La fortuna dei nomi di origine mitica negli usi antonomastici si spiega facilmente considerando il loro originale valore archetipico; si pensi, ad esempio, a una persona dall’aspetto talmente gradevole da essere paragonata a un adone o a una venere, o a un uomo talmente severo e intrattabile da ricordare un cerbero, o ancora a una persona che per l’abitudine a formulare previsioni catastrofiche viene definita una cassandra.
Il nome di Circe si presta a essere interpretato in molti modi, ma non sempre è chiaro il riferimento per il quale quest’ambiguo personaggio viene richiamato, a causa della stratificazione simbolica della sua figura, oggetto di innumerevoli rielaborazioni letterarie.
In tempi recentissimi, tale ambiguità è arrivata addirittura a essere discussa in tribunale, a partire dall’accusa di diffamazione rivolta al sindaco di un paese in provincia di Lecce da parte di una funzionaria dell’ufficio tecnico, che il primo cittadino aveva definito pubblicamente “Maga Circe”. In realtà, la condanna per diffamazione, inflitta in primo e secondo grado (LecceNews24.it, 8 aprile 2021), è stata annullata dalla Corte di Cassazione: a buona ragione, il giudice incaricato all’indagine ha scavalcato la lettura lessicografica e ha considerato, nella valutazione del personaggio, le diverse versioni del mito nella letteratura moderna e contemporanea, comprese quelle più recenti e in linea con le nuove sensibilità culturali, arrivando «ad escludere che definire una donna Circe, tout court, possa far scattare il reato di diffamazione» (P. Maciocchi, Paragonare una donna a Circe non è reato, IlSole24Ore.com, 10 marzo 2023).
Circe viene al mondo letterario a noi noto con l’Odissea, un “palinsesto” (si usa la terminologia di Genette [1982: 222-223]), ovvero un testo-matrice il cui ventaglio di trame, temi e personaggi costituisce, insieme a quelli dell’Iliade e della Bibbia, le basi della letteratura occidentale. Ai nobili natali omerici si somma il fascino di una figura che, rappresentando la divina incarnazione dello spirito femminile dominante e indipendente, ha ispirato artisti e scrittori d’ogni epoca e, allo stesso tempo, è stata caricata fin dall’origine di contenuti dottrinali e interpretata e reinterpretata allegoricamente con il fine di veicolare messaggi filosofici, morali, religiosi.
Circe dai riccioli belli: le origini del mito
Ricordando i fatti più noti della narrazione omerica, sappiamo che Circe trasforma in porci i compagni di Ulisse, sbarcati sull’isola di Eea e giunti presso la sua dimora. Ulisse, avvertito da Euriloco, beneficia dell’intervento divino del dio Hermes, che gli fornisce il moli, un’erba che funge da antidoto contro gli incantesimi della dea, la quale, come previsto da Hermes, alle minacce di Ulisse si getta ai suoi piedi e, abbracciandogli le ginocchia nel rituale gesto della supplica, lo invita a riporre la sua spada e suggellare la loro reciproca fiducia «uniti nel letto e in amore» (Od. X, 332-335).
A questo punto Circe diviene un’amante affettuosa e piena di premure (cfr. Bettini-Franco 2010, 27 ss. e 47 ss.), che offre ospitalità e ristoro a Ulisse e ai suoi compagni per un anno intero, finché questi, stanchi della lunga vacanza, non chiederanno di tornare a casa.
Ulisse supplica così la dea di lasciarli ripartire e Circe acconsente senza indugi, indicandogli la strada più sicura da seguire e fornendogli preziosi consigli su come affrontare le sfide che lo attendono prima del suo ritorno a Itaca.
La figura dipinta nell’Odissea è quella di un’entità molto complessa, terribile e benigna, ambivalenza tipica delle divinità arcaiche. È descritta come dea (theà) e Signora (pótnia), esperta nell’arte di comporre filtri e pozioni magiche (phármaka) attraverso l’uso di specifiche erbe, arte che le farà guadagnare l’appellativo di maga nelle successive reinterpretazioni (il termine greco mágos proviene dall’universo religioso dei Persiani, in cui il mágos è uno specialista della religione; secondo Erodoto i mágoi si occupano dei sacrifici, dei riti funebri, della divinazione, e dell’interpretazione dei sogni [Graf 2009: 21]).
Nonostante l’ambiguità e la complessità della sua figura originaria, le caratteristiche di cui il nome comincerà a farsi portatore all’inizio dell’età moderna corrisponderanno alle etichette meno lusinghevoli affibbiatele dalla storia letteraria.
Le «nuove» e «moderne» Circi
I dizionari storici e dell’uso concordano nell’indicare per circe il significato di ‘allettatrice, lusingatrice, seduttrice’ come il solo a essersi attestato in senso antonomastico.
Il Grande Dizionario della Lingua Italiana ci fornisce due attestazioni settecentesche: la prima, che compare nel Supplemento del 2009, è tratta da Il Cicerone di Gian Carlo Passeroni: «Bene spesso s’imbarcano [i mariti] con certe / nuove Circi da cui son convertiti / in nuovi mostri; ma lasciam gli Ulissi /e le Circi, di cui già troppo scrissi» (1744, GDLI Supp. 2009, s. v. Circe); la seconda è di Monti, che paragona il fiume Senna, che «gli amatori adesca», a una «novella Circe» (1793, GDLI, s. v. Circe).
A ben vedere, il primo uso del nome al plurale – a voler richiamare, quindi, una categoria – appare nella Scienza nuova di Vico: «A’ tempi della guerra troiana qui truova Ulisse a’ lidi del mare le Circi che co’ piaceri de’ sensi cangiano gli uomini in porci» (Vico 1725: 148).
È difficile risalire al momento in cui Circe assume esplicitamente valenze di nome comune, ma, affidandoci alla presenza di elementi e caratteristiche linguistiche che ne garantiscano l’indeterminatezza (articoli indeterminativi e aggettivi indefiniti, uso del plurale), possiamo far risalire i primi usi antonomastici almeno al XVI secolo.
La prima attestazione individuata si trova in un volgarizzamento a opera di Pietro Lauro Modonese (1545) dei Colloquia familiares (1522) di Erasmo da Rotterdam, in cui l’articolo indeterminativo traduce l’indefinito quampiam del testo latino di provenienza («An Circen quampiam ex me facies?»):
P. […] Et se gli pare poco d’uccidermi, accuserolla anchora come incantatrice.
M. Non piaccia a Dio. Credi tu forse che io sia una Circe?
P. Anzi più crudele, perché vorrei più tosto essere orso o porco, che così senza vita.
M. Con quali incantesimi uccido io gli huomini?
P. Col guardare.
I referenti che il nome richiama sono svelati esplicitamente dal testo: «crudele», «incantatrice» e assassina «di huomini».
«Clarissima meretrix» e femme fatale
Ne Il cane di Diogene di Francesco Fulvio Frugoni (1687: 49), Circe è chiamata a personificare la concupiscenza («la concupiscenza [è] una Circe […] una Circe che porge la tazza della brutalità gioiellata»), e ancora «la corte», che è «una Circe che... fa tante metemsicosi ne i cortigiani quante sono le passioni che in essi prevagliono» (GDLI, s. v. metempsicosi).
Verso la fine del XIX secolo la rappresentazione più diffusa è quella di una Circe-prostituta. Il dipinto di Félicien Rops (1878), dal titolo Pornokrates, raffigurante la dea bendata e seminuda, guidata da un maiale che tiene al guinzaglio, sintetizza perfettamente il legame tra sessualità e imbrutimento. L’etichetta della prostituta attribuita a Circe, del resto, non è certamente moderna, tanto che le sue origini possono essere rintracciate in Servio, filologo latino che visse fra il sec. IV e il sec. V e fu autore del più antico e letto commento dell’Eneide, dove Circe viene definita «clarissima meretrix» (Serv., Aen. 7, 19).
Sempre più spesso, all’immagine della meretrice si accosta quella dell’omicida, della femme fatale pericolosamente in grado di sovvertire la gerarchia dei generi, una «Circe omicida (…) che inganna con voce soave» come quella descritta da D’Annunzio all’inizio del XX secolo (Laus Vitae XVII, 1039-41): la sua figura feroce e attraente si oppone a quella superomistica di un Ulisse che le resiste e la smaschera. Lo smascheramento e la disillusione sono ancora le finalità per cui James Joyce, nell’Ulysses (1922), si serve del nome di Circe (che dà il titolo al lungo, omonimo capitolo): «le prostitute non sono in salute, ma zoppicano, maleodorano, sono trascurate» (Ferrario 2007: 342).
Dalla letteratura alla cronaca: le cattivissime Circi dal mondo
Realmente pericolose (fattualmente parlando) sono alcune Circi che hanno popolato la cronaca. E non mancano episodi di cronaca nera.
Nel titolo di un trafiletto del Corriere della Sera del 12 maggio 1908 (p. 2) incontriamo «[l]a Circe Americana», Belle Gunness, una famigerata serial killer di origini norvegesi attiva tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo: è lei probabilmente la prima di una lunga serie di Circi che hanno popolato la cronaca del Novecento. Il nome, in testa al sintagma, assume diverse di determinazioni che si realizzano tramite attributo o complemento di specificazione.
Tali determinazioni riguardano spesso la provenienza.
Il caso più famoso è quello della «Circe della Versilia» (o anche Circe della Versilia, Circe di Forte dei Marmi, Circe di Viareggio, Circe versiliese; de Fazio 2014: 155), la cinquantenne Maria Luigia Redoli, che, con lo scopo di impadronirsi dell’eredità del facoltoso marito, si fece mandante del suo assassinio, eseguito dal suo giovane amante la notte tra il 16 e il 17 luglio 1989. La vicenda ebbe una risonanza mediatica straordinaria, motivata dall’interessante intreccio narrativo e dalle caratterizzazioni dei personaggi della vicenda: il defunto viene dipinto come uno strozzino, l’amante come il burattino di lei, Circe, una diabolica calcolatrice, capace di accusare la propria stessa figlia pur di scagionarsi, e, per altro, dedita alla magia nera! Per molto tempo i giornali seguiranno il caso della Circe della Versilia, tanto famosa da diventare semplicemente La Circe («La Circe sta male»; CdS, 25 settembre 1991, p. 12).
Abbiamo poi «la circe napoletana e circe targata Napoli»; «la circe di Capriolo»; «la Circe di Lecco; «la Circe di Gassino», «la Circe oltre padana»; «la Circe di via Palmanova» (attestazioni tratte da de Fazio [2015: 155], in cui si segnala anche una «circe di Arcore», in riferimento a Nicole Minetti [n. 29]).
In altri casi, la specificazione è relativa al settore in cui Circe opera, come nel caso della «Circe dei falsari», Jeanette von Polanskj «la bellissima “vamp” che amava spacciarsi sotto quindici nomi diversi» (CdS, 30 dicembre del 1965, p. 8), o «la maga Circe della droga» che «serve cocktails a 200 mila lire l’uno» (Corriere Milanese, [CdS],10 gennaio 1967, p. 8).
Circe? Circissima! Dalle pagine agli schermi
Nel Novecento Circe approda anche sul grande schermo: dopo il film muto L’Odissea (1911) di Francesco Bertolini e Adolfo Padoan, il poema omerico conosce una straordinaria fortuna internazionale con l’omonimo film, del 1954, per la regia di Mario Camerini, in cui l’affascinante Silvana Mangano interpreta sia il ruolo di Circe sia quello di Penelope.
Da un lato spinta dalle trasposizioni dei poemi omerici (di grande successo sarà anche lo sceneggiato Rai del 1968, diretto di Franco Rossi), dall’altro come rappresentante della sorridente e fresca “pericolosità” della bellezza femminile celebrata dalla Commedia all’italiana, Circe continua ad avere un ruolo da protagonista nell’immaginario culturale italiano, e il suo nome continua a richiamare, per antonomasia, l’idea di pericolo.
In Pane, amore e… (1955) di Dino Risi, don Matteo cerca di sorvegliare la condotta morale del fratello, il cavaliere Antonio Carotenuto (interpretato da Vittorio de Sica), ragguagliandolo sull’insidiosa e «smargiassa» avvenente vedova pescivendola Donna Sofia (Sophia Loren), inquilina della casa di proprietà di Carotenuto: «chissà in che stato l’avrà ridotta quella Circe!». Incuriosito, Carotenuto chiede: «ma, dimmi un po’, è veramente una circe?»; «circissima», confermerà l’uomo di Dio, procedendo con l’avvertimento: «Toni’, farai bene a starne alla larga, eh». Ovviamente, le attenzioni di Carotenuto sono tutte per la circissima, con cui avrà un’avventura passionale senza lieto fine, prima di fidanzarsi con la bigotta facoltosa Donna Violante*.
Un’icona femminista? Dalla parte delle donne
Judith Yarnall, in Transformations of Circe: The History of an Enchantress (1994), sostiene che il mito omerico affronti il passaggio, avvenuto in un qualche momento nella preistoria del Mediterraneo e dell’Egeo, dal culto della Dea Madre al sistema del pantheon greco e da un’organizzazione sociale di tipo matriarcale a una di tipo patriarcale. Tale tesi, seppure difficilmente verificabile, risulta molto suggestiva; occorre tuttavia ricordare che il rapporto tra le due parti era asimmetrico in partenza: Circe è una dea e solo in quanto tale può avere un rapporto paritario con Ulisse, uomo mortale.
Il mito di Circe è stato reinterpretato per secoli e millenni da una prospettiva maschile, sia dal punto di vista della narrazione sia da quello autoriale. Fu Augusta Webster, poetessa, studiosa e traduttrice di classici, a restituire per la prima volta a Circe un ruolo soggettivo. La Circe di Webster è una donna bella, intelligente, indipendente, e il cui isolamento è frutto della sua superiorità intellettuale (Berti 2015: 137). Nella seconda metà del Novecento viene ritrovata nella sua figura una nuova dimensione introspettiva con Circe/Mud, sezione della raccolta poetica You are happy del 1974, di Margaret Atwood, che rappresenta «uno dei capitoli più rilevanti nella storia recente della ricezione del mito» (Franco 2012: 46). Il romanzo bestseller Circe, pubblicato nel 2018, ha invece delineato una figura profondamente umanizzata della dea.
Queste nuove letture si mostrano perfettamente in linea con quello che può ormai dirsi un movimento culturale e letterario in continua crescita, di carattere femminista, che punta a ridisegnare una retrospettiva di genere della storia e della letteratura, attraverso opere di riappropriazione dei modelli culturali relativi al mondo femminile e al potere matriarcale, di cui la figura di Circe può dirsi paladina, incarnando lo spirito femminile della donna indipendente e libera (anche di essere ambigua).
* Ringrazio Debora de Fazio per la segnalazione di “Circissima” nel film di Dino Risi.
Riferimenti bibliografici
Atwood 1974 = Margaret Atwood, You are happy, New York, Harper and Row, 1974.
Berti 2015 = Irene Berti, Le metamorfosi di Circe: dea, maga e femme fatale, in «Status Quaestionis» 8, 2015.
CdS = Archivio del Corriere della Sera, all’indirizzo <https://archivio.corriere.it/Archivio/interface/landing.html>.
Bettini-Franco 2010 = Maurizio Bettini, Cristiana Franco, Il mito di Circe, Torino, Einaudi, 2010.
de Fazio 2015 = Debora de Fazio, Maria Luigia Redoli, in Debora de Fazio, Emanuela Pece, Delitti di genere: donne assassine nella cronaca italiana. Una lettura sociologica e linguistica dei casi Guerinoni e Redoli, 2015, pp.155-162.
Erasmo da Rotterdam, Colloquii famigliari di Erasmo Roterodamo ad ogni qualita di parlare [...] Tradotti di latino in italiano, per M. Pietro Lauro Modonese, Vicenzo Vaugris, Venezia, 1545.
Ferrario 2007 = Paolo Ferrario, Il corpo come materia di riflessione: l’episodio di Circe nell’ Ulysses di Joyce, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano» 60(2), 2007, pp. 339-352.
Franco 2012 = Cristina Franco, Circe. Variazioni sul mito, Venezia, Marsilio, 2012.
Frugoni 1687 = Francesco Fulvio Frugoni, Il cane di Diogene, Venezia, Antonio Bosio, vol. V, 1687.
GDLI = Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, diretto da Giorgio Bàrberi Squarotti, 21 vol., Torino, UTET, 1961-2003 [Supp. 2009 = Supplemento del 2009].
Genette 1982 = Gérarde Genette, Palimpsestes : La littérature au second degré, Paris, Seuil, 1982.
Graf 2009 = Fritz Graf, La magia nel mondo antico, Bari, Laterza, 2009.
Joyce 1922 = James Joyse, Ulysses, Paris, Sylvia Beach at Shakespeare and Company, 1922.
Miller 2018 = Madeline Miller, Circe, London, Bloomsbury Publishing, 2018.
Od. = Omero, Odissea, a cura di Franco Ferrari, Torino, UTET, 2014.
Serv., Aen. = Servius, Servii Grammatici Qui Feruntur in Vergilii Carmina Commentarii, vol. II, a cura di George Thilo, Leipzig, B. G. Teubner, 1883.
Vico 1725 = Giambattista Vico, Principj di una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni per la quale si ritruovano i principj di altro sistema del diritto naturale delle genti, Napoli, Felice Mosca.
Yarnall 1994 = Judith Yarnall, Transformations of Circe. The history of an Enchantress, Urbana-Chicago, University of Illinois Press, 1994.
Il ciclo Figli di un nome proprio. Un viaggio tra i deonimici italiani è curato da Alessandro Aresti, Luca Bellone, Francesco Crifò, Debora de Fazio, Antonio Montinaro, Rocco Luigi Nichil, Pierluigi Ortolano, Rosa Piro, Antonio Vinciguerra.
È possibile interagire con i curatori, scrivendo alla pagina Della deonomastica e di altri demoni (Facebook, Instagram) o all’indirizzo mail deonomasticaitaliana@gmail.com.
Di seguito, l’elenco degli articoli già pubblicati.
Wolfgang Schweickard, Che cos’è la deonomastica
Antonomasia
1. Rocco Luigi Nichil, Per antonomasia: deonimici per eccellenza
1.1. Alessandro Aresti, Torquemada
1.2. Francesco Crifò, Fortune e sfortune di Casamìcciola e del suo nome
1.3. Luca Bellone, Perpetua perpetua
1.4 Debora de Fazio, Un caso di deonimia biblica: Geremia
1.5 Antonio Vinciguerra, Dal nome personale al soprannome etnico: baciccia (e altri casi)
Immagine: Circe offre la coppa ad Odisseo
Crediti immagine: John William Waterhouse, Public domain, via Wikimedia Commons