Ciò che è classico comprende l’ora in tutta la sua potenza e nei suoi limiti. Comprende l’ora non per adattarvisi, ma per resisterle e sopravviverle. Il classico non fugge, ma sfida. […] Parla dell’ora, ma di questo mondo, della nostra vita quotidiana, ma da giusta distanza. Classico è ciò che disincanta dalle pretese che continuamente l’ora avanza di valere come l’ultima parola.
Massimo Cacciari: 23
Non solo leggere I promessi sposi, ma farli arrivare ai giovani sembra essere la sfida che i docenti devono prepararsi a affrontare… ma siamo sicuri che sia veramente una sfida? E se così non fosse? Per le nuove generazioni è davvero difficile comprendere la bellezza e i valori del romanzo degli italiani? Oppure è un nostro preconcetto, un’idea vecchia che non tiene conto di quello che pensano o che potrebbero pensare i ragazzi? L’amore, per esempio, il tema più caro alle giovani generazioni, è sicuramente una delle colonne portanti dei Promessi sposi. Si potrebbe partire da qui, dalle parole d’amore del romanzo, per aprire la via alla lettura e stimolare la curiosità “sana”, base dell’apprendimento.
Due giovani autentici
Renzo e Lucia sono giovanissimi e vivono una storia complicata, moderna, degna di una attuale serie TV. Colpi di scena, fughe, inseguimenti e ritrovamenti sono gli ingredienti di una fiction. Un nobile signorotto, che ne avrebbe potute avere di ragazze, si incapriccia di una contadina e manda due delinquenti a minacciare un curato, rimettendoci la faccia. È una storia di passioni violente, espresse con le parole e i silenzi, con le lacrime e le minacce. I due giovani protagonisti sono autentici, veri e assolutamente indipendenti, proprio come i ragazzi di oggi. Sono due fidanzati moderni, Renzo e Lucia, non hanno bisogno di grandi smancerie perché il loro sentimento è più forte di tutto e di tutti e non si nutre di apparenza, ma solo di sostanza. Sono due giovani soli (anche fra Cristoforo, a un certo punto, li dovrà abbandonare), decisi ad affrontare il loro complicato destino pur di coronare il loro sogno d’amore.
Renzo è orfano, non ha parenti, se non il cugino Bortolo, agisce d’impulso ed è pronto a sfidare i sacerdoti, la giustizia e i potenti, pur di avere la sua donna. Non si arrende mai, neanche di fronte alle parole che non conosce; sfida, a viso aperto, ogni tipo di avversità. Lucia, da perfetta eroina del XVII secolo, mente alla madre, non le dice la verità su Rodrigo, tace su tutta la storia, perché sa che Agnese è pettegola e che non avrebbe potuto fare nulla.
Lucia aveva avute due buone ragioni: l’una di non contristare né spaventare la buona donna, per cosa alla quale essa non avrebbe potuto trovar rimedio; l’altra di non mettere a rischio di viaggiar per molte bocche una storia che voleva essere gelosamente sepolta: tanto più che Lucia sperava che le sue nozze avrebber troncata, sul principiare, quell’abbominata persecuzione. (Manzoni: 69)
Le dissimulazioni di Lucia
Ma quello che avvicina di più Lucia alle ragazze di oggi, è che, nonostante il suo profondo e sincero sentimento per Renzo, gli mente, nasconde la verità, tacendo. Lucia dissimula, non si fida, è dunque, a suo modo, assai spregiudicata! Conosce benissimo il suo promesso sposo, e sa che sarebbe pronto a qualsiasi cosa:
[…] correndo innanzi e indietro per la stanza, e stringendo di tanto in tanto il manico del suo coltello […] Il giovine si fermò d’improvviso davanti a Lucia che piangeva; la guardò con un atto di tenerezza mesta e rabbiosa, e disse: - questa è l’ultima che fa quell’assassino. (Manzoni: 70)
Queste parole, attraverso una sfumatura ossimorica, riflettono la cifra caratteristica dell’amore: la dicotomia, l’ambivalenza. La tenerezza con cui Renzo guarda la sua ragazza, oltre a essere triste, è anche connotata dalla rabbia. Rabbia e tenerezza, odio e amore sono, da Catullo a oggi, i limiti e i confini entro i quali si vive, specialmente da giovani, la profondità del sentimento amoroso. Come potrebbe, tutto ciò, non attrarre gli adolescenti di ogni tempo?
Lo sguardo di Renzo è vivo, si trasforma in atto e poi in parole, quelle stesse che trasmettono a Lucia, in modo violento e risoluto, una soluzione (tragicamente) radicale. Don Rodrigo, è diventato un assassino perché ha ucciso il sogno d’amore, ma da ora in poi (parola del giovane filatore di seta!), non potrà fare più del male. Manzoni utilizza il termine assassino e non farabutto o malfattore, proprio per sottolineare la concretezza del sentimento. È un amore vivo, e le parole lo dimostrano.
I patti con la realtà
Anche Lucia oltrepassa limiti e confini per amore, sembra quasi snaturarsi quando accetta, suo malgrado, l’idea del matrimonio a sorpresa. La religiosissima protagonista femminile è una ragazza ribelle, disubbidisce, proprio come oggi fanno le adolescenti. Ma la disubbidienza più grande che compie, in nome dell’amore, è quella verso se stessa e le sue convinzioni. La fede, seppur profonda, viene a patti con la realtà, cedendo alla proposta di Renzo e Agnese. La promessa sposa oltrepasserà i suoi stessi principi e mentirà a quel frate a cui, nel silenzio della confessione, a lui solo, aveva confidato la verità. Lucia accetta quando viene messa alle strette da Renzo:
Voi! Che bene mi volete voi? Che prova m’avete data? Non v’ho pregata, e pregata, e pregata? E voi: no! No!
Sì sì, - rispose precipitosamente Lucia: - verrò dal curato, domani. Ora, se volete, verrò.
Me lo promettete? - disse Renzo, con una voce e con un viso divenuto, tutt’a un tratto, più umano. (Manzoni: 182)
Il dialogo serrato, degno anch’esso di una sceneggiatura televisiva dei nostri giorni, emana passione e profumo d’eternità. Renzo, inizialmente furioso, chiede alla sua amata la prova d’amore (quale adolescente, prima o poi non lo fa?); lei accetta, e non perché spaventata dalle minacce del giovane; in cuor suo, infatti, sapeva benissimo che Lorenzo non avrebbe torto un capello a Rodrigo. Del resto, qualche rigo più in là, lo stesso narratore solleverà la questione:
Qui l’autore confessa di non sapere un’altra cosa: se Lucia fosse, in tutto e per tutto, malcontenta d’essere stata spinta ad acconsentire. (Manzoni: 183)
L’avverbio precipitosamente
Lo fa perché vuole accontentarlo, vuole dimostrarsi e mostrarsi donna. L’avverbio precipitosamente, immediato per quanto riguarda il contenuto, ma nodoso e articolato dal punto di vista del suono, svela l’immediatezza, ma anche il travaglio interiore della protagonista, che ha dovuto rinunciare a quello in cui credeva, pur di andare incontro all’ uomo destinato a diventare suo marito. Dalle parole emerge il non detto, occorre solo leggere… che meraviglia spiegarlo in classe!
Anche Lucia cresce nel corso della narrazione, impara a mediare, con fatica comprende che le idee, a volte, si tingono di realtà. Del resto, sebbene travestito da elemosina, un piccolo inganno era stato anche il gesto di estrema (e esagerata) liberalità nei confronti di fra Galdino. Lucia appare, fin dall’inizio, furba e astuta perché pratica, con coscienza e determinazione, l’arte della dissimulazione onesta.
Ma Lucia le diede un’occhiata, che voleva dire: mi giustificherò. (Manzoni: 84)
L’attualità del romanzo è sconvolgente, ecco che il classico diventa moderno, travalicando i secoli, vincendo il tempo.
Da ragazza a donna
Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. (Manzoni: 231)
Ma è nell’Addio ai monti, la pagina forse più antologizzata nei testi scolastici, che si evidenzia la concretezza (ai limiti della sensualità) dell’amore fra i due giovani. Le parole di Lucia, anche cantuccio dell’autore, esprimono i sogni di una ragazza che si è immaginata (certo da sposa), sola in casa con il suo amato… parola da rossore sul viso! La pudicizia, da sempre sinonimo di sensualità, trasforma la ragazza in donna. Presentare così, alla generazione Only Fans, la protagonista del romanzo, questa sì, potrebbe essere la vera sfida.
Ancora oggi, d’altro canto, sul viso degli innamorati, compare il rossore, proprio come allora!
Le parole d’amore per il potere
[…] la storia di Lucia è una sorta di case study accademico che spiega, per via di romanzo anziché di saggio critico, l’operare del potere neofeudale nella sfera del piacere. A questo proposito appare cruciale il racconto di come il problema individuale di don Rodrigo sia affrontato attraverso la mobilitazione delle varie autorità, ecclesiastica, giuridica, politica e criminale (da don Abbondio all’Innominato, passando per l’Azzeccagarbugli, il podestà di Lecco, Gertrude, il padre provinciale e il conte zio), operanti nella polis lombarda del ’600. Risultano tutte solidali nel far sì che un membro dell’élite neofeudale possa esercitare il suo preteso diritto al godimento del corpo di una donna della classe contadina. (Codebò: 325)
Il capriccio di Rodrigo per Lucia è il motore di tutto il romanzo e anche di una serie di reazioni a catena, fra cui l’incontro fra Attilio e il conte zio e di quest’ultimo con il padre provinciale. L’amore dei due protagonisti rimane impigliato nelle trame della rete del potere dei grandi della Storia. Vicenda avvincente, questa, specialmente se nata dall’interesse di un signorotto per una fanciulla di estrazione e di bellezza modesta. Come può il capriccio di un uomo per una donna arrivare a smuovere le alte sfere? L’amore per il potere diventa una questione d’onore per affermare la supremazia della famiglia: don Rodrigo, deve riacquistare la sua credibilità.
I verbi all’infinito
La presentazione del conte zio è assai eloquente, così come lo sono i verbi (quasi tutti) all’infinito, funzionali a mostrare, fin dall’inizio, il volto oscuro della dissimulazione.
Un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d’occhi che esprimeva: non posso parlare; un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimonia; tutto era diretto a quel fine; e tutto, o più o meno, tornava in pro. (Manzoni: 497)
Una dissimulazione diversa da quella di Lucia, più raffinata e ricercata, in cui l’uso degli infiniti, in un evidente contrasto ossimorico con gli aggettivi o gli ampliamenti sintagmatici di accompagnamento, riflette l’ambiente sociale del conte zio e le sue regole di comportamento. Mai indicare con precisione, né parlar chiaro: occorre, in certi ambienti, essere vaghi. L’imbroglio delle parole, tanto caro a don Lisander, non può non conquistare i nostri ragazzi.
Il conte zio non potrà fare a meno di intervenire nella vicenda, ne andrebbe del suo prestigio, del prestigio della famiglia. Così incontra il padre provinciale. Il dialogo è, come lo stesso Umberto Eco dichiarò in un’intervista, «un capolavoro di alta retorica, fra il gesuitico e l’aristocratico».
Dalle vicende borghigiane ai palazzi signorili, l’amore, oggi come allora, non ha confini, e questo, i ragazzi, lo capiscono perfettamente.
Consigli di lettura
A. Manzoni (a cura di C. Bologna e P. Ronchi), I Promessi sposi, Loescher, Torino, 2019
I. Calvino, Perché leggere i classici, Oscar Mondadori, Mondadori, Milano, 2017
M. Codebò, Potere, dissimulazione e verità nei Promessi sposi (1840) e nella Storia della colonna infame, in «Annali di Italianistica», 2016, n. 34
M. Cacciari, Brevi inattuali sullo studio dei classici in Di Fronte ai classici. A colloquio con i greci e i latini (a cura di I. Dionigi), BUR, Milano, 2002
Umberto Eco e I promessi sposi, in YouTube
Immagine: Illustrazione tratta da "I promessi sposi" raffigurante una scena del settimo capitolo
Crediti immagine: Francesco Gonin (1808-1889), Public domain, attraverso Wikimedia Commons