Tra i suoni dell’italiano senza frontiere, si distingue quello di Mahmood. Il suo vero nome è Alessandro Mahmoud, nato e cresciuto a Milano, madre sarda e padre egiziano. Ha raggiunto la notorietà internazionale nel 2019 con il brano Soldi, vincitore del Festival di Sanremo, secondo all’Eurovision Song Contest e inserito a fine anno nella classifica top 50 delle canzoni più ascoltate al mondo sulla piattaforma Spotify. Un successo che non è riconducibile all’appartenenza a un genere di moda. Anzi, il suo stile è innovativo e ricercato, programmaticamente non etichettabile e difficilmente incanalabile in un genere musicale specifico: «Quando me lo chiedono non so mai se collocarmi nel pop, nell’indie o nel rap. Non mi voglio catalogare, chiudermi in uno scaffale, la musica è tante cose. Il mio è un pop strano, l’ho definito “marocco-pop” perché nei miei pezzi c’è un’influenza araba» (La Stampa, 23/12/2018). Anche dopo la vittoria al Festival di Sanremo, ha continuato a riproporre questo ‘scaffale’ insolito e sconosciuto ai più («Moroccan pop or abbreviated as Mor-pop is a genre of the new Moroccan music generation along the hip hop, rap music in Morocco», en.wiki.org sub voce).
Il Marocco-pop in lingua italiana di Mahomood esprime l’eterogeneità delle culture e delle influenze musicali che in lui convivono: «Sono cresciuto con mamma che ascoltava i cantautori: Battisti, De Gregori, Carboni e Antonacci erano i suoi preferiti. Nei viaggi in macchina papà metteva le cassette delle cantanti arabe, soprattutto marocchine, come Shirine» (Corriere della Sera, 11/02/2019). Ma, oltre all’eredità genitoriale, c’è spazio anche per l’attitudine personale e l’attrazione per i suoni «hip hop e il rap che ho sempre amato» (La Repubblica, 25/06/19). Diverse sono state infatti le collaborazioni con rapper italiani, da Fabri Fibra (Luna, album: Masterchef EP, 2017) a Gué Pequeno (Doppio Whisky, album: Sinatra, 2018), entrambi presenti anche nell’unico album finora pubblicato da Mahmood, Gioventù bruciata (2019), rispettivamente nelle tracce Anni 90 e Soldi (Bonus track). Dopo il successo sanremese, il suo Marocco-pop si è mischiato con la trap di Sfera Ebbasta (Calipso, insieme a Fabri Fibra) e tha Supreme (8rosk1, album 23 6451), con il rap energico di Gemitaiz e MadMan (Karate, album: Scatola nera) e quello più riflessivo di Marracash (Non è Marra – La pelle, album: Persona).
Immaginario esotico e plurilinguismo
Il lessico che Mahmood utilizza per i testi delle sue canzoni è semplice, comune, senza parole ricercate. Ciò che lo distingue è il ricorso – non massiccio e ridondante ma sfumato e diffuso – a un immaginario di matrice esotica, lontano e altro rispetto a quanto rintracciabile nel pop italiano. Lo si scorge, ad esempio, nei comparanti delle similitudini, «cadiamo giù come Cartagine», «non sparire mai come Iside», «vorrei correre come un giaguaro», «c’è qualcosa che non capisco / come fare un tuffo nel Mar Rosso», a volte sapientemente intrecciate grazie a un’ottima padronanza tecnica della scrittura per musica: «Leggeri come elefanti in mezzo a dei cristalli / Zingari come diamanti tra gang latine» (Barrio). Non rare le metafore, anche queste favorite da fantasie originali:
Sembra di affogare, affondare, affondare, andare giù
Qui dentro al fiume non voglio nuotare, nuotare più
Resto qui e butto un'altra notte,
cerco il Nilo nel Naviglio
(Il Nilo nel Naviglio)
Evocative, poi, sono certe parole in assonanza a fine verso, come in «Oggi taglierò i capelli da Mustafa / Sono di Milano Sud, ma sembra l'Africa» (Mai figlio unico), o in rima imperfetta, come nell’ipermetra «che ne sanno loro della Sfinge / […] / che a volte ridere è come fingere». Stesso effetto evocativo hanno pure i pochi termini che rinviano alla religione islamica (“Ramadan”, “Allah”), così come l’inserto, nel brano Soldi, di frasi in arabo, che denotano un’attenzione particolare per la costruzione dei versi, tra inediti suoni in rima (ta’aleena : fiera) e improvvisi cambi di codice («Waladi waladi habibi sembrava vera»):
Mi chiedevi come va come va come va
Adesso come va come va come va
Waladi waladi habibi ta’aleena
Mi dicevi giocando giocando con aria fiera
Waladi waladi habibi sembrava vera
La voglia la voglia di tornare come prima
(Soldi)
Le frasi in arabo hanno perlopiù valore evocativo perché sono atte a far rivivere un ricordo d’infanzia legato alla figura paterna, e non sono riconducibili al naturale possesso della lingua araba, come lo stesso Mahmood ha precisato: «Ho solo memorizzato alcune frasi nella mia infanzia. La canzone dice: “Waladi waladi habibi ta'aleena” ovvero “Figlio mio, figlio mio, amore, vieni qua”, sono le frasi che mi diceva mio padre quando eravamo al parco a giocare» («La repubblica», 6/02/2019).
Gli inserti alloglotti non si limitano all’arabo. L’inglese è presente nei titoli (Milano good vibes), nei testi (in perfetta contiguità con l’italiano: «Fumo solo marijuana all night», Karate; «Riprenditi le cose che hai lasciato, abbandonato / Con un goodbye», Milano good vibes), e tramite l’inserzione di termini tipici del mondo hip hop come “flow”, “sound”, “nigga”. Ma, ancora prima di titoli e testi, già nella scelta del nome d’arte si può scorgere un gioco di parole in lingua inglese. Il passaggio dal cognome arabo Mahmoud a Mahmood, interpretabile come “my mood”, è sentore dell’apertura alle innumerevoli vie artistiche offerte dal plurilinguismo, che giungono allo spagnolo (Barrio) e al francese: «Cerchi per strada miracoli / Gli altri ti dicono: “C'est la vie”».
Multiculturalità di periferia
Tanto l’immaginario esotico quanto gli incastri interlinguistici sono funzionali alla rappresentazione dei temi cari al cantante. A cominciare dalla multiculturalità, vissuta sulla propria pelle ed esperita quotidianamente nella propria realtà sociale, che rientra abbondantemente nei testi. Mustafa, il parrucchiere di Mai figlio unico, la China Town dei sushi bar di Uramaki, i sogni «fatti seduto dal kebabbaro» (Sabbie mobili) sono i volti, i luoghi e le sensazioni di una Milano multietnica, nella quale Mahmood è cresciuto e dalla quale trae ispirazione.
Non manca, tuttavia, una nota negativa, una spaccatura senza sintesi. Nel caos metropolitano, gli amori si perdono, le anime si dividono e la chiusura in sé stessi appare l’unica soluzione, per quanto mortificante. Per esprimerla, Mahmood utilizza l’Asia e l’Occidente come entità contrapposte, non conciliabili:
Mi chiamerai sotto casa
Farò finta di niente
Come sempre come se
Io fossi l'Asia e tu l'Occidente
Fossi l'Asia e tu l'Occidente
(Asia Occidente)
Solitudine e dolore si affacciano di continuo: «bevevo acqua con Oki / soltanto per calmarmi» (Barrio), «Cancellare il tempo non basterà / se confondi l'aspirina con la felicità» (Milano good vibes), «fumo nella cucina da mesi» (Uramaki). Sintomo di indifferenza e di chiusura sono, talvolta, anche i videogiochi, mondi nei quali rinchiudersi: «Giocavo coi videogiochi per non uscire» (Barrio), «Giocavo in macchina con la Nintendo e i Pokemon / E ti lamentavi se io non volevo più parlare» (Gioventù bruciata), «Resto a casa solo per / giocare con la Nintendo» (Karate), «Seduto davanti a un videogame / senza il coraggio di premere play» (Pesos).
Oltre Sanremo
Dopo Gioventù bruciata (2019), album ‘milanese’, Mahmood si è in parte slegato dalle atmosfere della sua città natale. Non, però, dal clima di periferia, che permane anche nelle canzoni successive e che ancora lo caratterizza. Calipso, con Sfera Ebbasta e Fabri Fibra, prodotta da Charlie Charles e Dardust, è ambientata «sulle strade di Napoli», tra vicoli «scomodi» dove corrono ragazzini in fuga:
cercherà nel tuo cuor
Calipso corri ragazzo nei vicoli
cento sirene negli angoli
Nessuno
(Calipso)
La collaborazione con Marracash (Non sono Marra – La pelle, album: Persona, 2019) lo porta invece nelle notti romane («Stanotte griderò, griderò in tutta Roma / Ma domani chiederò, chiederò scusa al Papa»), quasi a voler rafforzare così la sua nuova dimensione di artista nazionale, di valore aggiunto per la musica italiana, arrivato in cima alle classifiche per restarci: «È inutile che conti, non dire duro un anno».
Sono state prese in considerazione solo le canzoni e le strofe cantate da Mahmood fino al 2019 (un nuovo album è previsto per il 2020). Il corpus non è dunque estesissimo, data la maturità artistica solo recentemente raggiunta, ma tale da permettere le considerazioni preliminari esposte. È doveroso, però, almeno un cenno alla sua attività di autore di testi cantati da altri, dote che gli è riconosciuta da tempo. In questa veste ha collaborato con Marco Mengoni alla stesura di varie tracce dell’album Atlantico, al successo di Elodie, Gué Pequeno e Michele Bravi con il singolo Nero Bali (2018), e con cantanti affermate quali Chiara e Francesca Michielin. La qualità di autore e cantante, unita all’amore per le periferie e all’attenzione per gli aspetti meno rosei della quotidianità, l’hanno reso un cantautore moderno, dalle influenze musicali e artistiche composite, ma in grado di raggiungere rapidamente un pubblico vastissimo e internazionale.
La serie intitolata Parole, storie e suoni nell'italiano senza frontiere è curata da Gabriella Cartago, coordinatore scientifico del CRC-Centro di Ricerca Coordinata dell’Ateneo di Milano Lingue d’adozione (link).
Le puntate precedenti:
1. Da migra(n)ti a transculturali a Ø di Gabriella Cartago e Franco Fabbri (link)
2. Igiaba Scego, figlia di due lingue madri di Andrea Groppaldi (link)
3. Alida, la par(ab)ola di una guerriera di Andrea Groppaldi (link)
4. Scrittori e scrittrici di madrelingua straniera si raccontano di Lucilla Pizzoli (link)
5. Segni italiani, strade americane: il "sì" che cambia di Martino Marazzi (link)
6. Piccolo atlante geografico dei rapper figli dell'immigrazione in Italia di Jacopo Ferrari (link)
Immagine: Mahmood all’Eurovision Song Contest del 2019
Crediti immagine: Martin Fjellanger / Eurovision Norway / EuroVisionary [CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]
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