28 gennaio 2019

Le parole della neopolitica - Pacchia

«Sono stanco degli impuniti che possono fare quello che vogliono. Una delle priorità del nostro governo sarà di fare in modo che per gli immigrati clandestini in questo paese si spendano meno soldi e tempo. I regolari e gli onesti non hanno niente da temere, mentre per i clandestini è finita la pacchia: preparatevi a fare le valige». Con questo intervento, tenuto a Vicenza il 3 giugno del 2018 durante un incontro elettorale, il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha lanciato quello che è diventato presto un vero e proprio tormentone della sua propaganda: la pacchia è finita. Subito dopo, il 5 giugno, il ministro dell’Interno ha rilanciato l’espressione in una dichiarazione rilasciata nelle stanze austere del Senato: «Confermo che è strafinita la pacchia per chi ha mangiato per anni alle spalle del prossimo: ci sono 170mila presunti profughi che stanno in albergo a guardare la tv». Da allora Salvini usa ricorrentemente la locuzione (un esempio recente: «Col Pd caos e clandestini, con la Lega ordine e rispetto. Certi sindaci rimpiangono i bei tempi andati sull’immigrazione, ma anche per loro è finita la pacchia!», in un tweet del 3 gennaio 2019).

 

Nel folklore verbale

 

L’espressione è così entrata a far parte del più recente folklore verbale della politica italiana. È diventata, cioè, una specie di motto proverbiale al quale si ricorre con continuità, facendo ricadere episodi diversi nella stessa cornice interpretativa. La voce è usata dai giornali, e capita che qualche volta lo facciano per riferire prese di posizioni di Salvini anche quando il ministro non ha usato il suo tormentone (anche qui un esempio recente: «Salvini in Abruzzo, Finita la pacchia per gli spacciatori», in un titolo del «Tempo» del 6 gennaio 2019, che corrisponde nel contenuto, ma non nella forma letterale, all’affermazione pronunciata da Salvini).

Il vorticoso successo dell’espressione è ben documentato dalla sua ricorrenza nei discorsi pubblici. Certamente, l’uso di pacchia nei discorsi politici non nasce con Salvini, ma è comunque piuttosto recente. Nei discorsi ufficiali tenuti al Senato, la prima occorrenza risale al 2007, in un discorso di un altro leghista, l’ex ministro Roberto Castelli. Nella legislatura successiva pacchia echeggia due volte nell’aula del Senato, per bocca di due senatori dell’Italia dei Valori (Elio Lannutti e Francesco Pardi; il primo usa proprio l’espressione finire la pacchia); nella legislatura terminata nel 2018 pacchia ricorre una sola volta, per bocca del senatore Carlo Giovanardi. Ben diversa la situazione della legislatura appena iniziata: in pochi mesi pacchia, spesso proprio nella sequenza la pacchia è finita, ha raggiunto le venti occorrenze: quattro di queste sono dovute ai senatori leghisti Nadia Pizzol e William De Vecchis e ai senatori del Movimento Cinque Stelle Stefano Patuanelli e Stefano Lucidi. Ma tutte le altre volte sono i senatori dell’opposizione a inserire la parola nei loro discorsi, citando, in chiave polemica quando non sarcastica, il ministro dell’Interno.

 

È indubbio, quindi, che si tratti di un altro successo comunicativo di Matteo Salvini, che ha costretto i suoi oppositori a giocare, sia pure per combatterlo, nel suo campo di gioco linguistico.

Ma la scelta dell’espressione da parte di Salvini ha anche un risvolto, probabilmente involontario ma interessante, relativo alla provenienza geografica. Nel ricostruire l’etimologia di pacchia,  Francesca Riga, in questo portale, ha individuato correttamente la base nel verbo pacchiare ‘mangiar con ingordigia’, di origine tuttora non chiara, ma probabilmente onomatopeica; il verbo ha corrispondenti nei dialetti settentrionali (veneto paciar ‘muovere le mascelle’, milanese pacià e piemontese pacè ‘mangiare abbondantemente e con avidità’). Però, come chiarisce il DELI, «secondo Panz. Diz. 1931 e L. Renzi, LN XXVIII, 1967, 30, nel sign. di ‘vita comoda’ la voce è giunta in italiano dal romanesco (e infatti il Belli la usa in romanesco già nel 1829: sonetto n. 11)». Il sonetto, in realtà, è il 51 ed è datato 8 gennaio 1832: «schiatt’e ccrepo, e sbuggero, e mme sbraccio / Pe mmantené la pacchia ar zor Mattia!» (altre attestazioni nei sonetti 154 e 498), ma insomma l’uso traslato di pacchia ha una decisa connotazione romanesca. Anche dal punto di vista dell’origine, pacchia è dunque forma altamente indicativa dell’attuale orizzonte politico di Salvini, che ha trasformato la Lega Nord in Lega, facendo diventare partito nazionale quello che era nato come partito territoriale che rivendicava l’autonomia, se non addirittura l’indipendenza, dell’Italia settentrionale.

 

Le parole (o locuzioni) già trattate: menevadismo, contratto di governo, manina, palle, sovranismo, cambiamento

 

Immagine: Interno della Camera dei deputati a Palazzo Montecitorio, Roma

 

Crediti immagine: https://www.flickr.com/photos/mauriziolupi/ [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)]


© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata