Un’ironia straniante, l’uso di prospettive che irridono gli stereotipi, nonché un’irriverenza tipicamente underground, sono caratteristiche riconosciute dei fumetti di Andrea Paggiaro (Pisa, 1976), meglio noto come Tuono Pettinato. Già nel collettivo dei Super Amici (con Ratigher, Maicol&Mirco, LRNZ e il Dr. Pira), autore di numerosi volumi per bambini e adulti, tra cui la biografia di Kurt Cobain Nevermind (Rizzoli Lizard, 2014), i recenti Chatwin. Gatto per forza, randagio per scelta (Rizzoli Lizard, 2019) e Neri & Scheggia in Galleria (Coconino Press, 2020), ha al suo attivo anche alcuni racconti di divulgazione scientifica: Enigma. La strana vita di Alan Turing (Rizzoli Lizard, 2012) e, sulla crisi ambientale, Non è mica la fine del mondo (Rizzoli Lizard, 2017), entrambi su testi di Francesca Riccioni, nonché OraMai, storia ideata per raccontare la questione della percezione e la misurazione del tempo per la collana “Comics & Science” (Cnr Edizioni, 2014). Inoltre, nel 2019 ha collaborato anche al progetto europeo ERCcOMICS, finanziato dall’European Research Council per la produzione di webcomics di divulgazione scientifica. Ha infatti disegnato Hateful birds, una storia in tre episodi (ognuna di 30 vignette nella lettura a video, o di cinque tavole scaricabili in pdf) creata a partire dal progetto “The Age of Hostility”, condotto dal professor Michael Bruter, dalla professoressa Sarah Harrison e dall’Electoral Psychology Observatory su cause e conseguenze dell’ostilità tra individui, gruppi e più in generale nella società nei periodi elettorali. Una storia che traspone in una dimensione fantastica, tra uccelli parlanti che decidono di indire un referendum per attuare una secessione dagli esseri umani (e la Brexit è chiaramente il riferimento), la polarizzazione del dibattito politico, il clima di tensione, diffidenza, risentimento pre- e post-elettorale, nonché i discorsi di odio che alimentano la discussione e la propaganda che porta al voto.

Una favola nera

Il bestiario ornitologico messo in scena in questa favola nera ha un valore metaforico riconoscibile e incarna tipologie di personaggi politici ed elettori. Abbiamo quindi in primo luogo i due protagonisti della polarizzazione del dibattito politico: l’aquila è il rapace che aizza in un comizio i suoi simili contro la supremazia umana, cui si contrappone la colomba con tanto di collanina col simbolo della pace. Ad ascoltarli, il terzo protagonista di qualsiasi dibattito, ovvero l’uditorio che crea l’opinione pubblica e diventa elettorato: dagli uccellini che sono felici di essere ammirati per il loro canto ai pappagalli che ripetono tutto quello che sentono, dagli struzzi che non vogliono entrare nella discussione alle gazze ladre che esprimono un’opinione fondata su interessi opportunistici, dal fenicottero snob che disprezza gli umani plebei al tucano che vorrebbe si vivesse in armonia, fino al gallo che cerca di mettere ordine nel pollaio, la cinciallegra (rossa di rabbia) che ciancia con slogan furibondi, il tacchino indignato e il sadico avvoltoio. L’ironia di Tuono Pettinato si ritrova nel falco, che se nel linguaggio giornalistico è colui che preme per soluzioni tranchant, qui è presentato come deciso nella scelta pro-umani perché servile nei loro confronti, per conservare il rapporto privilegiato e amorevole col suo falconiere. La voce che commenta il dibattito, disincantata, è invece il corvo, chiaro omaggio a Pier Paolo Pasolini, che in Uccellacci e uccellini (1966) parla appunto attraverso un corvo. «L’odio è un male dilagante, dai capi ai sudditi // I nostri nidi covano l’odio», dice chiudendo il secondo episodio, per cui, attraverso la metafora del nido, lo spazio di ideale serenità, in cui ci si sente protetti e si crescono i piccoli, si trasforma in un ambiente pericoloso, di generazione in generazione.

L’aquila e la colomba

Il dibattito è appunto un crescendo d’odio, espresso attraverso una costruzione retorica e un lessico purtroppo ormai noti (Faloppa 2020, Petrilli 2020, Ferrini Paris 2019, De Mauro 2016), ed è impostato nello scambio tra l’aquila e la colomba. La prima interviene sentenziale individuando il male che attanaglia i volatili, spiegando che «gli umani ci cacciano, ci mettono in gabbia, ci friggono in padella / ci invidiano perché voliamo». Più che pregiudizi, sono la selezione di una parte, negativa per i volatili, del quadro relazionale tra uomini e uccelli, e l’aquila vi fa leva senza argomentare ma con immagini forti, d’effetto, che indignano l’uditorio; nel tratteggiare la situazione insiste anaforicamente su un noi inclusivo che crea una comunità vittima, a cui è indicato il carnefice, un’altra comunità (anzi: razza), ovvero un loro invidioso (peraltro della “nostra” superiorità) contro cui reagire con la separazione dalla razza umana, come proclama alzandosi scenograficamente in volo nell’eccitazione generale mentre intona come slogan la canzone Freebird dei Lynyrd Skynyrd. La colomba, da parte sua, replica invitando alla calma, cerca di mediare ricordando che «gli umani hanno fatto anche cose buone per noi» (dove noi è ancora l’intera comunità dei volatili, e riconoscendo implicitamente, con anche, le accuse dell’aquila), come l’invenzione del «becchime per i pennuti», ma l’altro la interrompe rovesciando il concreto becchime in un astratto e metaforico, spregiativo, briciole che sarebbero lasciate ai volatili (accontentarci delle briciole), e accusa di buonismo il suo interlocutore, invitando a sterminare tutti gli umani. La colomba, a sua volta, rilancia e riparte dal concreto, ricordando le casette-nido (ma l’esempio è sminuito, sempre per astrazione, dall’avversario sprezzante: «pfui! Un insultante costrutto borghese»), chiede all’aquila l’onere di dimostrare i benefici di una guerra agli umani, in sostanza gli unici ad apprezzare il canto di “noi” uccelli e con un’ammirazione per il volo tale da fare i birdwatchers (che l’aquila corregge per analogia in guardoni, denigrando l’attività con implicature sessuali).

Razzismo ornitologico

Di fatto non c’è alcun interesse per la posizione altrui, tanto che la colomba condanna l’atteggiamento negativo dell’aquila e questa ribadisce le sue immagini truculente («sono gli umani che ci cucinano al forno»), l’intento provocatorio di una delle quali («pensa a tutti quei tacchini ripieni») raggiunge il suo obiettivo in quanto la colomba reagisce offendendo («sei tu che sei pieno di idee idiote!») e da lì il passo è breve alla trasformazione dell’aggressività verbale nello scambio di insulti con rissa: «beccati questa, pacifista!» contro «te la do io la pace eterna», in cui pace è la base di parole per ferire e minacce; e «presuntuoso gallo cedrone» contro «sporco piccione collaborazionista», in cui il bestiario, oltre al consueto uso metaforico (il vanitoso gallo cedrone), implica anche un razzismo ornitologico (il piccione come inferiore al colombo), con tanto di reminiscenze da occupazione nazista. Entrambi, con effetto comico, riportano tra animali denominazioni denigratorie di animali, secondo l’antico topos della non-umanità degli inferiori.

Includere ed escludere con i pronomi

Le reazioni dell’uditorio sono di diverso tipo: chi si distanzia attraverso luoghi comuni («asteniamoci dall’immischiarci in faccende più grandi di noi / Tanto è ai rami alti che vengono prese le decisioni importanti»), chi invita a dibattere, prendendo parte, ma poi evita la discussione con il classico «è il mio umile parere, eh!», chi esprime l’orgoglio di essere uccelli, riconducendo le osservazioni della colomba a interpretazioni da autostima ipertrofica (con un lessico dotto ed enfatico: «non è forse il nostro canto melodioso una metafora dell’armonia che noi stessi dobbiamo creare, noi volatili araldi dell’amore universale?»), e chi interviene con rabbia ma a sproposito («basta con questa amicizia con i gatti!»). A poco a poco la compattezza del noi si incrina ed emergono le rivalità tra gruppi: lo struzzo si dissocia e dice «chiamatemi quando avete risolto», le gazze parlano di un noi esclusivo rispetto agli altri volatili con una ridondanza pronominale espressiva («A noi gazze ladre non ci va bene separar_ci_ dagli umani») e introducono l’epiteto voi secessionisti per gli avversari politici, denigrandoli («Non mi fido di voi secessionisti! Votate con un secondo fine! / Volete rubarci il nostro business?»), come specularmente le cinciallegre con voi buonisti, ai quali peraltro i fenicotteri non si rivolgono direttamente, considerandoli, con tanto di aggettivo dimostrativo in funzione deittica per renderli tangibili, «questi pennuti dai gusti così disdicevoli» che «vogliono mescolarci a dei bipedi implumi di bassa lega» (distinguendosi con scelte lessicali dotte da chi reputano inferiore). Si arriva così alla contrapposizione tra io/noi e tu, per cui al tucano che commenta «poveri umani, sono gente ammodo» c’è chi risponde «se ti piacciono così tanto gli umani, portali nel tuo nido!», e tra slogan furibondi del tipo morte alla supremazia umana, largo al dominio delle cinciallegre e fuori gli umani dai nostri nidi (ripetuto “a pappagallo” dal pappagallo) arriva l’attacco di io e voi, con lo struzzo che, stanco di tanta confusione, si scaglia con odio contro tutti urlando «adesso per par condicio vi meno tutti». Un simile comportamento da tacchino (cioè esagerato) indigna però il tacchino, perché quel comportamento gli ricorda la comune derivazione da una estensiva e metaforica covata, quindi ne prende le distanze, ipotecando le generazioni future: «non voglio più che i nostri pulcini giochino insieme». Tutti contro tutti, quindi, tranne lo “scemo del villaggio”, che è in verità solo vittima dell’imprinting, e si crede un essere umano, quindi estraneo al dibattito.

La scomparsa dell’interlocutore

Non è difficile in tutto questo riconoscere modalità e dinamiche comuni a situazioni analoghe di dibattito politico, e non solo legato alla Brexit o a un momento elettorale, in cui l’hate speech e il razzismo linguistico proliferano. A ben vedere, sono ripresi chiaramente lessico e fraseologie riscontrabili nelle discussioni ad esempio su Europa e/o migrazione (argomenti correlati nel dibattito sulla Brexit), per quanto trasposti nel mondo animale: ribellarsi alla supremazia [umana], separazione della [razza umana], ci invidiano perché [voliamo], volete rubarci il [nostro business], se ti piacciono così tanto [gli umani], portali [nel tuo nido], fuori gli [umani] dai nostri [nidi]. Quando nel terzo episodio avviene il referendum c’è tensione per l’attesa dei risultati all’interno di una polarizzazione sempre più radicale («l’unica soluzione è quella di creare società separate», «due fazioni distinte, incompatibili tra loro»), che passa dalla dimensione sociale a quella familiare, con una frammentazione via via più inquietante. Nel passaggio dal noi Vs. voi al io Vs. tu, infatti, aumentano i verbi e le fraseologie aggressive e demarcative di confini: mi disgusti, stai zitto, considerati mio nemico; fino a che io non si rivolge nemmeno più direttamente a tu: quanto disprezzo quel [tacchino] / che sparisca dalla mia vista; non voglio mai più aver a che fare con lui.

Cinguettii social

Le favole, dai tempi di Esopo, insegnano che gli animali possono dire molto di noi, e in questo percorso di parcellizzazione tutto evoca la situazione umana, a partire dal lessico d’uso della politica, con espressioni quali buonisti, secessionisti, pacifista, e termini più tecnici, per quanto sempre di uso comune, quali par condicio, referendum, leader, nonché cliché giornalistici quali allarme astensionismo e richieste – quanto mai tornate in auge nel recente caso statunitense – di invalidare le elezioni. E tra tanti volatili non possono mancare i cinguettii, quindi twitter, ed ecco il cliché giornalistico i social non danno tregua e verbi ed espressioni proprie dell’ambiente mediatico, quali «adesso blocco tutti questi guerrieri dei tweet» e io gli tolgo l’amicizia.

Un riso non sempre liberatorio

L’effetto comico non manca, anche in puro stile vignetta umoristica, per cui il gufo (abituato a scrutare nella notte) diventa scrutatore al referendum, dove la scheda viene inserita nel becco a sacca del pellicano usata come urna elettorale. Tuono Pettinato usa anche insulti palesi (infame), ma soprattutto espressioni risibili (cappone gonfiato, fricchettone spennato), compresi gli inviti quali «vai a cacare sui monumenti», ossimori del tipo stimabile mangiacadaveri con cui l’aquila blandisce l’avvoltoio, riabilitando un’espressione spregiativa, o ancora dei paradossi: lo slogan di Vittorio Arrigoni stay human usato dai volatili contro il secessionismo o le già citate metafore ornitologiche. La disgregazione è la medesima messa in scena da Ivano Marescotti nel celebre monologo sul referendum per l’indipendenza della Romagna, e fa ugualmente ridere. Il comico però rivela spesso questioni rilevanti, e il riso non deve essere necessariamente liberatorio.

Bibliografia

De Mauro T. (2016), Le parole per ferire, in “Internazionale”, 27 settembre 2016.

Faloppa F. (2020), #Odio. Manuale di resistenza alla violenza delle parole, Torino, UTET

Ferrini C., Paris O. (2019), I discorsi dell’odio. Razzismo e retoriche xenofobe sui social network, Roma, Carocci

Petrilli R. (a cura di) (2020), Hate speech. L’odio nel discorso pubblico. Politica, media, società, Roma, Round Robin

Il ciclo Derive e frontiere. Scorribande nella lingua e nei linguaggi di fumetto e fantascienza è curato e scritto da Alberto Sebastiani. Qui sotto, l’elenco delle puntate già pubblicate:

Immagine: Tuono Pettinato (Andrea Paggiaro) a Lucca Comics and Games 2012

Crediti immagine: Niccolò Caranti, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons