14 gennaio 2019

Le parole della neopolitica - Cambiamento

Nel nome che si è dato l’attuale governo (governo del cambiamento) è insito un paradosso: la coalizione vuole proporsi come novità assoluta nella storia dell’Italia repubblicana, ma lo fa riesumando una delle tecniche più vecchie e più tipiche del linguaggio politico di ogni stagione. Parole come cambiamento indicano un processo, ma non ne esplicitano la direzione. Sono parole ben caratterizzate in negativo («noi non siamo come quelli di prima»), ma aperte a mille interpretazioni in positivo. Evidenziano la pars destruens, lasciano nel vago la pars construens. Il giornale on line Linkiesta, il 7 marzo scorso (giusto all’indomani delle elezioni), aveva notato in un suo articolo non firmato che cambiamento «è una parola talmente abusata in politica e nella società civile da essere ormai vuota (…), la discontinuità è un gioco sterile, che promette di rompere senza potersi assumere la responsabilità di ricostruire alcunché».

 

Altre parole vaghe: rinnovamento e svolta

 

In realtà, cambiamento è una parola volutamente vaga, come lo sono rinnovamento o svolta (così glossata, con un tratto di desolazione, da un esperto conoscitore del lessico della Prima Repubblica, Gino Pallotta (nel Dizionario politico e parlamentare, pubblicato a Roma da Newton e Compton nel 1976): «inversione di rotta. S[volta] intesa dalle sinistre come evoluzione. (…) Varie svolte, con diversa denominazione, nella storia politica». E in una mia vecchia scheda, ho ritrovato uno slogan della campagna elettorale del 1972 del Movimento Politico dei Lavoratori (una compagine nata come prosecuzione politica di sinistra delle ACLI, Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani): «Cambiare le fabbriche, cambiare le città». Anche in questo caso: certo, cambiamole, le fabbriche e le città, ma come? La politica che, allora come oggi, voleva tenersi aperte tutte le possibilità, anche quelle del compromesso o del voltagabbanismo, non lo diceva.

Ma da queste testimonianze nasce un’altra osservazione: nella Prima Repubblica cambiamento, svolta, rinnovamento ricorrevano soprattutto nei discorsi della sinistra. Nell’attuale fase politica cambiamento è parola chiave della coalizione ora al governo, quella che unisce uno dei partiti della destra, la Lega, con un partito dai contorni variegati e indecifrabili con i vecchi strumenti di analisi, il Movimento Cinque Stelle.

 

Cambiamenti d’area politica

 

Esponenti della sinistra hanno tentato recentemente di riappropriarsi della parola: nel titolo di un articolo di cronaca politica del 30 ottobre 2018 leggiamo che «La sinistra deve ripartire da una parola: cambiamento. D'accordo Visco, Errani e Misiani». Tommaso Nannicini, che è stato consigliere economico e sottosegretario nel governo Renzi, intitola un articolo, pubblicato sul sito Libertàeguale, Orgoglio e cambiamento: il Pd deve andare oltre (e nel testo ci sono molte occorrenze di cambiamento e di parole della stessa famiglia lessicale). Ma per ora cambiamento è saldamente nelle mani dell’attuale governo.

Si è realizzato, anche in questo caso, quello che Vittorio Coletti aveva notato, ancora nel 2013, nel sito dell’Accademia della Crusca: «Certe parole come “nuovo” hanno semplicemente cambiato area politica e dopo essere state per decenni sventolate dalla sinistra (il mito del “cambiamento”, delle “riforme”) sono passate (o tornate, è forse il caso di dire pensando alla storia politica del secolo scorso quando l'innovazione linguistica era stata massima nel futurismo guerrafondaio) a destra».

Ma resta la questione di fondo: cambiamento è una parola molto vaga, troppo aperta a interpretazioni, e a concretizzazioni, imprevedibili. Anche Dino Amenduni, in un periodo precedente alle ultime elezioni, aveva commentato in questo sito l’uso della parola cambiamento in politica: «è una delle parole più utilizzate durante le campagne elettorali. È il punto di partenza di chi è all’opposizione e in alcuni casi il punto di arrivo di chi governa (bene). È l’ambizione annunciata di tutti i politici e il desiderio spesso insoddisfatto di quasi tutti gli elettori. Scalda i cuori, e in alcuni casi li terrorizza. (…) Facile da capire per i cittadini, e dunque facilissima da usare per i politici».

Parole decisamente da condividere, anche a proposito dell’attuale denominazione governo del cambiamento. Ed è da condividere anche il titolo che è stato attribuito all’intervento di Amenduni: Cambiamento: una parola da cambiare?

 

Le parole (o locuzioni) già trattate: menevadismo, contratto di governo, manina, palle, sovranismo

 

Immagine: Interno della Camera dei deputati a Palazzo Montecitorio, Roma

 

Crediti immagine: https://www.flickr.com/photos/mauriziolupi/ [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)]

 

 

 

 


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