5 aprile 2018

Edmondo De Amicis, protagonista e profeta della storia della lingua italiana

«– Io preferisco il linguaggio finanziario, che va prendendo sempre più voga. Ha certe espressioni così nobili! Fare il bilancio, per esempio, delle buone qualità e dei difetti di un amico; dire d’un uomo politico, venuto in auge, o scapitato d’autorità, che le sue azioni si sono alzate o ribassate, o, accennando ai suoi meriti e ai suoi demeriti verso il paese, che ha al suo attivo certe cose e al suo passivo certe altre.... Mi par di vederlo diviso in due colonne, come il registro d’un negoziante.

– E dove lasciate i verbi, che sono i più bei fiori? Suicidarsi, terrorizzare, ostacolare, impossibilitare, prevenzionare, massacrare, acutizzare.... Si va acutizzando il dissidio in seno alla Commissione del Bilancio, signori!»

 

Questo scambio di battute, per molti versi attualissimo, risale al 1905: A chi le dice peggio (cui appartiene il passo citato) è un dialogo dell’Idioma gentile, uno degli ultimi successi editoriali sfornati dal poligrafo Edmondo De Amicis, a pochi anni dalla morte, avvenuta giusto centodieci anni fa (1908). L’opera tesaurizza il pensiero e la prassi linguistica dell’intera carriera dello scrittore, confermandone la spiccata sensibilità per i fatti linguistici del suo tempo, comprese mode e tendenze (nello stesso dialogo, ad esempio, preconizzava che «Fra cinquant’anni ci saranno nella lingua tanti ismi che si farà rima ogni dieci parole»), talvolta assecondate, talaltre frenate. Benché sintonico col pensiero linguistico manzoniano, De Amicis rimase ad esempio scettico – sia nella riflessione teorica sia nella pratica scrittoria – verso l’incombente «tirannia del lui e del cosa», che avrebbe soppiantato i normativi egli soggetto e che cosa pronome interrogativo. Opzioni che avrebbero condizionato, spesso inconsapevolmente, la coscienza linguistica di generazioni di studenti, non solo alle prese col celeberrimo Cuore, bensì anche con l’Idioma gentile (la cui adozione scolastica fu immediatamente caldeggiata da una circolare ministeriale) e con brani dalle opere più disparate (in primis, La vita militare e Sull’oceano), saccheggiate da grammatiche e antologie scolastiche almeno fino a metà Novecento.

 

Contro i luoghi comuni, «per pensare profondamente, sottilmente, nettamente»

 

Tra gli snodi della riflessione linguistica deamicisiana è notevole l’attenzione per «quel gran numero di vocaboli e traslati triti e di frasi fatte, che ricorrono continuamente nei giornali, nelle conversazioni, nei discorsi parlamentari, necrologici, inaugurali e conviviali, e anche nelle lettere private dei nostri concittadini», a volte pescate, come fare il bilancio, dai linguaggi speciali. L’ironia con cui De Amicis rileva queste espressioni (ad esempio, «ora si chiamano arterie le strade grandi, e non so perchè non si chiamino vene le strade minori»), molte delle quali ancora vitalissime (avere esito negativo, su vasta scala, senza soluzione di continuità, ecc.), non ne cancella il peccato originale: sebbene siano diffusissime,spesso non dicono nulla.In questo senso mistificano la comunicazione e tradiscono uno scopo fondamentale del linguaggio: potenziare le facoltà di discernimento del mondo, discriminando concetti e sentimenti magari confusi «sotto un solo vocabolo […] come un mucchio di cose uniformi». Sarà allora indispensabile riflettere accuratamente sul lessico, per esprimersi e «pensare profondamente, sottilmente, nettamente».

E come predicava, così De Amicis aveva razzolato, scrivendo la sua prima opera letteraria (La vita miliare, 1868), e non solo,sotto la serrata sorveglianza linguistica di Emilia Peruzzi, salonnière dell’omonimo circolo fiorentino, e di Marco Tabarrini, accademico della Crusca: nel correggere i bozzetti militarii due consiglieri sindacano ogni scelta linguistica dello scrittore esordiente, se non è la più pertinente agli oggetti della narrazione.

 

Pat(t)inare o sdrucciolare? Un dilemma attuale

 

«A Torino e a Milano moltissime signore patinano, e la maggior parte di esse tengono conversazione; e nelle loro conversazioni si parla di patinamento, usando le parole patino, patinatrice, patinatore. Orbene, risponda alla mia domanda, e sia franco. Dovendo fare in una di queste conversazioni un complimento alla padrona di casa ch'ella avesse visto patinare il giorno prima, di quale parola si servirebbe? Intendo un complimento a voce, in presenza di molta gente, badi bene.

Il linguista esitò un momento e poi disse: — Certo che.... se io dicessi brava sdrucciolatrice.... anche rimossa ogni idea d'equivoco.... quei signori.... e forse anche la signora.... si metterebbero a ridere;»

 

Sempre con umorismo nelle Pagine Sparse (1874) De Amicis affronta «la molto agitata questione delle parole nuove», rispondendo alle remore puristiche sull’infezione dell’italiano da neologismi e da forestierismi: non di morbus anglicus si trattava, ma di gallomania (pattinare, infatti, deriva dal francese patiner), di cui peraltro lo scrittore, da pedemontano, era portatore sano; ma anche il suo cosmopolitismo e l’incessante attività giornalistica lo spinsero a una con dotta linguistica pragmatica, informata dal criterio dell’uso comune. Come scriverà nell’Idioma gentile, «Delle parole nuove usi quelle che s’usano generalmente e che generalmente sono capite», privilegiando quella di conio o di veste italiana solo se concorrente alla pari con quella straniera: dunque non sdrucciolare ma pat(t)inare, non cognacche ma cognac, a meno che l’uso non sia ancora incerto, come nel caso del francesismo kepì. Se la sua prima attestazione letteraria si deve a De Amicis, il successivo adattamento ortografico in cheppì, da lui operato già nei primi scritti, concorse alla stabilizzazione della parola nella formamoderna.

 

La traversata dei neoitaliani verso la lingua nazionale

 

«era il primo saggio ch’io intendevo della strana lingua parlata dalla nostra gente del popolo dopo molti anni di soggiorno nell’Argentina, dove, col mescolarsi ai figli del paese, e a concittadini di varie parti d’Italia, quasi tutti perdono una parte del proprio dialetto e acquistano un po’ d’italiano, per confonder poi italiano e dialetto con la lingua locale, mettendo desinenze vernacole a radicali spagnuole, e viceversa,»

 

Nel romanzo Sull’oceano (1889) De Amicis documenta una traversata migratoria dei neoitaliani verso le Americhe. La cronaca è insieme simbolo dell’approdo a una nuova lingua, circostanza che suscita almeno un interrogativo (attualissimo, sebbene siano mutati i neoitaliani): qual è la sorte delle lingue madri quando si impone una lingua seconda?

Come i neoitaliani migranti dialettofoni, De Amicis aveva conquistato l’italiano da una condizione di marginalità geografica, rinunciando, soprattutto negli scritti giovanili revisionati dal salotto Peruzzi, ai dialettalismi settentrionali. Eppure, nel clima di generale ostracismo verso i dialetti, De Amicis ne intravede la preziosità e la dignità, in quanto condividono con l’italiano larga parte del loro patrimonio linguistico, legittimato nell’uso comune. Non gli è perciò difficile prevedere che, quando la lingua italiana sarà «conosciuta e parlata da un numero sempre maggiore d’italiani», dalle lingue madri dialettali, si trarrà «forza, vita, colore, varietà, comicità, naturalezza, per parlare e per scrivere italianamente». Chissà che la profezia non si ripeta con i neoitaliani del terzo millennio.

 

 

 

 

Consigli di lettura e riferimenti bibliografici

Colin, M. (2017), (a cura di), Edmondo De Amicis. Littérature et société. «Transalpina: etudes italiennes», 20.

De Amicis, E. (2006), L’idioma gentile, a cura di A. Giardina, Baldini & Castoldi, Milano.

De Amicis, E. (2009), Sull’oceano, introduzione di F. Custodi, prefazione e note di F. Portinari, Garzanti, Milano.

Dota, M. (2017), La vita militare di Edmondo De Amicis. Storia linguistico-editoriale diun best seller postunitario, FrancoAngeli, Milano.

Polimeni, G. (2012), (a cura di), L'idioma gentile: lingua e società nel giornalismo e nella narrativa di Edmondo De Amicis, Santa Caterina, Pavia.

Ubbidiente, R. (2013), L’officina del poeta: studi su Edmondo De Amicis, Frank & Timme, Berlino.

 

Immagine: By Schemboche, Turin (The Critic, vol. 41, p. 102) [Public domain], via Wikimedia Commons


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