Raccolta differenziata
A otto anni di distanza da Mappe del genere umano (Scheiwiller, 2012), per la casa editrice indipendente Industria&Letteratura – come primo titolo della collana “Poetica” diretta da Gabriel Del Sarto e Niccolò Scaffai – Flavio Santi firma Quanti (truciolature, scie, onde, 1999-2020) vincendo il Premio Viareggio-Rèpaci 2021. No: Santi, che adesso è soprattutto traduttore (ultimissime fatiche Poe e Stoker) e prosatore (di giallistica soprattutto), non si tradisce, nonostante abbia a lungo giurato, in pubblico e in privato, di non scrivere più versi, di aver smesso, come si trattasse del fumo. Non si tradisce perché, come ammesso in una nota al testo destinata all’autodistruzione, Quanti raccoglie poesie tenute da parte e mai pubblicate («mai confluite in un libro organico») oppure edite su rivista, antologia e quant’altro. Le prime sono, da titolo, truciolature, involuzioni che rimangono dopo un lavoro col legno: raccogliere i trucioli che si depositano sul pavimento dopo aver, che so, fabbricato una porta, significherebbe mettere un punto, kaputt; sono il Lapidario degli incipit, poemetti o pseudopoemetti troncati sul nascere (ci ritorneremo). Le seconde sono scie, perturbazioni nel contesto di un cursus honorum autonarrativo tanto integerrimo nel caso di Santi quanto, e questo è il gioco, il suo contrario: perché la logica scrittoria, se non è solamente ironica (cioè dissimulata), è parodica; quindi le Memorie dello schermo di vetro. Infine le terze sono onde, ancora perturbazioni che dietro trascinano energia, e sono poesie d’amore per Chiara, assolutamente – come ha ammesso durante la presentazione alla Libreria Il Delfino di Pavia – autobiografiche, occasionale sovrapponibilità tra io e io.
A otto anni di distanza dall’ultimo libro Santi dà esattamente cosa promette, un libro di rifiuti differenziati (non me ne voglia, perché vorrei inserirli nella serie sbarbariana a lui tanto cara, tra i frantumi, i rottami; e perché no, in aggiunta, gli scartafacci pavesi). Rara coincidenza questa, tra annuncio e fisica del testo (domanda seria: avete notato il chiasmo tra titolo e titoli di sezione?).
Critica degli scartafacci
Rarissima infatti. Ora: oltre ai Quanti e alle Mappe, Santi ha pubblicato altri cinque titoli. L’esordio Viticci (Stamperia dell’Arancio, 1998), Album (En plein air edizioni di Meri Gorni, 1998), Rimis te sachete (Marsilio, 2001), Asêt (La barca di Babele, 2003) e Il ragazzo X (Ed. Atelier, 2004). Cominciate a rompere le bacchette ecdotiche, perché a volergli fare le pulci, qualche bugia la dice. La prima sezione, dedicata a Chiara (l’esergo einsteniano non mente, nel campo semantico della luce), è un ampliamento delle Costatazioni (per C.), ultima sezione di Viticci. Qui, per entrare nella materia incandescente, riporto uno dei testi non ricuperati:
Au revoir, mio buon cuore, sono legato
alle parole come a rondelle
di ruggine, il ferro ha
resistito fino al quarto soffio pof,
al terzo noi si aveva già speso la
paura, dal secondo al primo
erano passate tutte le frange
dalla creazione, da Adamo
innominato, dal tiepido della
sua costola inattuale al
fondo di tutto, mio buon cuore fra le
onde tira le corde, légati, riassùmiti
dove le vene danno uno spiazzo
bianco e pulito a
“ciò che non c’è più”.
Sempre bacchette alla mano, dalle edite nel 1998 (ehm, ma il titolo non dice 1999-2020?) a queste più recenti il lavoro di lima ha una direzione chiara: ripristinare il verso contro l’enjambement tra articolo e preposizione e sostantivo, per una pronuncia più completa. Da, per esempio:
a partire dalla
finestra amara tra le
venette degli
stipiti.
A:
a partire
dalla finestra amara
tra le venette
degli stipiti.
Nel fandom non ci si sorprenderà. Le Mappe sono, da progetto, un recupero e una risistemazione, con qualche aggiunta, di Viticci e Il ragazzo X (che diventa Ragazzo X). Questo ritorno su modi già collaudati, intanto di raccolta e risistemazione, è la cifra di un’ossessione. Santi si esprime per tarli (quasi una cospirazione…) quindi, considerando – mi sembra – i propri testi al modo di versioni in traduzione, per cui cambierebbe un verso, una parola (gongolandosene in una recente intervista di Mauro Querci su «Panorama») ad infinitum. Altrimenti come si spiega la poesia di Pessoa così impiantata nel libro?
La fisica quantistica
Infine i Leitmotiv sono tematici, sono rovelli. Già nelle Mappe, in nota, l’idea, un po’ stramba ma sostanzialmente rivoluzionaria, di assomigliare la forma poemetto (narrativissima) con i fasci di quanti (cosa, mi sembra, che di meno narrativa non si può):
Tanto più cialtronesco quanto più tragicamente probabile, [Ragazzo X] vorrebbe essere il primo esempio di poemetto quantico: la meccanica quantistica, che ha definito la nuova fisionomia del mondo fisico (il principio di indeterminazione, la natura ondulatoria della materia, la reversibilità del tempo ecc.) e ha già cambiato il panorama del romanzo e del cinema (da Philip K. Dick a Thomas Pynchon fino al Signore del male di John Carpenter e alla trilogia Matrix dei fratelli Wachowski), si insinua adesso in poesia. Deliri ucronici e spazio-temporali: l’androide Roy di Blade Runner nel suo congedo dal mondo (“ho visto cose che voi umani…”) ha la stessa intensa e poeticissima drammaticità dell’ “ermo colle che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude” dell’Infinito leopardiano.
Ragazzo X in effetti racconta le avventure contemporaneissime di un clone di Giacomo Leopardi. Seguono altre due sezioni, in Mappe: La clonazione altrui (appunto) e Batteri (un’altra vita è possibile?). Rovelli, ripeto, tematici, che partono dall’immaginario fantascientifico; immaginario che sembra lasciare spazio a un atteggiamento, quasi degli studi di cultura visuale. Le Memorie dello schermo di vetro sono prima di tutto racconti di secondo grado (ecco la parodia), l’io lirico si pone, sempre, di fronte a un’inquadratura, dalla finestra che chiude il nevischio, per la televisione, fino al frigorifero che, riflettendo anche nella poca propria luce di servizio, crea un doppio, ancora un clone:
L’occhio è stato colpito
da un riflesso: era lui…
ce ne stiamo
muti l’uno di fronte all’altro
io a sgranocchiare mandorle,
lui a produrre ghiaccio
nel suo testone blu elettrico
che lo fa pensare molto.
Per fortuna, in questi Quanti, le memorie non sono dallo schermo di vetro ma dello. Significa proiettare la liricità, se si vuole, in altro, per esempio Giusva Fioravanti, terrorista, o letteralmente un’«area dismessa» che si anima come in uno dei migliori episodi di Love, Death + Robots (Stagione 1, The Dump).
I puntini sospensivi
L’idea, pienamente nell’aria, che «la vita succede / come alla tele» (ancora: «Oggi l’occhio del video / parla per tutti noi»), va oltre, cioè mantiene a memoria l’ossessione quantistica, perché Il lapidario degli incipit (in coda a una poesia che idealmente già chiude la raccolta, Luce, speculare all’intera sezione per Chiara) sembra metterla anche in forma. Dopo le ultime scoperte della fisica non è più possibile descrivere pacificamente la realtà. Con le parole di Carlo Rovelli, in Sette brevi lezioni di fisica:
Le equazioni della meccanica quantistica e le loro conseguenze [...] non descrivono cosa succede a un sistema fisico, ma solo come un sistema fisico viene percepito da un altro sistema fisico. Che significa? Significa che la realtà essenziale di un sistema è indescrivibile? Significa che manca un pezzo alla storia? O significa, come a me sembra, che dobbiamo accettare l’idea che la realtà sia solo interazione?
Insomma, questi incipit monchi, queste non-poesie, se partono dalla volontà – che non metterei in secondo piano – di Flavio Santi di liberarsi della cantina sporca, di spazzare via i trucioli, quindi diventando l’occasione di una totale dismissione, di una sciatteria programmata che diventa, teoricamente e praticamente, la sua negazione, la tanta agognata inermità; arrivano invece a configurarsi come il nucleo fondamentale, una sorta di camera oscura della raccolta. La realtà, politica soprattutto, è indescrivibile e forse può emergere per interazione, per completamento:
Che fine ha fatto la mia bile? La mia proverbiale
bile? decline come un fiore di spatifillo
la mia ira è diventata domestica…
…………………………
…………………………
…………………………
…………………………
Senza perdere di vista che più ci si avvicina alla fine più il verso si allunga (quando è breve la tessitura fonica è più densa), si fa pericolosamente prossimo alla prosa che, già sulla soglia in The Football Chronicles, irrompe in Oltre, la sezione-non sezione che chiude il libro (ecco, dimenticavo questo). Qui un unico testo, Così minacciosi, una sorta di Apocalisse biblica molto sbrigativa, anzi: una peripezia.
L’io e l’altro
Questo strano materialismo lirico mi ricorda la vera ossessione. Come scrive Emanuele Trevi in prefazione alle Mappe, l’io di Santi è «sempre un Altro e questo altro è il Mondo». Da qui l’amore per le figure storiche e letterarie, correlativi oggettivi di altrettanti universi, veri e propri squarci, aperture (Simón Bolívar, Amedeo Nazzari, Yvonne Sanson, Pietro Mennea, Valery Borzov, Barabba, Gesù, Pasolini – in Rimis te sachete: la raccolta, ovviamente in dialetto, più “personale” – Adolf Hitler, Bertolt Brecht, e via discorrendo). Il senso di realtà è l’ossessione ed è difficile toccarla (in un colloquio personale: «Demetrio, non siamo forse solo fasci di quanti?»):
Scusa: sollecitare la realtà?
Che gran cretinata: il sale
sul sangue fa male perché lì
c’è sangue e sale, di grammatica nient’altro.
(In forma di poetica blesa da La clonazione altrui)
L’immedesimazione dello scrittore arriva anche alla macchina. La Macchina di Turing mette in scena il sogno lucido, in sostanza, di un’intelligenza artificiale (o di un suo antico progenitore) e del suo nastro infinito:
Un enorme mal di testa
si è accaparrato i nodi del cervello
ma dalle nostre parti il dolore
è sempre finzione, abrasione del sole…
… inutile che mi si dica fingi, copia da noi
io ho imparato meglio di voi…
Anti-impressionismo
Nel poemetto a Pasolini, Flôr e mòscjis, quasi in un’autoprofezia, Santi scrive (cito già in traduzione): «Tu puoi anche pensare / e non rimare, più. / Soltanto avanzi per la strada, / che non dormono loro e tu neppure: / tu puoi anche non rimare, più.» Io continuerò a pensare che più si va verso la conclusione di quest’ultima fatica per Industria&Letteratura, più i versi siano recenti, addirittura contemporanei. Perché la commistione con la prosa, in un autore così breve nei versi, così denso, è fin troppo diventata ontologia della scrittura, e quindi non può che essere il risvolto di questo periodo, questa contemporaneità nella traduzione e nella narrativa di genere.
L’ultima cosa che rimane è: come si legge questo libro? Da sinistra a destra, cioè come si presenta, come una fila di lucidissimi bidoni? Sì: ma con la curiosità del feticista, dell’ossessivo. Non dico che se ci avviciniamo agli infinitesimali le cose non si distinguano: ma Quanti (di noi, come aggiunge Santi ogni volta che presenta il libro) è proprio il libro che raccoglie, in-distintamente, poesie d’amore, private se non privatissime, lirica, poematica o quasi, politica. Il disegno è invisibile da lontano (come per lo spettatore che si allontani dal quadro, e veda gli impressionismi per magia); è visibile solo a distanza di naso.
Immagine: Artwork "Narcissus Garden" by Yayoi Kusama at Inhotim in Brumadinho/Brazil
Crediti immagine: Stephanie Torres from Belo Horizonte, Brazil, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons