Una parola ricorrente, anche se sfortunata, nelle discussioni sull’elezione del Presidente della Repubblica (conclusasi con la conferma di Sergio Mattarella), è stata donna. Una delle prime dichiarazioni con la proposta di pensare a una candidata è stata quella di Romano Prodi, che ancora agli inizi di giugno (precisamente il 2 giugno 2021) aveva dichiarato a Sky TG24: «può essere anche il caso che arrivi una donna, perché non c'è mai stato un presidente della Repubblica donna e penso possa essere una bella prospettiva». L’aveva poi scritto Massimo D’Alema in un suo editoriale di «Italianieuropei» (del dicembre 2021): «sarebbe una scelta importante se dopo settant’anni di storia repubblicana il parlamento si mettesse in grado di elegge­re una donna al ruolo più alto di garante della democrazia». Nei primissimi giorni del 2022 la richiesta di eleggere una donna era stata rilanciata in un appello firmato da numerose donne (tra queste, Dacia Maraini, Edith Bruck, Melania Mazzucco, Liliana Cavani, Fiorella Mannoia, Luciana Littizzetto, Serena Dandini): «L'elezione di una donna alla Presidenza della Repubblica sarà la nostra, e la vostra, forza». Ma quando dal generico una donna si è passati a nomi e cognomi di possibili candidate, l’intento di pensare a candidature femminili si è sciolto come neve al sole, con la sonora sconfitta in aula di Maria Elisabetta Alberti Casellati e il precoce tramonto della candidatura di Elisabetta Belloni.

«Non in quanto donna»

Nei giorni delle votazioni, non sempre gli esponenti politici sono stati così espliciti e, per ragioni di variazione o per ossequio a quella abitudine al parlare obliquo che è tuttora frequente nel linguaggio politico, hanno fatto ricorso a perifrasi come candidature femminili di assoluto valore, candidature con autorevoli personalità anche femminili (entrambi in citazioni attribuite ad esponenti del Partito Democratico) o le eccellenze femminili («solide e super partes») di Conte.

Qualche volta il generico una donna è stato accompagnato da specificazioni,  da quella polemica di Alessandro Sallusti che ha ritradotto a suo modo l’appello delle donne citate poco fa («non vogliono una donna, ma una donna di sinistra»), a quella ovvia di Salvini nella giornata del 28 gennaio, cruciale per il tentativo di proporre una Presidente della Repubblica («Sto lavorando perché ci sia un presidente donna, una donna in gamba, non un presidente donna in quanto donna, un presidente donna in gamba»: trovo improbabile che un politico potesse dichiarare di proporre una candidata, o anche un candidato, incapace). È la stessa impostazione di Giuseppe Conte, che però la realizza con maggiore complessità: «Ma io spero che ci sia la sensibilità da parte di tutto il parlamento per la possibilità di una presidente donna (…) ma non la donna come omaggio al genere femminile. Abbiamo delle figure assolutamente che corrispondono a quell’alto profilo, autorevolezza, quella natura super partes e offrono quelle garanzie di poter rappresentare tutti i cittadini» (e si noti la differenza tra un presidente donna di Salvini e una presidente donna di Conte, il quale, tuttavia, talvolta usa anche l’altra forma).

Insomma, spesso i leader hanno ribadito l’auspicio di eleggere una donna, ma hanno sentito il bisogno di precisare «non in quanto donna». Più elaborato il ragionamento di Pierfranco Pellizzetti, su «Micromega» del 5 gennaio 2022, che interpreta in questo modo l’atteggiamento dei politici (e presenta anche l’occasionalismo polemico uoma): «Dunque, un presidente donna in quanto donna non in quanto portatrice di felici discontinuità. I nomi che sinora sono saltati fuori: una pletora di “uome”; politicanti di lungo corso ormai irrimediabilmente maschilizzate».

Ventiquattro anni fa

L’auspicio di avere una Presidente della Repubblica non è tuttavia una novità assoluta nelle elezioni presidenziali. Già nel 2013, ad esempio, Mario Monti aveva dichiarato: «Un capo dello stato donna? Sarebbe un’ottima idea» (ma alla fine ha appoggiato Napolitano). Ancor prima, nel 1998, Giuliano Amato aveva sottolineato durante il Forum Ambrosetti a Cernobbio l’opportunità di pensare a una candidata per la Presidenza della Repubblica: «è tempo di fare qualcosa per incidere concretamente su un cambio di cultura del Paese. Per esempio: fare un presidente della Repubblica donna». Ne dà notizia «Repubblica» del 7 settembre 1998. Amato ritorna sull’argomento il 2 novembre di quell’anno, in un’intervista sempre a «Repubblica», nella quale deve precisare: «se ho proposto una donna al Quirinale, non è perché penso che possa risolvere i problemi delle altre donne, cosa impossibile visto che un presidente non ha i poteri per farlo. Ma perché un presidente ha l'autorevolezza di definire le agende politiche e questa è una cosa cruciale. Il capo dello Stato può rivolgersi ai sindacati, al Parlamento, alle parti sociali e ai consigli regionali, e dire che cosa andrebbe fatto». In una precisazione che può richiamare una delle osservazioni fatte sopra, Amato apostrofa i maschi che, a suo parere, dovrebbero appoggiare questa idea: «e non mi si venga a dire: se è capace ovviamente sì» (che è esattamente l’atteggiamento di chi, quest’anno, ha sentito il bisogno di precisare che le donne che si è tentato di candidare erano «in gamba» o «solide»).

Ma poi è così strano pensare a una donna alla Presidenza della Repubblica? L’esito delle discussioni e delle trattative di quest’anno fanno credere che si tratti di una prospettiva che suona ancora come esotica. Vale allora ancora la battuta che Amato, 24 anni fa, ha dovuto proporre, per difendere la legittimità della sua idea: «Si scrive che faccio delle provocazioni. Neanche avessi proposto un coleottero al Quirinale!».

Le 68 parole (o locuzioni) già trattate da Michele A. Cortelazzo:

Crediti immagine: Edward Hopper, Public domain, attraverso Wikimedia Commons