Cinquant’anni fa, nel 1960, Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Ostia, Roma, 1975) fa un sacco di cose importanti, per sé e per chi già ne ama l’arte e il pensiero: pubblica i saggi di Passione e ideologia (1948-1958), Garzanti; la traduzione dell’Orestiade di Eschilo (Einaudi); Donne di Roma, sette storie prefate da Alberto Moravia e illustrate da fotografie di Sam Waagenar (Il Saggiatore); Giro a vuoto. Le canzoni di Laura Betti, con altri autori (Scheiwiller); Roma 1950 – Diario (All’insegna del pesce d’oro); Sonetto primaverile (All’insegna del pesce d’oro). Nel frattempo, lima le poesie che costituiscono la raccolta La religione del mio tempo, pubblicata da Garzanti l’anno seguente, e attende al suo primo lungometraggio, Accattone, che andrà nelle sale sempre nel 1961.

Un anno importante, dunque, per l’intellettuale corsaro dalla vitalità bruciante che, sempre nel 1960, dichiara al poeta Elio Filippo Accrocca (curatore di Ritratti su misura, Venezia, Sodalizio del libro): «Amo la vita così ferocemente, così disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la giovinezza:[…] e io divoro, divoro, divoro […] Come andrà a finire, non lo so». Presagiva, forse. Sapemmo tutti, dopo la morte all’Idroscalo di Ostia. O, forse, ci parve di sapere, soltanto. Perché, la dialettica e il rimbalzo continuo, nell’opera come nella concezione del mondo e della vita, tra passione e ideologia è stata ricostituita anche dopo, sulle ceneri di Pasolini, con l’effetto di spartire le carte in due mazzetti distinti e contrapposti. Dall’uno e dall’altro versante escono interpretazioni alternative sull’approdo finale di un’intera esistenza, ma anche, per via di tali interpretazioni, sulla tinta dominante, estetica e ideale, perfino politica, di tutta l’esperienza pasoliniana.

Lucciole mutanti

Trentacinque anni dopo la morte, all’emergere della possibilità di una riapertura giudiziaria del caso, l’intellettualità italiana torna a spaccarsi in due. In particolare, il quotidiano «La Stampa» ospita un intervento di Marco Belpoliti (Pasolini, è ora di seppellire il complotto; da leggere insieme ai principali interventi della polemica al seguente indirizzo: http://www.pasolini.net/; va segnalato l’ottimo lavoro di Massimiliano Valente, creatore del sito pasolini.net), nel quale, in linea con le posizioni da sempre espresse da Nico Naldini (scrittore, cugino e biografo di Pasolini) e Graziella Chiarcossi (erede di Pasolini e moglie di Vincenzo Cerami), si invita a mettere da parte l’ipotesi del delitto politico, che sarebbe destinato a portare a un totale travisamento della figura di Pasolini: «La sorpresa è dunque scoprire che non solo la sua particolare omosessualità, la predilezione per i giovani etero, venga rimossa dalla sinistra, ma che la sua lezione poetica e intellettuale sia disattesa da seguaci e difensori. Il delitto Pasolini è un delitto politico non perché operato per far tacere uno che “sapeva” la verità su un attentato o una strage, ma perché è stato ucciso un poeta che diceva verità scomode, uno che praticava lo scandalo di contraddirsi, che non scopriva segreti occulti, ma che rivelava tutto quello che era già evidente, e che nessuno voleva davvero vedere: “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere”».

Tra coloro che non sono d’accordo con Belpoliti, c’è la studiosa Carla Benedetti, autrice, 12 anni fa, del discusso e stimolante pamphlet Pasolini contro Calvino. Per una lettura impura (Bollati Boringhieri, 1998): «la versione blindata della rissa omosessuale tra due persone non sta in piedi. Sappiamo che essa è stata solo una copertura servita a sviare le indagini e a coprire un altro tipo di delitto. Quella versione infatti non regge. Non solo perché il reo confesso l’ha ritrattata, ma perché già non reggeva per il Tribunale di Primo grado, che infatti condannò il Pelosi “assieme a ignoti”. Naldini, Belpoliti e qualche altro letterato se ne sono invece innamorati. La trovano “poetica”. Permette loro di fare molti bei ricami sulla morte sacrificale e sullo “scandalo dell'omosessualità”. Un poeta omosessuale ucciso mentre cercava di violentare il suo oggetto di desiderio! Un poeta delle lucciole ucciso da una lucciola mutante… E se non fosse vera?»

La serpentina

Da una parte, si leggono nelle carte di una vita (comprese quelle processuali) i motivi di una “morte per passione”; dall’altra si fa emergere la tesi della “morte per ideologia”.

Sulle categorie di passione e ideologia si era espresso, naturalmente, lo stesso Pasolini, nella Nota poscritta alla raccolta di saggi del ’60:

«“Passione e ideologia”: questo e non vuole costituire un’endiadi (passione ideologica o appassionata ideologia), se non come significato appena secondario. Né una concomitanza, ossia: “Passione e nel tempo stesso ideologia”. Vuol essere invece, se non proprio avversativo, almeno disgiuntivo: nel senso che pone una graduazione cronologica: “Prima passione e poi ideologia”, o meglio “Prima passione, ma poi ideologia”. Il lettore potrà capire questo passaggio sia con l’imbattersi in dichiarazioni esplicite, sia col seguire le trasformazioni e le varie vicende di due gruppi tematici: la poesia regionale dialettale e Pascoli. Vedrà come nei saggi più vecchi l’individuazione dell'esistenza di questi due fatti si limiti a se stessa, quasi che il suo attuarsi fosse di per sé una ragione critica esauriente. E non nego che in qualche modo lo fosse, data la sovversione di certi valori e di certe abitudini ch’essa implicava. Ma il lettore vedrà poi come, invece, quei due gruppi tematici, pur ritornando, pressocché ossessivi, per tutto il libro, prevedano una visione storica in cui la loro semplice constatazione non è più sufficiente. La passione, per sua natura analitica, lascia il posto all’ideologia, per sua natura sintetica».

Nel 1960 la relazione tra i due termini, passione e ideologia, è assunta nel quadro di una chiarificazione estetica che funziona anche come momento di costruzione di una poetica personale, misurata – conformemente alle letture gramsciane e al magistero di Gianfranco Contini – su concrete scelte linguistiche e stilistiche. In questo senso è importante il giudizio positivo sul «plurilinguismo» e sullo «sperimentalismo antitradizionalistico» di Pascoli. La posizione di Pasolini si chiarirà ancora meglio nella prima parte dell’intervento intitolato Nuove questioni linguistiche, pubblicato sulla rivista «Rinascita» del 16 dicembre 1964. Qui Pasolini, analizzando il tipo di lingua e di stile degli scrittori italiani del Novecento, individua una linea “alta”, al vertice della quale sta l’ermetismo in poesia; mentre via via si scende fino agli autori che sono più vicini all’italiano medio (come Moravia, Cassola, Bassani). Pasolini, che dichiara il suo debito verso il mistilinguismo di Gadda, si colloca «su di una linea a forma di serpentina che attraversava tutti i livelli, passando dal piano alto a quello basso» (Claudio Marazzini, La lingua italiana. Profilo storico, Il Mulino 1994, p. 400).

La "macchina sadiana"

Ma quando il senso della relazione tra passione e ideologia si fa più complesso e ricco, mettendo in gioco, più che questioni di poetica o di giudizio critico, la direzione di tutti i vettori dell’agire dell’uomo e dell’intellettuale, così come traspaiono dall’ultima produzione di Pasolini (dagli articoli di giornale poi raccolti negli Scritti corsari a film come Salò o le 120 giornate di Sodoma), può essere utile rileggere quanto affermò Federico De Melis sul quotidiano «Il Manifesto», recensendo il saggio della Benedetti su Calvino e Pasolini: «il pamphlet di Carla Benedetti […] mette l’accento bene, riguardo all’ultimo Pasolini, sulla fine della contrapposizione manieristica di passione e ideologia, a tutto favore della prima. La quale, lasciata a se stessa, doveva sfociare nella pura (o impura) dimensione corporea, nella “macchina sadiana”, solo possibile scandaglio, ormai, per le trasformazioni in corso. La fusione di arte e vita, degna di un grandissimo body-artista innervato dalla lontana lezione dei decadenti, serviva al Pasolini ultimo per additare la fine di un’era, fondata sulla mediazione politico-letteraria» (http://www.pasolini.net/saggistica_polemica.htm).

Immagine: Pier Paolo Pasolini.

Crediti: fotogramma dal documentario Cinema '70 (Rai, 4 marzo 1971).

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