Tra le tante ansie provocate dall’improvvisa caduta del Governo Draghi, il 21 luglio 2022, una, a prima vista, potrebbe apparire secondaria: la prospettiva di dover assistere a un incremento esponenziale dell’uso ostile delle parole da parte di molti esponenti politici e dei loro fan, sui media, online e altrove. In realtà questo è un problema primario. La radicalizzazione del linguaggio, già molto accentuata da alcuni anni, non può che essere alimentata, in vista delle votazioni previste per il 25 settembre, da una scadenza che avrà forti ricadute sul futuro del Paese. L’ondata di piena in arrivo inevitabilmente è alimentata dalla prevalenza dell’insulto sui social network, durante i tg, nel corso dei talk show televisivi e in occasione dei più prosaici comizi. Tutto ciò non depone di certo a favore di un trionfo delle buone maniere e della credibilità.

La rete e il fandom

Su Treccani.it già 6 anni fa Edoardo Novelli – professore ordinario all’Università Roma Tre, dove insegna Comunicazione politica, Sociologia dei media e Sistemi dell’informazione e del giornalismo – sottolineava: «Nel corso degli ultimi decenni politica e televisione si sono progressivamente avvicinati sino a sovrapporsi. Un fenomeno sovranazionale, comune alle principali democrazie mature dei paesi industrialmente sviluppati, ma che in Italia ha assunto forme e modi altrove inediti per qualità e soprattutto quantità». Il professor Novelli aggiungeva: «Se una prima conseguenza di questo fenomeno […] è l’abbattimento di ogni gerarchia comunicativa e di conseguenza di ogni autorevolezza/autorità politica e istituzionale, altre conseguenze sono l’adozione delle forme partecipative tipiche dell’intrattenimento televisivo da parte della sfera politica, con l’equiparazione dei meccanismi propri del political engagement a quelli dell’audience engagement, e l’estensione dei registri e degli stili comunicativi tipici della rete al discorso pubblico in televisione e al linguaggio della politica». Cosa significa? «Il prevalere della brevità, dell’invettiva, dell’ironia, della contrapposizione, della polemica, del fake, dell’immediatezza dei like e dislike. Generi e stili predominanti in rete che ben si adattano alle forme di partecipazione proprie del fandom (comunità di fan) e meno a quelle della cittadinanza, della partecipazione, dell’approfondimento».

Potter e Popper

Come difendersi dalla volgarizzazione del dibattito e dalle sue contagiose ricadute? Un manuale di autodifesa contro aggressioni, mistificazioni e inganni è arrivato da poco nelle librerie: ovviamente, potrebbe rivelarsi utile anche per odiatori e mistificatori, ma c’è da augurarsi che non apprendano come usare meglio l’esplosivo che maneggiano. È intitolato Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (Effequ, Firenze 2022). Lo ha scritto una promettente trentenne di robusta cultura e vivace eloquio, Roberta Covelli, laureata in Giurisprudenza, assegnista di ricerca in Diritto del Lavoro all'Università di Milano Bicocca e collaboratrice di Slow News, Fanpage e Valigia Blu. Per capirci, è una persona capace non soltanto di coinvolgere chiunque nella lettura di un saggio complesso, ma anche di far sorridere; ad esempio, cita nelle stesse pagine, senza apparire sconveniente, Harry Potter e Karl Popper, Aristotele e Mary Poppins, Seneca e i Monty Python, Disney e don Lorenzo Milani, Cenerentola e Antonio Gramsci. Per favorire la comprensione, l’autrice inserisce anche alcune avventure autobiografiche: quelle vissute da giovane impegnata a livello sociale e politico, da cittadina dotata di senso civico e da aspirante cronista (alle prese con media che sembrano aver venduto l’anima al diavolo dell’audience e dei like).

C’è modo e modo

Questo libro esamina dunque gli artifici retorici più usati nelle dispute del giorno d’oggi: quelli utilizzati sui social e quelli “in presenza” (orrendo neologismo diventato usuale), quelli visibili e quelli nascosti. Non si tratta di un verdetto di condanna nei confronti della cara vecchia ars oratoria e della retorica; semmai suggerisce di non sottovalutare gli effetti dannosi, a livello sociale e politico, del modo “cattivo” di articolare un ragionamento. Con l’idea di fondo che la comunicazione “per bene” sia uno strumento di emancipazione e di creazione di relazioni, non di sopraffazione, più o meno subdola, degli altri. «Che cos’è la comunicazione se non uno strumento per il pieno sviluppo personale e per l’effettiva partecipazione alla comunità? Che cos’è la parola se non un atto individuale che si innesta in un contesto collettivo?», scrive Covelli.

Un esempio d’autrice

La saggista offre valanghe di indizi dedicati alla degenerazione subdola del linguaggio e, di certo, qui non si vuole togliere al lettore il gusto di scoprirli. Facciamo semmai qualche esempio sul fronte della comunicazione adottata in parecchi talk show televisivi che si definiscono “giornalistici”. È paradigmatico il racconto della surreale esperienza di Roberta Covelli come neo-redattrice in uno di quei programmi. Provò a proporre come tema le «mamme volanti, un gruppo di donne della provincia di Brescia che, a fronte dell’aumento dell’incidenza di tumori infantili, avevano deciso di indagare autonomamente sulle discariche della zona». Le venne detto che si sarebbe dovuta «sforzare di più nella ricerca di notizie adatte alla trasmissione». Le fu spiegato che «serviva dibattito, serviva potersi schierare, a favore o contro: nessuno può dare torto a chi denuncia l’inquinamento, tutti protesterebbero contro i danni alla salute, le mamme volanti avevano certo l’elemento di novità che mi era richiesto, ed erano senz’altro una notizia, ma al rientro in studio non ci sarebbe stato niente su cui litigare».

Il duello davanti al pubblico

Scrive Covelli (confermando le tesi del professor Novelli): in quei programmi televisivi, «l’obiettivo non è sviscerare temi, portare alla luce questioni, elaborare soluzioni: lo scopo è che le persone restino sintonizzate […]. Invece di assistere a conflitti complessi, al confronto di opinioni divergenti e argomentate, fomentiamo una contrapposizione via via più polarizzata, duelli e assalti contro nemici creati ad arte. Lo scopo del dibattito pubblico smette così di essere, sempre che mai lo sia stato, il percorso comune verso un sapere condiviso: l’obiettivo è l’esibizione del duello, ottenere il tifo del pubblico nell’assalto contro un nemico da distruggere attraverso lo stroncamento della sua tesi, delle sue argomentazioni; non entrando nel merito ma sviando, distorcendo, alludendo, usando una serie di stratagemmi dialettici con cui ottenere ragione, a prescindere dal valore della propria posizione».

I nomi e la legge

L’autrice segnala che «anche il mondo politico non è esente da simili esercizi di legittimazione, ormai normalizzati perfino a livelli istituzionali». Addirittura, pure «la produzione normativa e l’attività di governo smettono di avere un valore descrittivo e rientrano negli elementi retorici di costruzione del fondale per il grande spettacolo del kitsch». Come? «Negli ultimi anni la scelta di titoli altisonanti per riforme e provvedimenti governativi ha portato la propaganda nella lingua del Diritto. Non si tratta più solo di sintesi giornalistiche o del classico uso della comunicazione politica: che siano definite ‘Decreti sicurezza’ le norme recenti di volta in volta fatte approvare dai vari ministri dell’Interno, normalizzando la sensazione di insicurezza e legandola costantemente all’immigrazione, è una prassi pericolosa, non del tutto contrastabile attraverso un paziente lavoro di rielaborazione nel dibattito pubblico. I governi […] hanno assecondato la prassi di chiamare i propri provvedimenti senza più accostarli ai nomi dei loro relatori ma scegliendo titoli evocativi, astutamente positivi: come potranno essere credibili studenti e docenti che manifestano contro la Buona scuola? Chi è così disfattista da contestare la legge Sblocca Italia? Nessuno è tanto crudele da opporsi a un Decreto dignità e chiunque approverebbe una norma Salva Italia».

Alla fine, una cassetta di pronto soccorso

Il libro scritto da Covelli consente dunque di avere qualche strumento in più per proteggerci dalle mostruosità dialettiche e retoriche sempre più in voga. D’altra parte, il saggio bisognerebbe comprarlo anche solo per avere a disposizione le 11 pagine finali: come se fossero una cassetta di pronto soccorso. Sono dedicate al “Prontuario di difesa contro le arti oscure della fallacia a uso di chi argomenta e di chi legge”. È un divertente ma serissimo elenco di 34 fallacie logiche (spesso denominate ironicamente in latino), di cui spesso siamo vittime o che usiamo senza rendercene (quasi) conto. Per esempio, ecco l’«Argumentum ad ignorantiam - Sostenere una tesi basandosi solo sul fatto che non esistano prove che sia falsa»; tipo: «I coccodrilli bianchi nelle fogne di New York esistono: nessuno ha mai dimostrato il contrario». Ancora: «Generalizzazione indebita - Trarre conclusioni su un’intera classe di elementi a partire dalle informazioni su uno solo o su alcuni dei suoi componenti».; è il caso di «I politici sono tutti parassiti». Poi: «Reductio ad Hitlerum - Squalificare una tesi o una persona con riferimenti pretestuosi ai nazisti, attraverso discorsi polarizzati sull’individuo… o con false analogie»; ad esempio: «Anche con Hitler c’erano categorie di persone che non potevano entrare nei negozi e accedere ai servizi: il certificato vaccinale è nazista».

Che cosa ne pensano gli italiani

Come minimo, di fronte alla valanga di argomenti politici e mediatici taroccati che rischia di travolgerci in queste settimane pre-elettorali, un prontuario di questo tipo può essere un utile ansiolitico. Intanto, la parola d’ordine – in tv e non solo – è “Vogliamo la rissa”, con tanti saluti ai codici deontologici dei giornalisti; oppure, se vogliamo tornare agli antichi, è ancora “Panem et circenses” in altra forma. Per quanto tempo i venditori di fumo irritante riusciranno a ingannare la gente? Difficile dirlo. Intanto però il 2° Rapporto annuale sulla buona comunicazione dell’emergenza quotidiana, diffuso recentemente da Ital Communications e Censis, svela che, per esempio, il 64,2% degli italiani disapprova il tipo di comunicazione adottata nel corso dell’intero periodo della pandemia: ritiene che siano stati privilegiati la spettacolarizzazione e l’obiettivo di “catturare” l’audience. Insomma, forse i cittadini sono più scafati di quanto i diffusori di fallacie possano credere…

Biblio/sitografia

Marco Brando, La buona comunicazione dell’emergenza quotidiana, in Treccani.it - Atlante, Treccani, Roma 2022.

Edoardo Novelli, I «morsi sonori». della lingua politica nell’era dei talk-show , in Treccani.it - Lingua italiana, Treccani, Roma 2016.

Michele Sorice, Politica e rete , in Treccani.it - Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 2015.

Immagine: dalla copertina del saggio Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (Effequ, 2022) di Roberta Covelli.