Nell’anno delle celebrazioni per il centenario della nascita di Italo Calvino (1923-1985), mi piace iniziare questo intervento sulla natura (profondamente) pop della sua idea di letteratura, con una citazione dal testo della sua prima lezione americana, Leggerezza, nel tentativo di fornire una definizione compiuta del concetto di «pop»:

Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza [...].

Dopo quarant’anni che scrivo fiction_, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio._

Ecco, non credo che ci sia, dal mio punto di vista di ricercatore, studioso e divulgatore della dimensione «pop» della nostra tradizione letteraria, classica e contemporanea, una definizione migliore, se non questa, appunto, sulla leggerezza: il pop come «sottrazione di peso», per dirla con le sue stesse parole, e non come banalizzazione, o semplificazione. Subito dopo, sempre in quella lezione, Calvino precisava pure che:

due vocazioni opposte si contendono il campo della letteratura attraverso i secoli: l’una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso [...]; l’altra tende a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore, la concretezza delle cose, dei corpi, delle sensazioni.

Per ravvisare, nell’operazione linguistica (e stilistica) compiuta da Giacomo Leopardi, un autentico miracolo:

il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare.

La parodia Disney

Italo Calvino è il solo scrittore italiano contemporaneo che sia stato inserito nella collana dei «Classici della Letteratura» Disney, con la riduzione a fumetto de Il visconte dimezzato, che Calvino scrisse nel 1951 (ma pubblicò l’anno dopo, presso Einaudi), come prima parte, o prima tappa, di una trilogia che egli stesso chiamò «I nostri antenati» (Il barone rampante, del 1957, e Il cavaliere inesistente, del 1959). L’albo Walt Disney, con la sceneggiatura di Lello Arena e Francesco Artibani, e con i disegni di Silvia Ziche, fu pubblicato, per la prima volta, nel 1993 (sul n. 1966 di «Topolino»), e poi fu inserito nella collana dei «Classici della Letteratura» Disney nel 2006 (per essere, successivamente, ristampato e distribuito più volte). Fiaba contemporanea, scritta con la consueta cifra stilistica ironica di Italo Calvino, che denunciava la conseguenze nefaste della guerra, a volte mettendo in scena situazioni decisamente comiche, altre volte, tragiche. È stata detta anche fiaba filosofica, capace di mettere in scena il dramma dell’uomo contemporaneo, diviso a metà, tra il Bene e il Male. Il protagonista, infatti, il visconte Medardo di Terralba, partito in guerra (contro i turchi, e in difesa dell’armata cristiana), si ritrova, subito, già alla sua prima partecipazione attiva all’azione di guerra, spaccato a metà, dimezzato, in senso longitudinale, da una palla di cannone, che lo prende in pieno e lo divide esattamente a metà: da un lato, la parte destra, quella cattiva; dall’altra, la parte sinistra, quella buona. Grottesca metafora della scissione dell’uomo (e dell’intellettuale) nella nostra società. Altri personaggi della storia (sia nella versione di Calvino, che in quella fumettistica della Disney) sono, rispettivamente, il dottor Trelawney, nient’affatto interessato alla medicina, ma tutto assorbito da una esclusiva ricerca sui «fuochi fatui», cui si dedica con trasporto (trascinando con sé, nei suoi vagabondaggi cimiteriali, il nipote del visconte, il ragazzino senza nome, che è anche il narratore di tutta la storia), e l’ingegnoso carpentiere Pietrochiodo, incaricato, dalla parte cattiva del visconte, il «Gramo», di costruire marchingegni distruttivi, con i quali torturare gli abitanti di Terralba. Altro personaggio principale della storia è la contadinella Pamela, che, benché cresciuta come pastorella, in realtà, sa adattarsi e sa comportarsi in ogni situazione, e che, alla fine, sposerà, dapprima, Medardo il «Buono», e, subito dopo, il Medardo intero, dopo cioè che sia avvenuto il ricongiungimento con la parte cattiva, con il «Gramo», dando vita a un nuovo Medardo, tutto intero, uomo saggio e riflessivo. L’azione scenica si svolge, parte, in Boemia, e parte in Liguria, verso la metà del Settecento.

Nella parodia Disney, il visconte Medardo di Terralba è interpretato da Pippo; lo scudiero Curzio da Topolino, e Pamela da Clarabella. Sostanzialmente, non ci sono grandi differenze, nella trama, tra romanzo e parodia, se si eccettua il dettaglio che il dimezzamento del visconte, nel fumetto Disney, destinato cioè a lettori giovanissimi, non avviene con il taglio in due parti della persona di Medardo, bensì, con una sua vistosa riduzione (a metà) in altezza. Quello che i sudditi vedono, infatti, è un nano, anzi, ne vedono due, una volta che a Terralba abbia fatto ritorno la parte buona del visconte. Anche nel fumetto, dunque, chiusa la guerra con un accordo che accontenta entrambe le parti belligeranti, torna a casa la metà cattiva di Medardo, che verrà detto il «Gramo», e che compirà atti di crudeltà nei confronti dei sudditi, dando ordine di ridurre tutto a metà, di portare tutto alla sua “altezza” (o, meglio, alla sua “bassezza”), a cominciare dalle dimensioni delle case, riducendole in altezza, facendo tagliare a metà perfino la frutta. Medardo il «Gramo», una volta innamoratosi di Clarabella-Pamela, le farà regali rigorosamente tagliati a metà, e farà realizzare dal carpentiere Pietrochiodo una macchina dimezzatrice, con la quale si divertirà un mondo, a spaccare tutto a metà, minacciando e ricattando i suoi sudditi. Come nel romanzo, anche nel fumetto, Pamela-Clarabella fugge dal visconte cattivo, dal «Gramo», per rifugiarsi nel bosco:

Pamela corse via, prese con sé la capra e l’anatra preferite, e andò a vivere nel bosco

Il visconte buono, una volta giunto nella contea, disorienterà gli abitanti, perché si comporterà in modo strano; egli, infatti, aiuterà la gente, elargirà regali, salverà i bambini smarriti, aiuterà le contadine nei lavori pesanti. Tutti, infatti, restano sconcertati da questi gesti, perché nessuno sa dell’esistenza di un secondo Medardo, buono. La stessa Pamela-Clarabella, inizialmente, non lo riconosce, restando stupita dal suo modo di fare. Infine, il dottor Trelawney, nel fumetto, dopo aver capito e spiegato come mai il visconte si sia sdoppiato (rispettivamente, nel «Gramo», e nel «Buono»), a causa del colpo di cannone, alla fine della vicenda, in modo rocambolesco, riuscirà a rimettere assieme le due parti dimezzate di Medardo, ricostituendone l’unità, grazie all’utilizzo di una macchina riunificatrice, costruita dall’ingegnoso Pietrochiodo, dietro precise indicazioni del medico stesso.

Le pur lievi, ma presenti, differenze tra romanzo e parodia, nel caso del Visconte dimezzato, che si registrano, sono state determinate, evidentemente, dal lavoro di ri-scrittura e di adattamento, compiuto dagli autori della sceneggiatura Disney, nel rispetto scrupoloso di un vero e proprio canone della comunicazione Disney, dal momento che questi fumetti sono, sì, universali, ma si rivolgono in modo privilegiato (ancorché non esclusivo) a lettori giovanissimi. I «canoni di liceità» della Disney sono: «Amore e Sesso», «Finale», «Linguaggio», «Vizi» e «Violenza e Morte». Nella realizzazione della parodia de Il visconte dimezzato, come si può facilmente verificare, questi canoni di liceità Disney sono stati tutti rispettati. L’amore tra Pamela-Clarabella e Medardo-Pippo non trascende mai i limiti della decenza, delle effusioni sentimentali intime, mai un bacetto, tanto per intenderci, anzi, Pamela-Clarabella rifiuta, sempre, le profferte d’amore del visconte. Alla fine della storia, viene annunciato (ma non celebrato) il matrimonio tra i due. Nell’universo disneyano, infatti, si resta sempre eterni fidanzati; non si diventa mai coppia effettiva, perché se ciò avvenisse, occorrerebbe presupporre (e disegnare) rapporti sessuali, tra marito e moglie. A Paperopoli non ci sono genitori, ma soli zii (Paperino e Paperon dei Paperoni, infatti, sono zii, non genitori).

Tutte le storie Disney devono, necessariamente, chiudersi con la vittoria del Bene sul Male, con la sconfitta dei personaggi cattivi. Così accade anche in questa parodia. Alla fine della vicenda, il «Gramo», il cattivo perde e scompare. Il linguaggio delle storie Disney è sempre un linguaggio pulito, controllato, mai volgare, o, peggio, scurrile. Nella sezione italiana della Disney, sul versante linguistico, spesso gli sceneggiatori ricorrono a parole o a espressioni arcaiche, rare, non di uso quotidiano, al fine di conferire maggiore patina di letterarietà alle parodie. I personaggi Disney, inoltre, non devono manifestare di avere vizi pericolosi per la salute: i paperi, infatti, in questo universo fantastico, non fumano, non bevono alcolici, non assumono droga, o altre sostanze simili. Solo qualche personaggio negativo, come, per esempio, Pietro Gambadilegno, in passato, veniva ritratto con il sigaro in bocca, nell’atto di fumare (ma in tempi più recenti, nelle ultime sue raffigurazioni, anche Gambadilegno non fuma più). Infine, il canone di liceità riguardante la violenza, che, nel caso del romanzo di Calvino, è presente sia come guerra, alla quale partecipa Medardo, sia come malvagità del visconte, negli atti malvagi della metà negativa di Medardo. Ebbene, anche la violenza e la morte, in questo universo disneyano, devono apparire soltanto in forma comica, mai tragica, e, come dire, in modo sfumato. Le scene violente, infatti, gli scontri, le zuffe, sono sempre avvolte da un polverone, che avvolge tutto, e che non lascia intravedere dettagli macabri, o colpi veri. Le scene violente, compresa la morte, sono sempre accompagnate da numerose e fragorose (quindi, comiche) onomatopee linguistiche, autentiche invenzioni linguistiche che sostituiscono il gesto violento in sé, lo alludono, senza mostrarlo. Nei fumetti non deve mai comparire il sangue, né dev’essere mai disegnata una mutilazione permanente. Ecco perché il Medardo di Calvino, nella versione Disney, viene dimezzato in altezza, ridotto alle fattezze di un nano simpaticone, ancorché malvagio e cattivo, almeno fino all’arrivo dell’altra sua metà, quella buona, con la quale, alla fine, la parte cattiva si ricongiungerà festosamente. Per questa ragione, per esempio, già dal 1941, Pietro Gambadilegno, il cattivo, non è più rappresentato con una gamba di legno, come avveniva prima, ma con una protesi. La morte è totalmente bandita da questo universo. Anche i malvagi, infatti, vengono sconfitti, perdono sempre, ma non muoiono mai, non devono morire. Del resto, buoni o cattivi che siano, i personaggi Disney nemmeno invecchiano, vivono in un eterno presente. Paperino, zio Paperone, Qui, Quo, Qua, e tutti gli altri personaggi Disney (Archimede Pitagorico, Clarabella, Gastone, ...), sono sempre uguali a sé stessi.

Calvino autore di canzoni pop (e folk)

Nei primissimi anni del secondo dopoguerra, in quell’Italia “bambina”, che provava a ripartire dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, con vistose cicatrici nel Paese, e con fortissime differenze sociali, economiche e culturali tra il Nord (industrializzato) e il Sud (rurale e contadino), Calvino scrisse testi per canzoni apparentemente leggere, ma con contenuti sociali e politici di forte impatto. Con altri autori, sotto la comune etichetta di «cantacronache», negli anni fervidi tra il 1958 e il 1962, in compagnia di intellettuali come Gianni Rodari e lo stesso Umberto Eco, Calvino scrisse testi con i quali metteva, per parte sua, le basi di quel fenomeno musicale e culturale che gli storici della canzone italiana, nei decenni successivi, avrebbero chiamato «cantautorato», con una specificità musicale e canora (e letteraria) tutta italiana. Franco Amodei e Michele Straniero, oltre a Sergio Liberovici, che musicò proprio i testi di Calvino, sono soltanto alcuni dei nomi di quegli artisti e di quei musicisti che diedero vita al gruppo dei «cantacronache» (i così detti «giullari dell’era industriale»). Tra le canzoni scritte in quegli anni da Italo Calvino, va ricordata, almeno, Oltre il ponte, che è del 1959, con le musiche di Sergio Liberovici, cantata, in anni successivi, dal gruppo musicale folk rock «Modena City Ramblers». Ecco un passaggio del testo (con ambientazione partigiana):

_Avevamo vent'anni e oltre il ponte__oltre il ponte ch'è in mano nemica__vedevam l'altra riva, la vita__tutto il bene del mondo oltre il ponte._Tutto il male avevamo di fronte__tutto il bene avevamo nel cuore__a vent'anni la vita è oltre il ponte__oltre il fuoco comincia l'amore.

Per chi volesse ascoltare l’intera canzone, basta inquadrare il QR Code seguente, e fare click:

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Nelle intenzioni di Calvino, il ponte della canzone è figura concreta del confine tra pace e guerra, con l’amore, che è la forza che vince sul male, e che dà a chiunque lo segua la speranza (la certezza) di una vita migliore (e di un mondo, evidentemente, migliore).

Altro testo scritto da Calvino fu Canzone triste (del 1958), che metteva in scena la storia di due amanti che, però, non si vedevano mai, in quanto l’uno tornava a casa proprio quando l’altra usciva, per lavoro. Con musiche di Sergio Liberovici, e cantata da Margot Galante Garrone, anche questa canzone, come la precedente, fu largamente utilizzata, negli anni successivi, in ambienti operai e studenteschi, durante le manifestazioni, e i concerti della Festa dell’Unità:

Erano sposi. Lei s’alzava all’alba

Prendeva il tram, correva al suo lavoro.

Lui aveva il turno che finisce all’alba

Entrava in letto e lei n’era già fuori.Immagine 1

Sempre nel 1958, Calvino scrisse una canzone pacifista, Dove vola l’avvoltoio, musicata da Sergio Liberovici, come risposta alle minacce nucleari lanciate, in quegli anni, dall’URSS, nei confronti di alcuni Paesi occidentali:

Dove vola l'avvoltoio?

avvoltoio vola via,

vola via dalla terra mia,

che è la terra dell'amor. [rit.]

L'avvoltoio andò alla madre

e la madre disse: "No

avvoltoio vola via,

avvoltoio vola via.

I miei figli li dò solo

a una bella fidanzata

che li porti nel suo letto

non li mando più a ammazzar"

L’avvoltoio, che volteggia, di strofa in strofa, come simbolo di guerra, in anni in cui, allora, si temeva che potesse scoppiare nuovamente un conflitto mondiale, e che oggi, pare abbia ripreso drammaticamente a volare, in Europa.

Si conclude con questa punatata la serie Classici della letteratura italiana in salsa pop, curata e scritta da Trifone Gargano.

Qui l’elenco degli articoli già pubblicati:

Immagine: Italo Calvino in bicicletta in Versilia

Crediti immagine: Fotografo sconosciuto, Public domain, attraverso Wikimedia Commons