una dichiarazione del giorno successivo del Ministro degli esteri Di Maio: «Io sono contento e fiero del fatto che nel periodo più difficile dal dopoguerra ad oggi abbiamo avuto come primo ministro Giuseppe Conte, non come quelli che bruciano le mascherine, non quella gente che brucia le mascherine e che fa il negazionista, e va dicendo che il virus non esiste». A sua volta, il Presidente del Consiglio Conte, il 1° agosto, aveva rilasciato un’intervista nella quale aveva dichiarato, tra l’altro: «Certi atteggiamenti ‘negazionisti’ si pongono oggettivamente contro l’interesse nazionale e rischiano maldestramente di disintegrare la fiducia degli italiani nell’Europa».
Estensione a numerosi referenti
L’applicazione del concetto di negazionismo al Covid è uno dei tanti ampliamenti semantici che possiamo riscontrare in italiano (e anche in altre lingue): si è parlato di negazionismo a proposito di altri genocidi o campi di sterminio, come il massacro degli armeni («Un’ora passata in questo spazio spoglio e terribile è sufficiente a spazzare via decenni di negazionismo storico da parte dei turchi», «Repubblica», 17 luglio 2003) o i campi di concentrazione sovietici («la sinistra non può macchiarsi di “negazionismo” sminuendo la tragedia del Gulag», «Corriere della sera», 25 novembre 2005), ma anche a proposito di altri fenomeni: la mafia («Viviamo un periodo di negazionismo e revisionismo storico – ha continuato [il magistrato Scarpinato] – con la mafia la tecnica di manipolazione della memoria consiste nel veicolare l’immagine di una Cosa nostra appiattita sull’ala militare, lasciando in ombra i riferimenti alla politica», «Repubblica», 19 febbraio 2005), l’AIDS («il “negazionismo” del legame tra Hiv e Aids non nasce con Mbeki e nemmeno in Sudafrica», «Corriere della sera», 8 marzo 2007), il clima («se non bastassero le battute sessiste di Silvio Berlusconi su Greta Thunberg, oggi in Senato saranno i parlamentari del centrodestra a promuovere ufficialmente il negazionismo climatico», «Manifesto», 18 ottobre 2019), il femminicidio («Cosa dicono, invece, i negazionisti? Offrono una costruzione sillogistica inconsistente», Loredana Lipperini, nel suo blog, 27 maggio 2013).
Alla vigilia del lockdown (il 9 febbraio 2020), poi, Maurizio Gasparri ha detto: «Lo dichiara il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, anche in riferimento allo scandaloso convegno negazionista organizzato al Senato»: il dato cronologico esclude che si riferisse al convegno Covid-19 tra informazione, scienza e diritto, che ha avuto luogo al Senato il 27 luglio 2020 (quello in cui Salvini ha pronunciato queste parole: «E in effetti mi sento come se partecipassi a una riunione di carbonari. Dicono che siete negazionisti, collaborazionisti, controversi. Ma io qui tra voi sto benissimo, come sono stato benissimo a Verona, al forum delle famiglie»). Il convegno al quale si riferiva Gasparri era quello organizzato dall’Anpi con il titolo Il fascismo di confine e il dramma delle foibe; ma le parole di chi si opponeva all’impostazione del convegno di febbraio sono le stesse (a partire proprio da negazionismo) di quanti hanno criticato il convegno di luglio, tenutosi anch’esso al Senato.
L’estensione dei referenti ai quali si possono applicare le parole negazionismo, negazionista, negazionistico, facilmente documentabile nei quasi trent’anni di storia di questa famiglia di parole, ha fatto sì che il Devoto-Oli, nella sua più recente edizione, si sia sentito in dovere di aggiungere al lemma una seconda accezione (‘irragionevole e ostinato rifiuto di accettare come vere scoperte scientifiche assodate’), nata per estensione da quella originaria.
I negazionisti lessicali
Ma esistono anche i negazionisti lessicali, quelli che addossano ai politici di oggi la colpa di riferire negazionista a referenti diversi da quello originale e considerano questo ampliamento semantico, diffuso già da qualche anno, come una sorta di vilipendio delle vittime del genocidio nazista. In risposta al tweet di Zingaretti, per esempio, troviamo numerosi commenti come questo: «I “negazionisti” sono coloro che negano la Shoah. Usare il termine in ambito #COVID è indegno: paragone altamente offensivo verso 6 milioni di vittime del nazismo. #Zingaretti chiedi scusa a queste vittime e ai loro familiari!». Sono commenti che si abbarbicano alla storia iniziale della parola, rappresentata correttamente, ma cancellano del tutto i trent’anni successivi di vita internazionale dell’espressione.
Licia Corbolante, nel suo blog Terminologia etc. attribuisce (con una certa generosità) a chi si oppone all’estensione del significato di negazionismo una ragione di alto spessore: «c’è chi ritiene inopportuni gli usi figurati nati dal processo di determinologizzazione perché rischierebbero di banalizzare il concetto originale usato dagli storici». Su questa obiezione ho un dubbio di fondo: possiamo davvero trattare il lessico intellettuale come se fosse una terminologia? Ma questo interrogativo ci porta fuori dall’ambito di questa rubrica. Qui è stato sufficiente segnalare l’attuale uso politico della parola e accennare alla storia che ha portato a questo uso.
Le 39 parole (o locuzioni) già trattate da Michele A. Cortelazzo: menevadismo, contratto di governo, manina, palle, sovranismo, cambiamento, pacchia, mangiatoia, umanità, pigranza, buonista, revenge porn, radical chic, salvo intese, professoroni, rosiconi, gufo, sbruffoncella, rosicare, interlocuzione, rottamazione, ruspa, vaffa, sardine, Italia viva, Germanicum, spallata, non mollare, pieni poteri, zona protetta, ciuffetto, chiudere, riaprire, riapertura, Decreto Rilancio, congiunto, Stati generali, democrazia negoziale, Paesi frugali, zecca
Immagine: Memoriale dell'olocausto a Berlino
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