In Italia la parola siccità è passata, a Nord come a Sud, dalla citazione occasionale al brontolio quotidiano di chiunque, visto che una pioggia degna di questo nome latita da parecchi mesi, addirittura dall’anno scorso. Si arriva fino all’ansia; sicuramente c’è quella degli agricoltori, mentre scrutano il cielo: è terso o con poche nubi avare, che sorvolano i campi senza bagnarli. Ritornano fantasmi legati a quel termine antico. Secondo il Dizionario etimologico DELI, è attestato per la prima volta nel 1292, in un testo di Bono Giamboni, giudice a Firenze e scrittore in italiano volgare. Il DELI attribuisce al vocabolo il significato di «periodo caratterizzato da scarsezza o assenza di pioggia»; dal latino siccitāte_(m)_, a sua volta da s__ĭ__ccus (secco).

L’Apulia siticulosa

Di certo, oggi tutto è secco anche per chi vive nella Valle Padana tra Alpi e Appennino, nonostante sia costellata di laghi, fiumi, navigli, rogge, stagni, fossi, risaie, fontanili e canali e, in alto, di nevai e ghiacciai. Si pensava che fossero inesauribili. Nella Bassa Bergamasca, per esempio, la söcia (siccità) non faceva così paura, grazie all’abbondanza di acqua sorgiva o da irrigazione; tanto che un proverbio recita «La söcia règna mai carestéa» (la siccità non fece mai carestia). Invece nel Nord Italia del 2022 persino chi ha sempre apprezzato «quel cielo di Lombardia, così bello quand'è bello, così splendido, così in pace» (I promessi sposi, cap. XVII), di manzoniana memoria, gradirebbe più acquazzoni e meno splendore, dato che una volta quest’ultimo era memorabile perché infrequente. Sono dunque passati i tempi in cui l’immaginazione relegava quest’arsura in continenti lontani oppure la scorgeva nelle estati di parte del nostro Sud; magari in memoria dell’Apulia siticulosa (Epod. 3,14), quella Puglia sitibonda descritta da Orazio (65 aC - 8 aC) e dissetata con l'Acquedotto pugliese solo a partire dal 1914.

L’arcivescovo

Tornando a Nord, secondo l’Osservatorio del Po, a metà luglio in molte zone che il corso d’acqua attraversa non pioveva da quasi 130 giorni, come testimoniano enormi distese di sabbia e ghiaia lungo il letto dell’ormai smagrito grande fiume. Prima ci sono stati un autunno e un inverno quasi senza piogge e senza neve, neppure sulle vette. Risultato: anche a Milano, narcisistica capitale italiana della finanza e dell’innovazione, nel giugno scorso si è tornati, come un tempo, a pregare perché piova, visto che le laconiche app meteo del XXI secolo non promettono niente di buono, tanto meno fanno miracoli. Così contro la siccità è sceso in campo pure l'arcivescovo ambrosiano, Mario Delpini.

La preghiera di Paolo VI

Monsignor Delpini, accogliendo «la preoccupazione dei coltivatori della terra, degli allevatori e delle loro famiglie», ha pregato «il santo Rosario» in tre chiese verso est, sud e ovest della metropoli, ai margini delle campagne riarse: «Per il dono dell'acqua, per il saggio utilizzo di questo bene vitale, per quanti soffrono il dramma della mancanza di risorse idriche». Ha quindi invocato «la 'Madonna della Bassa' (la zona più agricola della Diocesi, ndr) perché la provvidenza di Dio venga in aiuto alla nostra debolezza». «La terra è un giardino da custodire», ha detto, «e non una proprietà da saccheggiare». Anche nel resto d’Italia si sono moltiplicate cerimonie di questo tipo. Il settimanale cattolico Famiglia cristiana ha spiegato che si tratta di un'orazione «che rintracciamo anche nella Scrittura e poi nella tradizione cristiana, da san Giovanni Crisostomo fino all’Angelus del 4 luglio del 1976, al termine del quale Paolo VI recitò una preghiera per chiedere l’acqua contro la siccità».

Siccità e aridità

Al di là del significato letterale e dell’etimologia, delle reazioni emotive e delle suppliche religiose, veniamo alla scienza: in questo campo la parola siccità può essere usata in contesti diversi. Sul sito dell’Ispra (Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale), si legge che, «a differenza dell’aridità – termine con il quale si indica una condizione climatica naturale permanente in cui la scarsa quantità di precipitazioni annue, associata a elevate temperature, non fornisce al terreno il necessario grado di umidità da promuovere lo sviluppo della vita – la siccità è una condizione meteorologica naturale e temporanea in cui si manifesta una sensibile riduzione delle precipitazioni rispetto alle condizioni medie climatiche del luogo in esame». Si precisa che «non esiste un’unica definizione di siccità, sebbene tutte si trovino in accordo sul fatto che… sia un fenomeno temporaneo ma frequente, che può generare impatti di carattere ambientale, sociale ed economico».

Le quattro categorie

L’ISPRA aggiunge: «Il fenomeno presenta caratteristiche differenti nelle diverse componenti del ciclo idrologico, che, a loro volta producono impatti diversi sui sistemi idrici, sulle colture e sui sistemi socio-economici e ambientali». Le quattro categorie cui l'Istituto fa riferimento sono: - Siccità meteorologica, «in caso di una relativa diminuzione delle precipitazioni; - Siccità idrologica, «in presenza di apporto idrico relativamente scarso nel suolo, nei corsi d’acqua, o nelle falde acquifere»; - Siccità agricola, «in caso di deficit del contenuto idrico al suolo che determina condizioni di stress nella crescita delle colture»; - Siccità socio-economica e ambientale, che è «l’insieme degli impatti che si manifestano come uno squilibrio tra la disponibilità della risorsa e la domanda per le attività economiche (agricoltura, industria, turismo, ecc.), per gli aspetti sociali (alimentazione, igiene, attività ricreative, ecc.) e per la conservazione degli ecosistemi terrestri e acquatici».

Da Capuana a De André

Le classificazioni scientifiche non contribuiscono ad alleviare l’apprensione suscitata in questo periodo dal termine siccità. Oggi tutta Italia può riconoscersi nel protagonista siciliano de Il Marchese di Roccaverdina, romanzo pubblicato nel 1901 dal catanese Luigi Capuana (1839 - 1915). Vi si racconta che in Sicilia «la lunga siccità aveva reso duri come il ferro i terreni, e i vomeri ordinari non riuscivano a spezzarli per preparare i maggesi». Anche il marchese «guardava un po’ scoraggiato… quelle campagne dove non si scorgeva un fil d’erba, quel cielo che, da mesi e mesi, non mostrava agli occhi ansiosi l’ombra di una nuvoletta all’orizzonte». Soltanto «il canonico Cipolla, che aveva letto i giornali in Casino, prognosticava vicina la pioggia. - A Firenze piove da un mese, giorno e notte! In Lombardia, fiumi rigonfi straripano, allagano le campagne. Il cattivo tempo è in viaggio; arriverà anche qui!». Intanto «certe sere… arrivava all’orecchio il confuso rumore delle voci che andavano cantando il rosario del Sagramento dietro a don Silvio, in penitenza» per la penuria di pioggia.

Ora quei riti antichi sono tornati d’attualità persino nella Lombardia che era bagnata da “fiumi rigonfi”. Vedremo. Nell’attesa, si cede alla tentazione di pensare ad altro. Magari ricordando Fabrizio De André (1940-1999). Nel brano Il suonatore Jones (1971), liberamente ispirato dalla poesia Fiddler Jones di Edgar Lee Masters (1868-1950), cantava: «In un vortice di polvere / gli altri vedevan siccità, / a me ricordava / la gonna di Jenny / in un ballo di tanti anni fa». Anche se il cantautore genovese nel successivo brano Le Nuvole (1990) ci ricorda che le nubi «vanno / vengono / per una vera / mille sono finte e si mettono lì / tra noi e il cielo / per lasciarci soltanto una voglia di pioggia». Ecco, appunto: che voglia…

Immagine: Ponte senza acqua

Crediti immagine: João Cautela, CC0, attraverso Wikimedia Commons