«2020, written by Stephen King» è un meme ben riuscito che sintetizza un giudizio comune rispetto all’anno passato. Un anno nel quale abbiamo imparato a familiarizzare con frasi del tipo: «I tamponati positivi, anche se asintomatici, dovranno autoquarantenarsi per evitare che le loro goccioline li rendano dei superdiffusori» (Antonelli 2021: 7). In effetti, la competenza lessicale degli italiani si è arricchita di parole tecnico-scientifiche, di neoformazioni, anche occasionali, in un lasso di tempo molto ristretto, tanto che il fenomeno ha interessato anche testate generaliste. La questione linguistica è però seria: in questo periodo chi ha risposto alla domanda “che cosa sta succedendo?” ha usato parole inizialmente ignote a molti, poi familiari. L’attenzione era inevitabile: per tutti era necessario capire cosa stesse avvenendo e come comportarsi (Guigoni Ferrari 2020, Boccia Artieri, Farci 2020). Per molti, istituzioni comprese, è stato necessario alfabetizzare con glossari o piccoli dizionari della pandemia. In ambito linguistico, il sito dell’Accademia della Crusca ha ospitato e raccolto numerosi interventi di studiosi, e il portale Treccani.it ha registrato i neologismi e per il progetto “Le parole valgono” ha pubblicato “Le parole del Coronavirus”. Gli studiosi hanno registrato e analizzato quasi giorno per giorno la narrazione della pandemia, anche nella retorica politica, di Trump e Bolsonaro, Orban e Johnson, Le Pen e Salvini, Conte, Merkel e Macron, nella produzione di metafore, tra cui quella bellica (Grandi Piovan 2020, Elia 2020), fino ai diari minimi degli studenti di corsi universitari in DAD che hanno allestito glossari con un “Nuovo lessico famigliare” per esprimere la situazione.

La lingua infetta

Una descrizione complessiva è stata offerta da Claudio Sgroi (2020) e da Daniela Pietrini, che con La lingua infetta ha offerto una sintesi della rielaborazione linguistica della pandemia, a partire dall’importanza della funzione neologica, «ossia la capacità di reagire ai cambiamenti della tecnica, della conoscenza e della sfera sociale adattando il lessico a situazioni ed esperienze nuove» (Pietrini 2021: 13). Ha così ricostruito la cronologia della denominazione del fenomeno (dal preciso 2019-nCoV al generico ma comprensibile coronavirus, fino a Covid-19 e Covid), l’apparizione di neologismi, dei derivati per prefissazione (anti-Covid, pre-Covid, post-Covid…), dei composti Nome+Nome (decreto Covid, pazienti covid…) o Nome+Aggettivo (covid positivo, covid negativo…), di composizioni occasionali come divisa Covid. Ha analizzato le espressioni legate al concetto chiave della distanza, la diffusione di marchionimi come amuchina e del lessico specialistico relativo a sintomi, terapie, strutture, oggetti come mascherina (chirurgica e sanitaria, FFP1, FFP2 e FFP3…). Un lessico arricchito dal burocratese con lavoratori fragili, congiunti, affetti stabili, tracciamento dei contatti, segnaletica di movimento, rime buccali…, dalla politica con DPCM, patente di immunità, Fase 2, ripartenza, nuova normalità…, dagli slogan Milano non si ferma e Io resto a casa e dai loro hashtag, rilanciati, variati e parodizzati dai social.

La Pietrini ha anche osservato le pubblicità e l’ambito umoristico, ma non la narrativa letteraria, dove non sono mancati tentativi di raccontare la situazione, come ha spiegato Giulio Mozzi già nell’agosto 2020 sul blog di Bottega di narrazione, e come testimoniano Nel contagio di Paolo Giordano (Einaudi), Come il mare in un bicchiere di Chiara Gamberale (Feltrinelli), l’antologia Andrà tutto bene (Garzanti), né il fumetto. Ne approfittiamo per focalizzare quest’ultimo ambito, che ha prodotto opere collettive come My Covid in Comics, o COme VIte Distanti e COme VIte Distanti. Sei mesi dopo, ma soprattutto un “diario”, il racconto di Leo Ortolani durante il confinamento, composto da strisce postate quotidianamente su Facebook e Instagram dal 7 marzo al 4 maggio 2020. Strisce poi raccolte in Andrà tutto bene (Feltrinelli Comics, 2020), che è un volume particolare, una «opera liminare tra fumetto digitale e cartaceo», in cui Ortolani ri-media il fumetto: se il webcomic presentava vignette singole in successione verticale, nel libro la loro sequenza è in orizzontale, una per pagina così da mantenere la scansione (pur perdendo di suspense) e richiamando lo swipe nel continuo sfogliare per procedere nella lettura (Aletta 2020).

Il momento di Covidio, il coronavirus fatto uomo

Ortolani è celebre soprattutto per la serie Rat-Man, il cui umorismo mescola parodia, slapstick, wacky comedy e oscilla tra registro serio e comico. L’italiano dei suoi testi è sostanzialmente standard per il sistema verbale, con numerosi tratti neostandard per imitare l’oralità, e in cui appaiono termini letterari, aulici o di uso comunque raro, trascrizioni fonetiche bizzarre, citazioni di ogni tipo (Tavosanis 2012, Gadducci Plazzi Tavosanis 2005, Sebastiani 2003). Una commistione che, per Andrà tutto bene, si è arricchita del lessico della pandemia, offrendone una rielaborazione umoristica in storie raccontate attraverso monologhi, dialoghi e narrazioni riconducibili a diversi generi. Siamo nel modo fantastico, e basti pensare che tra i personaggi, oltre a Leo Ortolani (alter ego dell’autore) e la sua famiglia, c’è Covidio, un coronavirus antropomorfizzato. Siamo quindi anche nel territorio del comico, in cui vengono rivisitati (cliché di) diversi generi letterari e tipologie testuali, dal what if? al postapocalittico, dalla spy-story alla parodia e alla fantascienza, dal pastiche in stile biblico all’intervista televisiva e dalla pubblicità all’aneddotica. Vi ritroviamo l’oscillazione emotiva diffusa nel periodo della quarantena e gli appelli a stare a casa, le file al supermercato, i consigli su “che fare in casa” dei vip, le canzoni al balcone, gli improvvisi desideri di praticare attività sportive all’aperto o di portare a urinare i cani, la quotidiana conta dei contagiati e dei morti, il problema dei posti letto in ospedale e della gente che cerca di aggirare il confinamento, le domande sul futuro, i dubbi sul tracciamento, le interpretazioni dei Dpcm. Alla Ortolani, ovviamente; così ad es. quando la didascalia annuncia che «Un noto sito porno ha concesso all’Italia di accedervi gratuitamente» (notizia vera: Pornhub rese gratuito l’accesso ai suoi servizi Premium nel mese di marzo), Leo davanti al computer commenta ironico: «Ma trovi solo filmati dove gli attori devono stare almeno a un metro di distanza», riferendosi alla distanza minima interpersonale raccomandata, poi aggiunge in un secondo balloon «Ah!», mostrando sorpresa per quanto avviene nel video, e nel terzo chiosa: «Bel tentativo, Rocco!», alludendo al pornoattore Siffredi (p. 177).

Ogni striscia si apre con l’indicazione “[numero ordinale] giorno di zona rossa”, la data esatta è invece quella del post, che su Facebook (Leo Ortolani Official and Gentleman) presenta anche un breve testo introduttivo; in alcuni casi sono dei consigli (sempre in stile Ortolani), l’8 marzo ad es. scrive:

Nel caso vogliate sapere cosa sta succedendo là fuori, invece di leggere le catene di uozzap, dove passa di tutto, anche la ricetta per il coronavirus senza uvetta e canditi, ma allora prendetevi un’influenza classica e spolveratela di zucchero a velo, seguite il sito web del Ministero della Salute, www.salute.gov.it

In altri, ad es. il 22 marzo, sono commenti alla situazione, anche attraverso hashtag in dialogo tra loro, che compongono così microracconti:

Domenica è sempre domenica.

Il 24 marzo il commento è anche metalinguistico e metatestuale, sulla striscia che presenta battute in un improbabile dialetto norditaliano di montagna:

Il picco.

Quando lo raggiungeremo?

Scusate il mistone di dialetti, non ne so uno, ma mi piace giocare con i suoni che emettono i vecchi montanari.

Piccoli picchi ludici

Il picco, in questo caso, è la vetta della montagna che Leo vuole raggiungere e di cui chiede informazioni all’anziano Töni fuori dal rifugio “Quarantin”, ma è una metafora che gioca sulla polisemia di picco, usato anche per indicare il momento di massima diffusione dei contagi del Covid-19, nonché, nell’esempio, negli hashtag, come parte di “_picco_lo principe”, il personaggio di Saint Exupéry. È un esempio di come Ortolani rielabori il lessico della pandemia attraverso le potenzialità ludiche della lingua, così da abbassare comicamente gli eventi per contenere la paura che provocano. Le parole e i concetti chiave della pandemia sono ben presenti nel “diario”: i tecnicismi coronavirus, covid-19, covid, quarantena, tampone, vaccino, virologo, virus, le espressioni persone positive, negativo al tampone, terapia antibiotica, emergenza sanitaria, regole della quarantena, immunità di gregge, soluzione idroalcolica, i verbi contagiare, isolare e intubare (e reintubare), e i derivati contagioso, contagio, contagiato (sost.), la struttura reparto di terapia intensiva, il medicinale cortisone, il marchionimo amuchina (e muchina), nonché gli elementi della divisa covid, ovvero mascherine, guanti e camici. Si parla poi, come su tutti i (tele)giornali, di curva e numeri del contagio, di numero dei contagi o dei decessi, di tipologie di protezione, esperti, sicurezza sanitaria, e di normalità (in grassetto in un caso, per enfatizzarne il desiderio, p. 59), ma anche di runner, corsette, e di no-vax (anche univerbato: novax). Legati alla burocrazia e alle normative abbiamo l’immancabile autocertificazione (e il verbo autocertificarsi), le restrizioni della (o imposte dalla) quarantena, zona rossa, misure di contenimento, limitare gli spostamenti, fase 2, congiunti, e dispositivi per tracciare il contagio. A partire da questo lessico si elaborano però neoformazioni come pizzatonina, la cui carenza si verificherebbe nel mondo alternativo in cui la pandemia è stata provocata dal mangiare la pizza, o maskemoticon, le mascherine espressive per capire lo stato d’animo di chi le indossa. E se l’informatica offre «app sul telefonino che ci permetteranno di individuare chi è contagioso, intorno a noi», forse hanno qualche difetto, perché Leo trova Bulbasaur del videogame Pokemon (p. 370). Incontriamo inoltre l’onomatopea cooo-ccovìd! (il richiamo per virologi, p. 462), il finto anglismo pandy per pandemia («kiss mai ass, pandy!», p. 520), e continui giochi di parole che agiscono appunto sulla polisemia («ho preso il virus / “happy 99” / ho aperto un allegato senza guanti», p. 197), attraverso malapropismi («ci sono tanti morti da cremare», e il goloso si presenta col cucchiaino, p. 220), modificando cliché («ho fatto un assalto al supermercato», p. 58) o evidenziandone i limiti: al compleanno della madre, Leo le dice «cento di questi gio», ma si interrompe e commenta «ah, no» (p. 304) perché nessuno vuole augurarsi di ripeterli. I giochi di parole permettono inoltre allusioni intertestuali, come con il racconto di Saint Exupéry, o, come l’8 aprile, surclassando il Premier Conte con il titolo onorifico usato da Fantozzi per i suoi superiori: «Altro che Conte! Ducaconte!»

Conte è uno dei personaggi ricorrenti del libro: sempre sorridente, dalla televisione entra in scena il 31 marzo annunciando che «la quarantena durerà altre 15 strisce di Ortolani» (p. 217), fa il pesce d’aprile annunciando la fine del contenimento (pp. 226-234), a metà mese chiede di non respirare fino al 3 maggio («severo ma giusto», commenta Leo, p. 343), garantisce che «Andrà tutto bene» («dai, non spoilerare», gli intima Leo, p. 351) e tutti i giorni attende la striscia di Ortolani (p. 477). La sua presenza nella vita degli italiani è tale che il suo nome entra come sostantivo nel lessico comune dei bambini, che giocano a «un due tre... conte», dove sostituisce stella in quanto costringe a stare immobili (p. 429), e diventa il nome per antonomasia dell’impossibilità di uscire, come testimonia la domanda in dialetto parmigiano da rivolgere all’amico la cui moglie gli impedisce di passare la serata fuori casa: «Chi ét sposé, Conte?» (p. 444).

Il tampò dialettale

Per generare effetti comici è quindi usato anche il dialetto, inventato come nell’intervista a Töni o reale, il parmigiano, che rielabora il lessico della pandemia in neologismi del tipo intubè (< intubato) o novax intubè per inetto o incapace, coronabàli (< rompabàli, in parmigiano lo scocciatore) per ospite che non se ne va, tampò (< tampone) per tamponamento (pp. 446-449), oppure accostando registri diversi, per cui dove la didascalia recita drammaticamente «anche negli ospedali, mascherine, guanti e camici scarseggiano e vengono adottate nuove tipologie di protezione..», il primario chiede al medico: «Vuoi la collana d’aglio, il ferro di cavallo o la grattata di coglioni?» (p. 219). Abbassando il registro, la battuta si esplicita in una climax ascendente, ed è molto amara, come nelle parodie di titoli di film che dialogano con il lessico della pandemia, del tipo Resta a casa, Lassie o Zanna rossa (pp. 375, 377). Lo humor nero ha però anche chiose drammatiche: per 4 bassotti per un degente, sul modello Quattro bassotti per un danese, a fondo pagina è riportato tra parentesi: «(in totale fanno 119.676 bassotti, al 17 aprile)» (p. 376).

Parodie di titoli e intertestualità

Le parodie dei titoli sono una delle tante forme di intertestualità presenti. Sia interna, ad es. quando appaiono l’editor Andrea Plazzi (p. 28), già in altre storie di Ortolani, o Rat-Man (pp. 401-409); sia esterna, rivisitando all’insegna della pandemia film, testi sacri, canzoni, programmi tv, fumetti, anime, pubblicità, serie tv, videogiochi. Così, per limitarci a pochi esempi, in Mission impossible Tom Cruise dovrebbe fare la spesa senza mascherina (p. 115), nel Vangelo Gesù predica alle folle, ma «vengono tutti denunciati per assembramento e sanzionati con una ammenda di 206 euro o la reclusione fino a 3 mesi» (p. 78), Io penso positivo di Jovanotti diventa Io sono positivo (p. 182), La macarena invece Quarantena (pp. 102, 256), e chi si sentiva al sicuro grazie a programmi come MasterChef non si capacita che «tutto �� successo perché uno si è mangiato un pipistrello!» (p. 121) ed è arrivato Covid-19, mostro a due teste contro cui dovrebbe intervenire Burion-Z, ovvero il robot Mazinga-Z ribattezzato con il nome del virologo Burioni (pp. 164-171), ma Ryo Kabuto, il pilota, è uscito a portare fuori il cane (p. 172), vero e proprio leitmotiv del libro. Nel libro (e nella realtà) è infatti la scusa che permette a chi ne possegga uno di uscire di casa, cosa che fa anche Leo, che però è anche spaventato e minaccia tutti riformulando la pubblicità di Stream tv in «mo’ ve lo buco, quel [pallone>]cane!» (p. 273). E chi poteva essere il paziente zero se non Batman? In effetti, la sua maschera «copre tutto il volto, tranne il naso e la bocca» (p. 122). Peggio può fare solo Jason di Venerdì 13, che quando starnutisce perde il muco dai fori sulla maschera (p. 13).

Se però i disegni da un lato mostrano tutte le tipologie di mascherina note, dall’altro si sbizzarriscono nel campo semantico del termine: ci sono maschere antigas, dei supereroi, per le rapine (p. 242), o di carnevale, accompagnate dai coriandoli (p. 241), poi i personaggi della commedia dell’arte (p. 218) e Rat-Man, rimasto in casa davanti al computer per tutto il confinamento ipnotizzato dai siti porno gratuiti. Ora vede tutti col viso coperto e si chiede se l’islam abbia vinto (p. 403), mentre i cosplayer a Lucca vestiranno la divisa covid, o da Jack Sparrow, che in Pirati dei Caraibi. La maledizione del forziere fantasma (2006) si scontra con il mostro Kraken, i cui tentacoli sul viso ricordano la condizione degli intubati (p. 187). È un’analogia, chiarita ponendo il personaggio in primo piano e il paziente nel letto sullo sfondo. In effetti, non sono poche le funzioni retoriche dell’immagine: il sole che diventa un coronavirus sotto gli occhi di Leo che vuole godersi una bella giornata è metafora dell’ossessione pandemica (p. 237); Madre natura con le forme di Cicciolina è la personificazione ironica della generosità e della prosperità in un immaginario che attinge agli anni ottanta (pp. 133-135); il mago che legge il futuro è metonimia dell’ansia di capire cosa potrà avvenire (pp. 287-296). E in questo mondo possibile Covidio non è un mostro: è anzi spaventato, braccato (p. 35), preoccupato di ammalarsi a sua volta quando vede Leo starnutire (si allontana dicendo: «ne riparliamo tra 14 giorni», p. 47), in ansia come tutti gli umani per la sua famiglia, messa a rischio dall’uso delle mascherine: nonno Sars, che potrebbe raggiungere Ebola in Africa, viaggiando con l’Aviaria, e negli Usa Whattevirus (pp. 250-251).

Dall’humor nero al drammatico

Ortolani attraversa quindi i generi del comico, fa autoironia parlando del dramma degli appassionati di fumetto che non potranno andare a Lucca Comics (pp. 182-190), humor nero quando dice che, paradossalmente, Covidio è diventato «come uno di famiglia», «come il nonno» a cui è «rimasto accanto fino alla fine», l’unico perché «a noi non ci facevano entrare in ospedale» (p. 455), e fa satira quando inscena una puntata del vecchio programma televisivo “Giochi senza frontiere”, allegoria della reazione dell’Europa alla pandemia, dove però non vince nessuno (pp. 257-266), o con il documentario che offre il bestiario del momento: animali chiamati virologi, una specie da studi televisivi o social i cui maschi per scontrarsi gonfiano la mascherina, il complottista dal ciuffo zampetta, il frottolone a pelo lungo (da frottola: bugia) simile al virologo ma che vive su whatsApp (il suo verso è: uuuuòz!), e il tasso dei contagi che vive in cima al picco (pp. 461-468). Ma Ortolani dall’humor nero sa anche arrivare al drammatico quando, il 18 marzo, affronta la questione del numero dei decessi. Quel giorno, per Leo, non sono 62. Scandendo le battute in due balloon, dice: «oggi sono morte 61 persone»; «e il signor Maestri» (p. 109). È il partigiano che andava a parlargli a scuola da bambino. I dati astratti della macrostoria si concretizzano così negli affetti della microstoria, passando dal generale al personale. E ciò vale per tutti, ed è in questo che la versione di Ortolani si fa collettiva.

Bibliografia

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Il ciclo Derive e frontiere. Scorribande nella lingua e nei linguaggi di fumetto e fantascienza è curato e scritto da Alberto Sebastiani. Qui sotto, l’elenco delle puntate già pubblicate:

L’immagine di copertina è una tavola (p. 110) di Andrà tutto bene di Leo Ortolani, edito da Feltrinelli Comics, 2020. Si ringrazia Feltrinelli Comics per la gentile autorizzazione alla pubblicazione.