Alfredo Palomba, dottore di ricerca in Letterature comparate, docente nella scuola secondaria, già protagonista al Premio Calvino 2017 e al Premio Strega 2020, nonché collaboratore de «Il Foglio», ha liberato in prosa nazionale voce, linguaggio, pensieri di una delle figure più richieste e complesse della Scuola pubblica: il docente di Sostegno. Quando le belve arriveranno (Wojtek Edizioni, Napoli, 2022) è l’espressione del flusso di coscienza legato alle quattro stagioni dell’anno scolastico di un professore del Sud, sbattuto in un paesino del Nord senza alternative, per provare a raggiungere l’autodeterminazione, per scappare dalle macerie della sua famiglia. Un libro di denuncia: dello stato delle nostre classi: della deriva di mentori, discenti e amministratori.
Si comincia con un’aspettativa. La compilazione del modulo on line d’inserimento nella GPS (le graduatorie provinciali per le supplenze) della classe di concorso A012 (discipline letterarie negli Istituti di istruzione secondaria di 2° grado), accanto a una sindacalista, in una stanza traboccante di muffa, dopo averle dato trenta euro per il tesseramento, nella speranza di evitare di sbagliare gli intricati passaggi sul sito del Ministero dell’Istruzione. Così si sbarca sul mercato dei docenti.
Settimane trepide di incertezza, ad aspettare la fatidica chiamata della segretaria, che arriva all’improvviso: «La chiamata è per il sostegno […] forse ho tralasciato di dirglielo. Un caso… grave. Ma sono diciotto ore, è un tempo pieno, vede» (p. 14).
ADSS e lo stereotipo
Il protagonista è un laureato in Lettere che si ritrova una cattedra sul Sostegno nel Liceo Artistico a causa dell’esaurimento della graduatoria della classe di concorso ADSS (Sostegno scuola secondaria di II grado). Terminati gli aspiranti a disposizione, l’ufficio provinciale si muove con le graduatorie incrociate, tirando dentro i docenti delle altre classi di concorso. A questi ultimi viene proposta un’opportunità che implica l’acquisizione di metà del punteggio annuale, ma a spaventarli è la mancata esperienza e talvolta la poca predisposizione all’incarico, accettato per spirito di sopravvivenza. E come se non bastasse, ad aleggiare ancora oggi, nonostante la legge n. 170, datata 8 ottobre 2010 – che ha riconosciuto i disturbi dell’apprendimento e richiede un grande apporto della classe ADSS –, è l’opinione dei ragazzi: in media non ritengono sullo stesso livello il docente di Sostegno con quello della materia, secondo uno stereotipo inconcepibile.
Burocrazia e realtà
L’avventura comincia. Un treno di notte, a settembre. La prenotazione di una topaia in un bed and breakfast economico, a pochi chilometri dalla scuola. La narrazione procede su due livelli: il privato, che scorge il rapporto logorante del protagonista con la madre alcolizzata, capace di affollare di ansie i suoi slanci di vita, già svuotati dall’assenza di un padre e segnati dalla presenza simbolica di una nonna inferma, prigioniera in un letto, ribattezzata nonna-pianta; il pubblico, chiamato scuola, nella speranza di addentare una vita sociale e perché no, perdere la verginità.
Dopo la firma della presa di servizio in segreteria, arrivano le istruzioni in aula creativa della responsabile del Sostegno. L’immediato avvenire si chiama Haochen: un ragazzo di seconda superiore sulla sedia a rotelle, cinese, mansueto. Il fascicolo della diagnosi è durissimo: codice della patologia F73, “ritardo mentale profondo”, al quale si associa il codice G82.5, “paralisi cerebrale infantile”. E non solo: lo studente soffre di epilessia, tetraplegia, microcefalia. Un docente di Lettere, alle prime armi a scuola, si ritrova a dover sostenere riunioni con neuropsichiatri, a lavorare in sinergia con educatori di cooperativa e a redigere documenti delicati come il PEI (Piano Educativo Individualizzato) e il PDF (Piano Dinamico Funzionale), le colonne portanti burocratiche per una didattica inclusiva.
Il bidello e la socialità
Un primo barlume di socialità è stampato sui bottoni della macchinetta del caffè, punto di ritrovo, luogo dell’analisi. Nella scuola d’oggi, la scialuppa di salvataggio umana sono i collaboratori scolastici e nella fattispecie, il bidello Vanni (eufemisticamente: collaboratore scolastico, facente parte della più ampia categoria degli ATA-Ausiliari Tecnici Amministrativi). Ascolta le istanze del protagonista, trovandogli una stanza minuscola, al primo piano di un palazzo condominiale, distante poche centinaia di metri dalla scuola, dall’Eurospin, dalla merceria cinese, l’Emporio Fantasia, e dal parco: un pentagono di sbiadita quotidianità che racchiude l’esistenza esterna del docente emigrante, riservato.
La stanchezza tra delusioni in aula e strada a piedi è attenuata la sera dalla visione di strampalati video su YouTube, senza audio, in religioso silenzio, che si alternano allo scorrere di annunci di vendita di cianfrusaglie su gruppi Facebook. A un certo punto, ci sono anche i videogame, come sostituzione del reale, per l’assaporamento di una vittoria possibile, labile. E poi ci sarebbe una sorta di collega, Francesca, che vorrebbe amarlo, fargli vivere una vita normale, ma per lui non è semplice: i tumulti familiari gli rendono la normalità impossibile.
Il docente anestetizzato
Il docente infelice, che percorre i suoi giorni senza particolari emozioni, come se fosse anestetizzato, lavora in una classe con il 30% di ragazzi stranieri, in gran parte BES (con Bisogni Educativi Speciali) che non lesina ragazzi DSA (con Disturbi Specifici dell’Apprendimento) e che ha bisogno di una didattica in gran parte individualizzata con la creazione di PDP (Piani Didattici Personalizzati) e l’intervento di operatori L2, d’italiano per stranieri sui ragazzi e di mediatori interculturali per le famiglie non italofone, che pretendono di parlare la loro lingua alle riunioni. Un melting pot fragile, dove muoversi può portare ad alti rischi, se non si è formati a dovere e non si è dotati di empatia in grado di creare un ponte solido con le famiglie, che mai come in quest’epoca gareggiano sui risultati educativi coi docenti, invece di diventarne virtuose alleate. E quando il DS-Dirigente Scolastico decide di sottrarsi alle dinamiche più scomode dell’Istituto, il docente viene abbandonato a sé stesso tra confronti con servizi sociali e rischi di provvedimenti disciplinari per aver preteso rigore ed educazione.
Il protagonista si ritrova a scontrarsi con le frustrazioni dei colleghi durante la giornata e con enigmatici sogni di notte, che agitano metaforicamente il suo sonno. Le lunghe camminate gli permettono di scoprire i misteri della comunità, che ignora con regolarità un barbone sulla via principale, ebbro di vino in cartone: si avvicina ai passanti per chiedere degli spiccioli o una sigaretta. Una cittadinanza che ricerca ancora Verità per Cristiana, scrivendolo sui muri delle strade umide con un nero conturbante.
Hoachen ride
Mentre è sopraffatto dagli eventi in classe, accanto al suo allievo, il docente di Sostegno pensa, esce fuori dal suo stesso corpo, osservando lucidamente ciò che ha intorno: «L’unico modo che ha Haochen per comunicare con gli altri, a parte il «Ma», è ridere, e così ride, ride quando è felice, quando ha le convulsioni dell’epilessia, ride quando si caca addosso o è irrequieto e si infila la manina in bocca, sbava e si agita sulla sedia […] Nessuno sente il bisogno che i ragazzi prestino attenzione, a nessuno importa. Ai docenti basta che non disturbino, che si facciano gli affari loro in silenzio. Non so nemmeno chi sia il preside, il suo ufficio è in un altro plesso, non l’ho mai visto» (pp. 39-40).
Gli appuntamenti del calendario collegiale lo portano scoprire il lato oscuro del corpo docente: in consigli di classe, nelle riunioni tra colleghi di Sostegno, durante collegio docenti dell’intero Istituto. Queste circostanze fanno osservare al protagonista come gli individualismi di alcuni colleghi si arrampichino sull’economia delle decisioni collettive e sui tempi degli incontri, allungati a causa di inutili arringhe pro domo propria. L’ambizione personale, talvolta tragicomica, porta a corrompere la missione del mestiere.
L’osservazione della politica locale poi, a tratti delirante, attuata per sentirsi meno inadeguato, lo porta a maturare la convinzione che gli uomini tendano ad adottare una metamorfosi da esseri a bestie se pervasi dall’individualismo all’apparenza riversato sul bene comune, in realtà legato a doppio nodo sul proprio ego.
Cani rabbiosi
Il sabato è sempre lo stesso: l’acquisto di rosticceria cinese da riscaldare al microonde e da consumare in solitudine. Uno dei tanti slanci di vita dall’imbarazzante banalità, a causa di una condizione originaria che gli porta una perenne paralisi interiore. Ma è sempre a scuola, nei momenti di picco di noia, che il protagonista guarda lucidamente la deriva dell’essere umano, che proprio nell’istruzione dovrebbe costruire gli strumenti dell’autodeterminazione e accendere la sensibilità verso l’altro. Viene a conoscenza del crudele atto di bullismo di alcuni ragazzi di terza nei confronti di una studentessa obesa. Ormai dentro le notti del docente scorrono ripetuti sogni di cani rabbiosi.
Prof bullizzati
Durante il giorno, con grande sorpresa, scopre il bullismo nei confronti dei professori. In particolare, una playlist su YouTube: Prof Bullizzati. Si sofferma su due video che gli indignano l’anima.
«Un professore attempato, di fronte un ragazzino in t-shirt che gli punta il dito in faccia, urla «Non mi faccia incazzare! Non mi faccia incazzare, prof!» e gli ordina di mettergli sei; il professore resta impassibile, il ragazzino si infila un casco e fa il gesto di dargli delle testate, poi gira un paio di volte intorno al docente che finge di non vederlo, prende i bidoni della differenziata e li accatasta sulla cattedra, rovesciando immondizia sui libri aperti […] Nel video successivo, una professoressa coi capelli grigi spettinati sta facendo l’appello. Il video dura quasi cinque minuti e la donna, in piedi in mezzo alla classe con un foglio in mano, chiama sempre lo stesso alunno, un certo Bassano, che risponde nascondendo la testa sotto il banco. «Bassano! Sei tu?», chiede la donna. «Sì!». «E fatti vedere! Bassano, sei tu?». «No». […] Ogni tanto la professoressa prende la borsa e minaccia di andare a chiedere aiuto a qualcuno […] a un certo punto, una compagna grassa si alza e si mette davanti, pregandolo di smettere di registrare. «Non lo vedi che sta soffrendo?», dice. «Levati dal cazzo boiler di merda», risponde lui e la ragazza, mortificata, torna a sedersi» (pp. 111-112).
Spirito
Il protagonista comprende come il suo studente, Hoachen, a causa della paralisi cerebrale ed esteriore che lo determina come “un peso” per la società, sia l’unica persona che emana purezza d’animo, bontà, lealtà, in maniera spontanea. La sua tremenda condizione è paradossalmente la sua salvezza, poiché è diverso dai mentori, dai discenti e dagli amministratori d’oggi, che nella collettività diventano schiavi dell’individualismo. E non per compassione, bensì per senso di giustizia terrena, vorrebbe liberare per sempre il suo ragazzo, donandogli la possibilità di abbandonare la carcassa del corpo e librare soltanto con lo spirito, che lo distingue da tutti.
Immagine: American teacher, Marshallese English class
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