Giovanni Boccaccio è considerato non a torto il padre della novellistica italiana ed europea. A distanza di sette secoli le sue novelle continuano ad appassionare i lettori, e i suoi personaggi si fissano ancora nella memoria, tanto da divenire in alcuni casi paradigmatici come Calandrino, il beffato per antonomasia e anche l’incarnazione del risvolto tragico del comico.
Il numero complessivo delle novelle ha anche generato un titolo non originale, Centonovelle (presente già in alcuni manoscritti antichi), che suggerisce una struttura dell’opera come somma di pezzi narrativi. Del resto, ieri come oggi il Decameron è stato ed è spesso letto per frammenti, con una modalità che però tradisce alle fondamenta il progetto dell’autore il quale non ha voluto comporre una raccolta di novelle, ma un libro che rappresentasse una complessa e variegata fotografia del mondo e dell’uomo, una sorta di trattato sull’essere umano in tutti i suoi aspetti dopo che Dante aveva fissato nell’oltretomba il compimento di ciò che nella vita terrena è figura.
Il sistema paratestuale dell’autografo conservato a Berlino (con tra l’altro tredici figurine umane a inglobare i richiami situati al termine di ogni fascicolo), accuratamente studiato da Boccaccio nel ruolo di editore della sua opera, rivela inequivocabilmente il progetto del libro. Nel Decameron è alquanto rilevante la storia dei novellatori, le sette donne e i tre uomini, che per dieci giorni (ma non consecutivi) raccontano, ascoltano, commentano le cento novelle: non elemento accessorio o collante, ma vera e propria ossatura del corpo complessivo.
δέκα λέξεις. Dieci parole per il «Decameron» intende valorizzare proprio la storia della onesta brigata proponendo dieci parole in dieci mesi analizzate.
Non si può non partire dall’invalsa metafora artistica che è stata introdotta dalla critica per distinguere questa storia: Cornice.
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Cornice
«O costor non saranno dalla morte vinti o ella gli ucciderà lieti» (Decameron, ix Intr. 4).
È un imprecisato martedì estivo del 1348. A Firenze infuria la peste, la terribile morte nera che in pochi anni decimò la popolazione europea. La città è sconvolta dalla virulenza del morbo e dalla dissoluzione delle più elementari norme della convivenza civile. Sette fanciulle e tre uomini – giovani ma non giovanissimi se le donne hanno tra i 18 e i 28 anni e il minore dei maschi 25 – si incontrano casualmente nella chiesa domenicana di Santa Maria Novella e, su proposta di Pampìnea (‘la rigogliosa’), decidono di lasciare la città e di recarsi nel contado con la speranza di avere più chances di sfuggire al contagio, sebbene la peste non risparmi nemmeno le campagne, e soprattutto con il dichiarato obiettivo di vivere onestamente sottraendosi al disfacimento morale che ormai impera a Firenze.

Oxford, Bodleian Library, Holkham misc. 49, f. 5r. La compagnia dei dieci novellatori, composta da sette fanciulle e tre giovani, si riunisce nella chiesa di Santa Maria Novella prima di lasciare Firenze.
Partono il giorno dopo accompagnati dai loro servitori e si rifugiano inizialmente in una villa a circa 3 Km. dalla città. La domenica si spostano in un bellissimo e ricco palazzo circondato da uno splendido giardino e qui trascorrono le altre giornate, con l’eccezione del giovedì successivo quando si recano in uno speciale locus amoenus chiamato Valle delle donne. Ogni giorno un re o una regina, scelti a turno cosicché a ogni membro della brigata spetti almeno una volta il ruolo, fissa le regole del vivere quotidiano improntate a princìpi di onestà e decoro.

Cambridge (Mass.), Harvard University, Houghton Library, Richardson 31, f. 9v. La compagnia dei giovani siede nel giardino ed incorona Pampinea regina della prima giornata.
Il momento culminante della giornata è il pomeriggio, quando seduti in cerchio in un giardino si raccontano, uno dopo l’altro, dieci novelle lasciando il penultimo posto al re o alla regina che ha avuto l’onore di proporre il tema quotidiano e l’ultimo a Dioneo, che ha chiesto e ottenuto all’unanimità il privilegio di non rispettare l’argomento fissato. Non tutti i giorni avviene il rito del novellare perché la terza regina, Neìfile (‘la nuova innamorata’), propone di sospendere l’attività il venerdì in cui è opportuno digiunare in memoria della Passione di Cristo e il sabato destinato alla cura del corpo, sospensione confermata poi dalla settima regina Lauretta il giovedì seguente. Le dieci giornate di narrazione si incastonano, dunque, in un tempo complessivo di due settimane, al termine delle quali, su consiglio dell’ultimo re Pànfilo (‘il tutto amore’), si decide di rientrare a Firenze. La brigata si scioglie a Santa Maria Novella, là dove si era formata.
Non una raccolta di novelle ma un libro
Come recita la rubrica d’apertura, il Decameron è quindi un libro che contiene «cento novelle in diece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini», ‘cento novelle in dieci giorni raccontate da sette donne e da tre giovani uomini’. Non è una semplice antologia di pezzi narrativi, ma un libro di novelle. Se la sua genesi si colloca in un periodo tragico per l’intera Europa e anche per lo stesso Giovanni Boccaccio che vide morire di peste amici e parenti, esso nasce in un periodo letterariamente fecondo. Sul suo scrittoio ci sono fogli di pergamena destinati al progetto di pubblicare una sorta di TuttoDante in volgare, che dopo una apologetica biografia – il Trattatello in laude di Dante – comprende la Vita nuova, la Commedia e le 15 canzoni cosiddette distese, trascritte nel manoscritto ora conservato a Toledo (Archivo y Biblioteca Capitulares, Zelada 104.6).
L’attività editoriale lo pone di fronte alla forma del primo libro di poesie della Letteratura italiana, la Vita nuova, in cui Dante incastona 31 suoi componimenti in una prosa in parte narrativa e in parte autoesegetica. Un prosimetro, dunque, così come un prosimetro è il Decameron se al termine di ogni giornata di narrazione è inserita una poesia.
Se con Dante Boccaccio continuerà un dialogo ideale che si spegnerà solo negli ultimi giorni della sua vita, nel 1350 incontra di persona Francesco Petrarca col quale inizierà un fecondo e irripetibile sodalizio. Sono gli anni in cui il celebre poeta laureato, anch’egli sconvolto dai lutti della mortifera pestilenza, sta progettando o riprogettando la sua produzione complessiva, raccogliendo i frammenti della sua anima, che per un uomo che considera la letteratura vita e vita la letteratura non possono che essere testi dispersi: nasceranno in successione le raccolte di lettere e soprattutto i Rerum vulgarium fragmenta, in cui le monadi poetiche diventano libro.
I due archetipi della scrittura narrativa e della scrittura poetica che condizioneranno la Letteratura italiana ed europea per i secoli a venire nascono, dunque, parallelamente e restano sugli scrittoi dei loro autori fino alle soglie della loro morte, avvenute a poco più di un anno di distanza, visto che Petrarca si spense il 19 luglio 1374 e Boccaccio il 21 dicembre 1375.
Un ambizioso progetto editoriale
Per legare insieme novelle non mancavano modelli precedenti. Bastava guardare alla Storia di Barlaam e Josaphat, al Libro dei Sette savi, alla Disciplina clericalis, che circolavano da tempo e che avevano, grazie alle traduzioni latine e volgari, introdotto nel continente europeo la grande tradizione novellistica orientale, quella delle Mille e una notte, del Pañcatantra e simili. Queste tipologie di cornice narrativa non potevano, tuttavia, accontentare Boccaccio che per il suo libro delinea un progetto ben più ambizioso.
Lo rivela inequivocabilmente il manoscritto autografo parzialmente mutilo ora conservato alla Staatsbibliothek di Berlino con la segnatura Hamilton 90 (consultabile in forma digitalizzata all’indirizzo: <https://digital.staatsbibliothek-berlin.de/werkansicht?PPN=PPN725545607&PHYSID=PHYS_0001>).
È l’ultima redazione d’autore del Decameron approntata intorno al 1370. Le grandi dimensioni, la scrittura semigotica (o littera textualis), l’impaginazione a due colonne rimandano alla tipologia editoriale del trattato scientifico universitario che non a caso ricorda quella già impiegata da Boccaccio per le sue Genealogie deorum gentilium, una sorta di vasta enciclopedia storico-mitografica in 15 libri, di cui è sopravvissuto l’autografo ora posseduto dalla Biblioteca Mediceo Laurenziana (segnatura: Pluteo 52.9).
Gli studiosi hanno, in particolare, soffermato la loro attenzione sul sistema di iniziali di varia misura adottate da Boccaccio nell’autografo berlinese, ma già presente nel manoscritto Par. ital. 482 della Bibliothèque nationale de France, copiato da Giovanni d’Agnolo Capponi intorno al 1360, che il certaldese aveva ammesso al suo scrittoio mettendogli a disposizione una versione del Decameron precedente rispetto a quella dell’Hamilton 90.
Dunque a distanza di anni permane sostanzialmente invariata una tipologia di iniziali di varia misura, di colore alternativamente rosso e turchino, in cui il Tipo 1 pari a quattro righe di testo marca gli attacchi delle giornate; il Tipo 2 pari a due righe evidenzia gli inizi delle novelle, delle ballate e le riprese del testo narrativo a conclusione dell’intermezzo lirico, ed è una tipologia che viene usata anche all’interno delle Introduzioni e delle Conclusioni delle giornate in corrispondenza di momenti nevralgici del testo; il Tipo 3 pari a poco più di una riga di testo rileva i passaggi in cui i novellatori introducono le loro narrazioni così come i versi incipitari delle strofe dei componimenti poetici.

DETTAGLIO I: Berlino, Staatsbibliothek, Hamilton 90, f. 13r (dettaglio). Inizio della seconda giornata. Dopo la rubrica in rosso, l’incipit è marcato da una G maiuscola turchina con filigrana rossa pari a 4 righe di testo (Tipo 1).

DETTAGLIO II: Berlino, Staatsbibliothek, Hamilton 90, f. 7v (dettaglio). Inizio della seconda novella della prima giornata. Dopo la rubrica in rosso, Boccaccio riprende la parola e riporta il lettore dentro la cornice con la lettera L turchina con filigrana rossa pari a due righe di testo (Tipo 2). Poco sotto la M (rossa) segna il momento in cui la seconda novellatrice, Neìfile, introduce la sua narrazione e la S (turchina) marca l’inizio della novella vera e propria (entrambe le maiuscole sono di Tipo 3).
Una simile segnaletica grafica – giustamente valorizzata dal nuovo editore critico Maurizio Fiorilla per il testo pubblicato nel 2011 per l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e nel 2013 per Rizzoli BUR – consente di cogliere meglio il progetto di libro concepito da Boccaccio: l’inizio delle giornate ha il massimo rilievo e le attività narrative, discorsive-argomentative dei giovani novellatori sono equipollenti alle novelle. Le singole cento tessere – non a caso il numero dei canti della Commedia – contano sì singolarmente ma soprattutto come elementi inseriti nel progetto del mosaico complessivo, il quale è la proposta paradigmatica di un mondo nuovo e di una vita nuova in cui i creatori sono i dieci giovani con il loro modo di vivere e anche di raccontare. In questo senso si può individuare anche la sottile filigrana sottesa al titolo. Decameròn (‘di dieci giornate’ [in greco δέκα ἡμέραι]) è ispirato all’Exameron di sant’Ambrogio, che è un commento in nove discorsi raccolti in sei libri sulla creazione del mondo narrata nel Genesi biblico.
Forma editoriale, elementi paratestuali, storia complessiva in cui si inseriscono le cento novelle sono una nuova “genesi”, perché delineano, dopo l’apocalisse della mortifera pestilenza, una nuova rifondazione del mondo civile e una rinascita dei valori fondamentali dell’essere umano, con uno sguardo particolare sulla città di Firenze a cui i giovani, pur vivendo per 15 giorni nei dintorni, non smettono mai di guardare tanto più che da lì partono e lì ritornano.

Oxford, Bodleian Library, Douce 213, f. 1r. La compagnia dei giovani novellatori si riunisce nel giardino intorno a Pampinea, regina della prima giornata; all'esterno del muro siede Boccaccio, intento a scrivere su un cartiglio
Per una difesa della cornice
Alcuni critici hanno mostrato e mostrano sempre più insofferenza per la metafora artistica cornice e hanno proposto formule o termini sostitutivi come «storia portante», «novella portante», «corpo organico del Libro», «striscia continua di testo», «architettura» e simili. Questa antipatia deriva per lo più dall’idea che la cornice narrativa sia un contenitore e le novelle quadri, come una sorta di polittico costruito da cento pannelli. In realtà la cornice del Decameron non delimita uno spazio figurativo, ma riempie di segno e potenzia ogni frammento del quadro offrendone già le prime chiavi di lettura e le particolari inclinazioni di senso, che emergono dalle discussioni tra i giovani chiamati a raccontare e ad ascoltare, come primi mittenti e primi destinatari – in questa accezione veramente ideali – dei messaggi. E lo stesso autore non ha remore a sospendere la linea narrativa e a inserirsi in prima persona nello spazio della cornice quando nell’Introduzione alla quarta giornata per difendersi dall’accusa di eccessiva inclinazione verso le donne non solo si serve di una argomentazione apologetica, ma anche racconta la novelletta “delle papere”, il cui tema guida della forza irresistibile dell’amore si rifrange in molte novelle, e non solo, della medesima giornata. Insomma la cornice è un luogo eletto per una riflessione fondamentale dell’autore sulla sua opera.
Boccaccio non ha circondato la sua opera di una cornice di altro materiale, ma, come è avvenuto non di rado nella storia dell’arte, l’ha disegnata dentro il suo quadro creando così un doppio itinerario possibile che dallo spazio singolo della novella si muove verso lo sfondo della narrazione continua e da essa verso i singoli frammenti. Come la Commedia vive in un universo chiuso e misurabile, così il Decameron fissa un limite nel fluido magma del narrare. L’archetipo della novellistica europea in volgare non poteva essere più rassicurante.

Parigi, Bibliothèque Nationale de France, It. 63, f. 9v. La compagnia dei dieci novellatori è seduta nel giardino intorno a Pampinea, eletta regina del giorno.
Bibliografia
Boccaccio, Decameron, a cura di A. Quondam, M. Fiorilla, G. Alfano, Milano, Rizzoli 2013.
Battaglia Ricci, Boccaccio, Roma, Salerno Editrice 2000.
Boccaccio autore e copista, a cura di T. De Robertis, C.M. Monti, M. Petoletti, G. Tanturli, S. Zamponi, Firenze, Mandragora 2013.
Cursi, Il «Decameron»: scritture, scriventi, lettori. Storia di un testo, Roma, Viella 2007.
Sitografia
https://www.enteboccaccio.it/s/ente-boccaccio/page/home
https://digital.staatsbibliothek-berlin.de/werkansicht?PPN=PPN725545607&PHYSID=PHYS_0001
Immagini: Riproduzione per gentile concessione dell’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio
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