Ed eccoci alla chiusura della sezione dedicata ai deonimici nati per antonomasia. Su richiesta di una lettrice, Francesca, pervenuta alla pagina Facebook Della deonomastica e di altri demoni, Pierluigi Ortolano approfondisce in questo articolo un deonimico nato dal nome di una delle più celebri maschere della Commedia dell’arte: Arlecchino.
Buona lettura!
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Arlecchino fra teatro linguistica ed etimologia
Arlecchino, ‘maschera di Bergamo dal caratteristico abito a losanghe multicolori’ (Zingarelli 2023), deriva dalla figura tradizionale degli Herlequins (buffonesca degenerazione della mesnie Hellequin), processione di dannati, nota fin dal sec. XI (come indicato da DELIN). Il nome ha portato al deonimico che si ricollega prevalentemente a espressioni figurate come fare l’arlecchino, comportarsi da arlecchino, essere un arlecchino che indicano, così come ricorda il dizionario Treccani, una ‘persona facile ai lazzi, agli scherzi; buffone, pagliaccio’ (almeno dal 1729-34, Fagiuoli, DELIN).
Secondo Ferrone (2012 e 2013), il personaggio teatrale di Arlecchino fu creato dall’attore mantovano Tristano Martinelli (1557-1630), probabilmente tra il 1584 e il 1585 durante una serie di rappresentazioni tenute a Parigi da una compagnia di attori italiani invitati da Caterina dei Medici. Gli spettacoli si svolsero a corte, nel teatro dell'Hôtel de Bourgogne e nelle strade intorno alla Foire Saint-Germain, con la partecipazione di attori sia italiani sia francesi. Secondo la ricostruzione dello studioso «questo primo Arlecchino aveva caratteri simili a quelli di un gatto o comunque di un animale notturno: straordinarie doti acrobatiche, una maschera con i fori rotondi per gli occhi, una barbetta ispida, un'andatura animalesca, un vestito da facchino ma ricoperto da toppe disordinate e colorate». Un aspetto interessante che riscontriamo a proposito della figura creata da Martinelli è che «era ammirato come un essere semidivino, capace di andare all'Inferno e tornare vivo, portatore di buona fortuna e di fertilità, dotato di poteri magici».
Va detto però che il nome Arlecchino, nella variante Arlechino, compare già nel 1584 nella prefazione (A Lettori. S., pp. [3-4]) dell’opera Fiammella pastorale di Bartolomeo Rossi da Verona comico. Proponiamo di seguito il passo in questione (riprodotto con criteri rigidamente conservativi) che risulta particolarmente interessante per le notazioni teatrali ma anche linguistiche su cui insiste lo scrivente:
Pure col meglio modo che mi sia stato possibile, lo rivista e ho scritto tutti gli errori che o potuto comprendere,da l'altra parte vi fo avertiti, che le parte ridicule hanno da esser libere nel dire, come Bergamino, se bene non osserva la vera parola Bergamascha, non importa, perche la sua parte e come quella di Pedrolino, di Buratino, d'Arlechino, altri che imitano simili personaggi ridiculosi,che ogni uno di questi parlano a suo modo, senza osservanza di lingua, differenti da M. Simone, Zanne de i Signori Gelosi, e M. Battista da Rimino, Zanne de Signori Confide(n)ti che questi osservano il vero dicoro de la Bergamascha lingua (p. [4]).
Il Cinquecento, del resto, è il secolo nel quale «si concretano […] le figure ed i nomi di parecchie maschere teatrali» (Migliorini 2002, p. 361), come Magnifico, personificazione del vecchio veneziano dottor Graziano (che diventerà poi Pantalone), Zanni, servo scaltro e imbroglione o anche, al contrario, sciocco e goffo, e, appunto, Arlecchino, che secondo Migliorini «fuse le caratteristiche della figura tradizionale degli Herlequinis – buffonesca degenerazione della mesnie Hellequin, processione dei dannati, nota fin dal secolo XI – con le caratteristiche degli Zanni» (ibidem).
Due padri per (il nome di) un cocktail: l’arlecchino
Arlecchino ritorna sulla “scena”, con una nuova semantica, sul finire degli anni Trenta del Novecento, nell’àmbito della politica linguistica portata avanti dal Regime fascista, che promosse la sostituzione forzata di parole straniere con equivalenti italiani: nell’adunanza del 14 giugno 1941, infatti, l’Accademia d’Italia propose di abbandonare l’“esotismo” cocktail a favore di arlecchino. Già nel 1940, tuttavia, il linguista Bruno Migliorini aveva suggerito la medesima sostituzione, a margine della recensione al Dizionario di esotismi di Antonio Jacono (1939), che aveva suggerito altre soluzioni: «Non mi sembra, poi, che i surrogati proposti (zozza plebeo e misce antiquario) abbiano la vitalità necessaria per arrivare a sostituire cocktail: occorre un nome fantasioso che costituisca l’equivalente di ciò che di suggestivo e di snobistico ha la forma esotica del nome: forse potrebbe essere più fortunato un arlecchino» (Migliorini 1940, p. 46). Lo studioso ritornò poi sulla questione due anni dopo, proprio in seguito alla decisione assunta dall’Accademia d’Italia; ne nacque l’articolo Arlecchino figlio di due padri, in cui citando sé stesso precisava: «avevo pensato, nel proporre questo nome, all’aspetto multicolore della miscela (che è l’imagine su cui si fonda il nome di cocktail “coda di gallo”); e m’ero fondato sugli usi metaforici che già arlecchino aveva avuto in Italia (gelato di più colori, una specie d’amaranto tricolore) e in Francia (arlequin “petit tas de viandes mélangées que l’on vend à la halle pour les chats, pour les chiens et pour les pauvres”)» (Migliorini 1942, p. 45, con la citazione finale di un’opera di Eugène-François Vidocq risalente al 1828). Venuto a conoscenza della decisione presa dall’Accademia d’Italia, Migliorini cercò di capire le ragioni di quella curiosa coincidenza («ne chiesi privatamente notizia, e seppi che arlecchino era stato proposto alla Commissione, durante una delle sedute, dall'accademico Bacchelli», Id. p. 46), quindi pubblicò in calce al suo articolo la spiegazione di Bacchelli: «scruto la mia memoria, ed essa mi risponde con certezza che la proposta di “arlecchino” per cocktail in una delle ultime sedute dell’annata scorsa, fu fatta da me in piena indipendenza, ossia nell’ignoranza della Vostra» (ivi). Suggellando la questione come «un interessante caso di poligenesi», a proposito della «fortuna che la surrogazione potrà avere», Migliorini scriveva infine: «Credo anzi che molti lettori di Lingua nostra augurerebbero volentieri che ciò accadesse, e troverebbero certo consenzienti i due padri di arlecchino».
Curiosamente, il nome arlecchino, in maniera indipendente, viene oggi ad indicare, in internet e sui social, una bevanda multicolorata di solito a base alcolica, composta da ingredienti vari.
L’Alichino di Dante: da Hellequin al moderno Arlecchino
Nella quinta bolgia dell’ottavo Cerchio dell’Inferno troviamo la figura di Alichino; siamo nel Canto XXI e al verso 118 leggiamo: «Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina». La vicenda vede come protagonisti un gruppo di dieci demoni assegnati da Malacoda come scorta non richiesta a Dante e Virgilio per il loro passaggio alla bolgia successiva. Fra questi spicca appunto il nome di Alichino. Nella voce curata da Vincenzo Presta per l’Enciclopedia dantesca (1970) osserviamo che «è opinione, quasi unanime, della recente filologia dantesca che il nome Alichino derivi dal francese ‛Hellequin’, il personaggio diabolico della divulgatissima leggenda della caccia feroce. Gli antichi commentatori però fantasticarono altre spiegazioni con l’intento di cogliere anzitutto il valore allusivo-morale che il nome può serbare; "Alichino dicitur ab aliciendo. Allicio, cis, in grammatica sta per ‛allettare’; et questo è vero, che questi peccatori [barattieri] sempre, con parole et con operazione, allettono et attraggono ogni uomo da cui possono trarre": così l'Anonimo; e il Buti: "Alichino... si può interpretare ‛alium vel alias inclinans'; cioè inchinante altrui, o vero inchinante l'alie, cioè la volontà: imperò che come l'alie portano l'uccello, così la volontà porta l'uomo". Quest'ultima spiegazione delle ali è accettata anche dal Tommaseo nel senso di "pronto a chinare le ali per volar sulla pece contro i dannati"». Dobbiamo però allo studio di Sonia Maura Barillari (2011) l’opportuno collegamento linguistico con Arlecchino e soprattutto con la dimensione demoniaca della maschera, a testimonianza che l’etimologia della parola masca(m) (per la cui complessa etimologia cfr. DELIN) contenga non solo la sua connotazione teatrale ma anche quella riconducibile al mondo dei fantasmi. Barillari mette in luce innanzitutto la forte impronta teatrale del canto dovuta all’alto tasso di dialogicità, «al taglio mimetico conferito alla pratica discorsiva nell’intento di cogliere, riprodurre, enfatizzare la gestualità degli attanti anche attraverso un’accurata scelta lessicale» (Barillari 2011, p. 5) e soprattutto all’utilizzo, nel canto successivo, sempre al verso 118, del lessema ludo per designare l’azione di Alichino. Secondo la studiosa questo Alichino sarebbe prodromico rispetto ad Arlecchino, così come aveva suggerito anche Paolo Toschi, il quale però lamentava la tardiva comparsa di riferimenti ad Arlecchino in Italia ad eccezione, appunto, della figura dantesca, sottolineando che «in Dante c’è l’Arlecchino diavolo, e che appartiene alla schiera dei diavoli, ma non con caratteristiche di supremazia» (Toschi 1979, p. 207). Dante, secondo Barillari, sarebbe stato il primo a tracciare una sorta di linea di confine fra l’Arlecchino demonico e l’Arlecchino istrione, cogliendo le potenzialità drammaturgiche e soprattutto «l’agilità nervosa, la scioltezza nell’agire, la vigile animosità, la propensione al lazzo e alla burla sottilmente feroce, ma anche quella fatalmente infausta vocazione allo scorno e allo scacco che fa di lui uno dei molti avatar in cui si estrinseca il tipo del furbo-sciocco, o del folle saggio, ampiamente sfruttato nei canovacci della commedia dell’arte» (Barillari 2011, pp. 8-9).
Riferimenti bibliografici
Sonia Maura Barillari, Hellequin servitore di due padroni: dalla figura demoniaca alla maschera teatrale, in Commedia dell’arte. Annuario internazionale, Firenze, Olschki, IV, 2011, pp. 3-16.
Maurizio Bettini, Letteratura latina. Storia letteraria e antropologia romana: profilo e testi, Firenze, La Nuova Italia, 1995.
DELIN = M. Cortelazzo, P. Zolli, Il nuovo etimologico. DELI
. Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, seconda edizione a cura di M. Cortelazzo e M.A. Cortelazzo, Bologna, Zanichelli, 1999.
Devoto-Oli 2023 = L. Serianni, M. Trifone (a cura di), Nuovo Devoto-Oli 2023, Firenze, Le Monnier.
Fiammella pastorale di Bartolomeo Rossi da Verona comico, Pariggi, per Abell'Angeliero, 1584.
Bruno Migliorini, Arlecchino figlio di due padri, in «Lingua nostra», IV 1 [gennaio 1942], pp. 45-46.
Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, Milano, Bompiani, 2002.
Enciclopedia dantesca, v. Alichino, a cura di Vincenzo Presta, Roma, Treccani, 1970 (disponibile anche online: https://www.treccani.it/enciclopedia/alichino_%28Enciclopedia-Dantesca%29/).
Siro Ferrone, v. Arlecchino, in «Archivio Multimediale Attori Italiani», 2012, https://amati.unifi.it/Main.uri.
Siro Ferrone, Il metodo compositivo della Commedia dell’Arte, 2013, https://drammaturgia.fupress.net/saggi/saggio.php?id=1459.
Alessandro Testa, Il Carnevale dell’uomo animale, Napoli, Loffredo, 2014.
Paolo Toschi, Le origini del teatro italiano. Origini rituali della rappresentazione popolare in Italia,
Torino, Boringhieri, 1979 [1955], p. 207.
Zingarelli (2023) = N. Zingarelli (a cura di), Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna.
Il ciclo Figli di un nome proprio. Un viaggio tra i deonimici italiani è curato da Alessandro Aresti, Luca Bellone, Francesco Crifò, Debora de Fazio, Antonio Montinaro, Rocco Luigi Nichil, Pierluigi Ortolano, Rosa Piro, Antonio Vinciguerra.
È possibile interagire con i curatori, scrivendo alla pagina Della deonomastica e di altri demoni (Facebook, Instagram) o all’indirizzo mail deonomasticaitaliana@gmail.com.
Di seguito, l’elenco degli articoli già pubblicati.
Wolfgang Schweickard, Che cos’è la deonomastica
Antonomasia
1. Rocco Luigi Nichil, Per antonomasia: deonimici per eccellenza
1.1. Alessandro Aresti, Torquemada
1.2. Francesco Crifò, Fortune e sfortune di Casamìcciola e del suo nome
1.3. Luca Bellone, Perpetua perpetua
1.4 Debora de Fazio, Un caso di deonimia biblica: Geremia
1.5 Antonio Vinciguerra, Dal nome personale al soprannome etnico: baciccia (e altri casi)
1.6 Beatrice Perrone, Le metamorfosi di Circe
Immagine: Commedianti Italiani (al centro l'Arlecchino Tommaso Visentini)
Crediti immagine: Jean-Antoine Watteau, via Wikimedia Commons