Protagonista della politica italiana del secondo dopoguerra, Enrico Berlinguer rappresentò per oltre un decennio – quando ricoprì la carica di segretario del PCI, dal marzo 1972 al giugno del 1984 – il punto di riferimento principale della sinistra del nostro Paese. Voce autorevole e stimata, anche dagli avversari, in anni durante i quali il dibattito civile e i fermenti sociali erano molto vivi, Berlinguer si distinse anche per il suo stile comunicativo (e caratteriale) sobrio, a tratti severo, assai più incline all’argomentazione che all’invettiva; uno stile comunicativo che si rifletteva nella lingua da lui impiegata: misurata, meditata, improntata al confronto dialettico, ideologicamente marcata, caratterizzata da un forte carisma personale che però non sfociava nell’egocentrismo leaderistico.
A lui, più o meno direttamente, si devono anche parole o espressioni che hanno segnato la vita politica di quegli anni: si pensi all’eurocomunismo elaborato d’intesa con gli omologhi partiti spagnolo e francese, o, più ancora, alla proposta di «quello che può essere definito il nuovo grande “compromesso storico” tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano» (come si leggeva su «Rinascita» il 12 ottobre 1973). Una di queste formule, forse la più longeva anche perché purtroppo sempre attuale, è questione morale: rileggendo la storica intervista Dove va il PCI? rilasciata a Eugenio Scalfari per «la Repubblica» nel luglio del 1981 si possono rintracciare molti tratti dello stile linguistico e comunicativo di Berlinguer di cui si è fatto cenno.
Metafore e lessico figurato
L’esposizione si serve spesso di parole ed espressioni che presentano i concetti trasponendoli da un piano denotativo a uno più evocativo e suggestivo. Gli ambiti semantici a cui Berlinguer ricorre non presentano però particolare originalità o arditezza rispetto alla consolidata prassi della comunicazione politica (e giornalistica): ecco allora, ad esempio, i rimandi al mondo della medicina o della biologia come «i partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei mali d’Italia», «col nostro ingresso [nel governo] si pone fine a una stortura e a una amputazione della nostra democrazia», «ciò ha accentuato il malessere della Dc», «il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione», o «Infine, la spesa pubblica: un cancro che divora le risorse del Paese in mille modi».
Sono rare le immagini forti come «È la questione morale che oggi divora la Dc, come divora le istituzioni. E, andando più al fondo, è la insuperata discriminazione contro di noi […] che oggi si sgretola» o quella con cui si chiudeva l’intervista: «non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?»; prevalgono infatti più semplici parole ed espressioni figurate, talvolta proprie anche del lessico quotidiano e informale, quali «Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui», «I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni», «[i partiti] sono macchine di potere che si muovono soltanto quando è in gioco il potere», «ci hanno scongiurato in tutti i modi […] di partecipare anche noi al banchetto», «tener bordone», «pirati della salute», «sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla Dc», «noi non abbiamo mai chiesto l’elemosina d’esser “ammessi”» o «Direi che abbiamo girato la boa e siamo di nuovo in ripresa».
Una retorica semplice
Analoga misura si ritrova a proposito delle altre strategie che rendono più espressiva ed elaborata l’argomentazione; tra queste si può menzionare giusto qualche caso di accumulo, efficace per rendere il discorso più concitato ed enfatico, e spesso, anche per questo, associato a una sintassi in stile nominale o a ripetizioni anaforiche: «Grandi dibattiti, grandi scontri di idee, certo, scontri di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c’era allora, quanto entusiasmo, quante rabbie sacrosante!», «Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai tv, alcuni grandi giornali», «La questione morale, nell’Italia di oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati».
La sintassi viene poi interessata da casi di focalizzazione che, sfruttando alcuni costrutti marcati (certo in parte riconducibili anche all’origine orale dell’intervista), consentono a Berlinguer di mettere in risalto gli elementi logico-argomentativi su cui si vuole concentrare l’attenzione: si va da un più semplice «Ebbene, non sono io che la penso così, sono i fatti a dircelo» a un più elaborato esempio, ancora in accumulo, quale «In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi».
Le parole tra ideologia e realtà
Com’è naturale, il livello del lessico è particolarmente sfaccettato e mostra la compresenza di vocaboli che afferiscono a categorie differenti. Non può mancare quella più strettamente legata alla matrice marxista e progressista del segretario del PCI, da cui vengono attinti parole e sintagmi come borghesi, borghesia produttiva, capitalismo (insieme a sviluppo capitalistico, occidente capitalistico, forme capitalistiche), classe operaia, compagni socialisti, comunisti, laburismo, lotta di classe, masse lavoratrici, modelli di socialismo, movimento operaio, movimento sindacale, operai, organizzazioni sindacali, partiti operai, privilegio, progresso, socialdemocrazia, sottoproletari, voti operai, a cui si aggiungono altre voci o formule più ampiamente e genericamente proprie del lessico politico quali assistenzialismo, azione eversiva, bene comune, ceti medi, congressi, cosa pubblica, costo del lavoro, crisi, democrazia, inflazione, legislatura, maggioranza, riformismo, politica fiscale e politica previdenziale.
Vi sono poi le parole e le espressioni che riflettono il momento storico e politico di quell’intervista, prima fra tutte, appunto, la più volte ripetuta questione morale; ma a tale riguardo si possono ricordare anche alternativa democratica (altra formula, in quel contesto, di recente conio berlingueriano), Br, governi di unità nazionale, maggioranza di solidarietà nazionale, pregiudiziale anticomunista, scala mobile e soprattutto quelle voci impiegate dall’allora segretario comunista per denunciare il sistema di gestione della cosa pubblica e della vita interna ai partiti: baronie, “boss” e “sottoboss” (da intendersi in senso figurato, come segnalano le stesse virgolette del testo), burocratismo, camarille, clientele, correnti, famigerato manuale Cencelli, lottizzazione, mercimonio che si fa dello Stato, opportunismo, P2, tradizionale tutela democristiana, verticismo.
Pronome di comunità, per passione
Contrariamente a quanto si sarebbe di lì a poco affermato con l’emergere di nuove figure contraddistinte da una visione leaderistica della politica e con il crollo delle principali ideologie otto-novecentesche (prima tra tutte proprio il comunismo), nella lingua di Berlinguer prevale ancora un forte senso di appartenenza a un partito: una dimensione collettiva e comunitaria, oltre che filosofico-ideale, sganciata dalla contingenza delle singole individualità chiamate a guidare provvisoriamente i processi storici delle forze politiche. Cosa che valeva perfino per il segretario del principale partito di sinistra, il quale in questa intervista, pur tanto personale e infatti all’epoca contestata anche da importanti dirigenti di quello stesso partito, impiegò il pronome di prima persona singolare (ma in generale anche l’omologa coniugazione verbale) solo in casi assai sporadici e in contesti argomentativi in cui non vi sarebbero state alternative altrettanto valide o adeguate: «molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato», «Ma io credo di sapere che cosa lei pensa», «Mi sembra un gioco truccato, oltre al fatto che bisogna vedere come il Psi sta usando questa posizione chiave di cui gode anche grazie alla nostra esclusione», «Io dico che forse proprio per questo la forza socialista francese è cresciuta fino a diventare maggioritaria nella sinistra».
Non si contano invece le volte in cui ci si imbatte nel pronome (o nell’aggettivo possessivo, o nella coniugazione verbale) di prima persona plurale, non usato certo con funzione maiestatica ma, al contrario, a significare l’appartenenza ampia, totale e condivisa a un identico orizzonte di valori e di azioni politiche; una forza identitaria che, distinguendosi da altri modelli, si riconosceva nella comune militanza in un grande partito di massa da decenni confinato all’opposizione ma non per questo sfiduciato o frustrato. Un partito che, con il suo segretario, non intendeva rinunciare a impegnarsi ancora, per contrastare i mali connessi appunto alla questione morale, affinché il Paese proseguisse in un cammino di progresso democratico e civile simile a quello che aveva caratterizzato il secondo dopoguerra: «Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri?».
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Immagine: I segretari dei partiti politici durante le consultazioni per la formazione del nuovo governo, attraverso Wikimedia Commons