Duecentocinquanta anni fa, nel 1764, accadevano due cose importanti: Cesare Beccaria cominciava a scrivere il trattato Dei delitti e delle pene,che avrebbe portato a termine nel 1766; Pietro Verri fondava la rivista «Il Caffè». Nel 1751 Diderot e d'Alembert avevano principiato la pubblicazione della loro fondamentale Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une Société de Gens de lettres; il monumento dell'illuminismo francese ed europeo si sarebbe compiuto nel 1772, dopo 17 volumi di testo e 11 di tavole fuori testo.

“Idea” e “speculazione”

L'illuminismo lombardo prende corpo e sostanza di idee e di lingua e «l'Italia si comporta non come una provincia o un'area laterale, ma come un centro attivo, con evidenti iniziative proprie» (Folena, p. 30). La cultura filosofico-giuridica è d'impronta francese e il lessico intellettuale (ma non soltanto quello) è rinnovato da una forte ventata di francesismi. Il francese si fa veicolo di idee nuove (anche maturate altrove: in Inghilterra) e di corrispondenti parole nuove e, soprattutto, di significati nuovi che si aggiungono a quelli già sedimentati in parole presenti nelle lingue di tutto il continente: in italiano, si pensi per esempio a idea, d'ora in poi anche nel significato di 'concezione politica o religiosa'; o a speculazione, che dalla filosofia sconfina nell'economia, rimotivandosi semanticamente. Grazie al francese e alla cultura nuova, si può parlare spesso dell'affermazione di veri e propri europeismi (come scrisse poi genialmente Leopardi), tanto più che numerosi sono i franco-latinismi, termini settoriali che ci arrivano sì dal francese, ma attraverso il recupero che il francese ha fatto di basi appartenenti al grande magazzino panromanzo del latino. L'illuminismo italiano apre la cultura all'Europa e, contemporaneamente, si colloca al suo interno, «con una febbre riformatrice che non ha l'uguale in Europa» (Folena, p. 40).

Metafore scientifiche

È stato notato quanto sia evidente l'entusiasmo metaforico degli illuministi italiani (Durante, p. 218, anche per le citazioni) per le terminologie scientifiche e tecnologiche incorporate dall'enciclopedismo francese, con un occhio alla clarté galileiana:

«aritmetica politica (Beccaria); atmosfera politica (Muratori); un vero barometro onde misurare con giustizia gli interessi di tutti (P. Verri); corpo politico (Genovesi); tutto è in fermento … quale elettrizzazione! (Biffi); la curiosità, la più utile molla (ressort) del genere umano (Genovesi); gli oggetti quando entrano nella nostra mente hanno una forza espansiva (Beccaria); [i disordini] crescono in ragione composta della popolazione (Beccaria); il termometro politico della Lombardia (testata di un giornale dell'epoca)».

La “rinunzia” alla Crusca

Per compiere un tale bagno novatore, in Italia bisogna fare i conti con una collosa tradizione. Occorre disimpaniarsi dagli  “antichi” e scegliere di definirsi “moderni”, collocandosi all'avanguardia del moto operoso delle menti. la Crusca (il suo onorato Vocabolario) diventa il simbolo dello «spazio eccessivo che le questioni retoriche e formali (le “parole”) hanno avuto nella cultura italiana, a tutto svantaggio delle “cose”, cioè a danno del concreto progresso. Ne consegue una totale svalutazione del dibattito linguistico in quanto tale» (Marazzini, p. 319); dibattito al quale Alessandro Verri, nel suo pamphlet intitolato in modo apertamente paradossaleRinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca, in buona sostanza dichiara di non essere interessato a partecipare.

Cesarotti contro il “tribunal dei grammatici”

Ci penserà Melchiorre Cesarotti, con il suo Saggio sulla filosofia delle lingue, a esprimere bene gli ideali illuministici in fatto di lingua, in contrasto con la tradizione conservatrice: nessuna lingua è pura, nessuna lingua è perfetta, nessuna lingua nasce da un precetto autoritativo - né può essere sottomessa al «tribunal dei grammatici» -, nessuna lingua è inalterabile, nessuna lingua può essere chiusa ad arricchimenti. Ce n'è quanto basta per segnare un solco profondo rispetto alle teorie bembesche e alle pratiche cruscanti, senza per questo cadere nel rigido e insieme generico rifiuto delle regole propugnato dai fratelli Verri e dai loro sodali.

Teresa Verri e le lingue

Tanto più che ce ne corre tra gli onesti e rigorosi propositi di far precipitare l'anticaglia (arcaismi, latinismi, ipotassi) con una scrollata di spalle e la pratica linguistica concreta. Quando si mette sulla pagina, il buon illuminista lombardo suda le proverbiali sette camicie. E non può essere altrimenti, visto il fardello secolare del normativismo iperletterario. Inoltre, il nostro intellettuale lombardo (milanese) in casa parla dialetto meneghino, in società spesso preferisce il francese e, nelle lettere e nei diari, quando si impegna nel corpo a corpo con l'italiano, corre sempre mentalmente all'unica grammatica disponibile, proprio quella della tradizione da cui si vorrebbe districare. Pietro Verri si rallegra che la figlioletta Teresa apprenda così bene da lui il francese della conversazione ed è contento di sentirla esprimersi in «tedesco, francese, milanese come se ciascuna fosse la sua lingua naturale» (Morgana, p. 116). E l'italiano?

Lo style coupé

In linea generale, nelle scritture degli innovatori illuministi c'è molta dedizione e buona volontà: v'è un tentativo di stare dietro al nuovo style coupé francesizzante, fatto di sintassi lineare, tendenzialmente spezzata e scarsamente ipotattica; si evita il verbo in chiusura di periodo; si cerca di uscire dalla camicia logora delle inversioni e degli iperbati. Insomma, tutti lasciano cadere qualche gravame filo-boccaccesco, a differenza di tanti letterati coevi succubi della tradizione.

Allo stesso tempo, però, certe abitudini al periodare più involuto non sempre sono abbandonate e, talvolta, ai nostri occhi, una prosa settecentesca argomentativa di ambiente illuminista «figura come un immenso palinsesto di memorie architettoniche e figurative, nel quale la componente “antica” e quella “moderna” risultano inscindibilmente fuse, l’una doppio e sinonimo dell’altra» (Cortellessa, p. 341: in realtà il critico si riferisce alla città di Roma così come emerge dai quadri narrativi delle Notti romane di Alessandro Verri).

Universalmente intesa

Talmente grande, però, è il portato concettuale e linguistico – un tutt'uno di straordinario dinamismo – del moto illuministico lombardo e italiano, che le private contraddizioni tra antico e moderno presenti nelle singole scritture autoriali passano in second'ordine. Acquistano il significato storico di una tappa necessaria nel cammino verso una lingua – come si diceva allora – “universalmente intesa”, praticabile dagli strati attivi e in ampliamento di una moderna classe borghese e professionale e dei ceti intellettuali più dinamici e aperti all'Europa.

Testi citati

Cortellessa = Andrea C., L’antiquario fanatico e l’ombra di Vitruvio. Sincretismo estetico nelle Notti romane di Alessandro Verri, in «Studi (e testi) italiani», 3, primo semestre 1999, Bulzoni ed., 1999.

Durante = Marcello D., Dal latino all'italiano moderno. Saggio di storia linguistica e culturale, Zanichelli, 1985.

Folena = Gianfranco F., L'italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Einaudi Paperback, 1983.

Marazzini = Claudio M., La lingua italiana. Profilo storico, Il Mulino, 1994.

Morgana = Paolo Bongrani e Silvia M., La Lombardia, in Francesco Bruni (a cura di), L'italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali, Utet, 1992.

Immagine: L'Accademia dei Pugni, dipinto di Antonio Perego, 1766.

Crediti: Collezione privata Luisa Sormani Andreani Verri; Nikol2007 [[Public domain](https://creativecommons.org/publicdomain/mark/1.0/ ])], attraverso Wikimedia Commons.

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