Vent’anni dopo: fedeltà nella carta

Tutti conoscono le variopinte e lustre tessere magnetiche che scimmiottano le danarose carte di credito, confortando il cittadino-cliente-consumatore con il sogno a portata di mano del premio in cambio della propria fedeltà di acquirente. Per questo gli strateghi del marketing le hanno chiamate “carte fedeltà”, anzi, risalendo all’espressione originaria, che è angloamericana, “fidelity card”. A vent’anni dall’ingresso nella nostra lingua, anche in tempi di crisi, la locuzione non perde il suo smalto scintillante e posticcio

Va a vele spiegate il vascello plastificato delle fidelity card, cioè delle variopinte tessere magnetiche che permettono a noi comuni consumatori di incamerare il sogno di nuova merce da ottenere senza troppa fatica in premio della nostra fedeltà al supermarket o al negozio di marca. Anche in tempi di crisi. Anzi, forse ancor di più in tempi di crisi: un punticino qua, un punticino là e la cicala consumistica e dilapidatrice si trasforma (si illude di trasformarsi) nella formichina avveduta e risparmiatrice.

Va, il vascello, anche se nel 2007 ha fatto notizia la sortita del Garante della privacy, che ha vietato a quattro società – sulle cinque controllate – l’uso dei dati raccolti attraverso i moduli sottoposti ai clienti in cambio del rilascio della fidelity card. A quanto pare, le maglie della rete di informazioni richieste erano troppo lasche; quindi, ingiustificati e lesivi della privacy sono risultati all’occhio del Garante certi dati pretesi (informazioni sui famigliari, sul titolo di studio o sulla professione del tesserando), ritenuti in sostanza non correlati ai vantaggi previsti dalla card e inutili alla cosiddetta fidelizzazione del cliente.

Anche dietro gli scintillanti nomi e locuzioni coniati dalle teste d’uovo del marketing aziendale si possono nascondere problemi delicati e di non poco rilievo. Tanto più che il mondo delle card (propriamente ‘tessere’), esploso con la rapidissima evoluzione delle tecnologie elettroniche e rigogliosamente fiorito Oltreoecano, prima che nel Vecchio Continente, mette in gioco per l’appunto questioni fondamentali come la trasparenza nel trattamento dei dati personali da una parte e, dall’altra, l’interesse delle grandi aziende volto a conoscere tutto del cliente per poterlo meglio “servire” con pubblicità e offerte mirate sui suoi gusti.

Fidelity card: crolla il Muro di Berlino nel 1989 e irrompe nell’Occidente la locuzione, attestata in italiano per la prima volta nel fatidico anno. La locuzione potrebbe ben essere resa con carta fedeltà (come fa il Grande dizionario italiano dell’uso diretto da Tullio De Mauro, prima edizione 1999-2000; mentre sul vocabolario Treccani la locuzione anglosassone, a suo tempo non censita, entra – senza il calco italiano – soltanto nell’edizione profondamente revisionata e aggiornata del 2008), ma si sa che l’inglese è più up to date. Intorno al tema della fedeltà, che nella società dei grandi consumi di massa è concetto che rimanda romanticamente a ciò che batte in petto, cioè il portafogli nel taschino interno della giacca, si sviluppa una fresca e nuova famiglia semantica composta di tre membri: il verbo fidelizzare, il participio passato (anche usato come aggettivo) fidelizzato, il sostantivo fidelizzazione. Fidelizzare ‘rendere il cliente un affezionato fruitore di determinati prodotti o marchi’ viene dal francese fidéliser, propriamente ‘rendere qualcuno fedele’, ed è attestato in italiano dal 1985; da fidelizzare derivano poi fidelizzato e fidelizzazione (1992).

Per quanto riguarda l’altro corno della locuzione, card, si noterà che – sempre sotto martellante influsso di invenzioni materiali e linguistiche angloamericane – fidelity card fa parte di una nutrita schiera di più o meno occasionali e deperibili neologismi legati al concetto di ‘carta di credito’ e derivati. Capostipite, infatti, è credit card (attestato dal 1959 in italiano), reso successivamente con carta di credito. Va detto che almeno in questo caso la forma italiana, anche nella frequentissima variante scorciata carta – sul modello, si badi, dell’inglese card usato assolutamente (attestato dal 1985 in italiano) –, sembra alla fine aver prevalso nell’uso comune. Tra la fine degli anni Ottanta e oggi, card in inglese è entrato in combinazione con numerosi altri sostantivi (a seconda della funzione delle funzioni proprie dell’oggetto designato) come una sorta di elemento compositivo fisso. E l’italiano ha accolto molti di questi composti, considerabili unità politematiche, come un unico blocco semantico composto di più membri (normalmente due): blue card, concert card, donor card, dream card, taxicard, pink card, ecc.

Il lemma

Fidelity cardfidèliti kàad› locuzione inglse (propriamente «carta [card] di fedeltà [fidelity]»; plurale fidelity cards ‹... kàad__∫›), usata in italiano come sostantivo femminile. – Nel settore della media e grande distribuzione (supermercati, ipermercati, ecc.) e dei servizi, carta in dotazione ai clienti, di cui registra i movimenti di spesa e che consente, nell’ottica di una strategia di fidelizzazione, di usufruire di sconti sui prezzi delle merci e di premi e vantaggi di altro genere.

Dal Vocabolario della lingua italiana dell’Istituto della Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani

Esempi d’uso

La carta elettronica, che fornisce agli utenti i servizi più avanzati, può infatti trasformarsi in libretto bancario, può essere impiegata nella grande distribuzione e funzionare come moneta elettronica e come Fidelity Card.

«La Repubblica», 17 aprile 1992 (citato in Grande Dizionario della Lingua Italiana – Supplemento 2009, diretto da Edoardo Sanguineti, Utet, Torino 2008)

Bancomat, Assegno bancario, Carta di credito o Fidelity Card? Sono tante le soluzioni per fare acquisti senza doversi portare dietro denaro contante.

«La Repubblica delle donne», 8 aprile 1997 (citato in Grande Dizionario della Lingua Italiana – Supplemento 2009, diretto da Edoardo Sanguineti, Utet, Torino 2008)

Indifferenti alle affannose politiche di marketing delle aziende volte alla fidelizzazione del cliente [attraverso] fidelity-card, raccolte-punti, prove d’acquisto e strategie varie.

«Grazia», 23 ottobre 2001 (citato in A. Bencini-B. Manetti, Le parole dell’Italia che cambia, Le Monnier, Firenze 2005)

«Puntiamo a capitalizzare nel settore pubblico e nella distribuzione retail l'esperienza che abbiamo fatto nel mondo bancario», afferma Caruso*, «penso, per esempio, ai distributori di benzina, o alla grande distribuzione, dove le carte fedeltà sono diffuse solo in parte. Vogliamo confermare anche in questi mercati la nostra leadership» [*Giuseppe Caruso, allora amministratore delegato di Tas group, società quotata che realizza software per banche e sistemi di pagamento, ndR].

«Il Corriere della sera», 11 luglio 2008

Tra le iniziative vi è la creazione della «fidelity card», uno strumento che consente di avere dati importanti sulle abitudini dei consumatori negli acquisti.

_<_http://iltempo.ilsole24ore.com>, 15 ottobre 2009

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