L’isola di Tabarca

Per quanto si possa risalire lontano nel tempo, in ogni epoca si trovano contatti frequenti e intensi fra Italia e Tunisia. Alcuni sono noti, com’è il caso di quel gruppo di Pegli (Genova) che si stabilì nell’isola di Tabarca dal 1540 fino al 1738 quando dovette trasferirsi nell’isola di S. Pietro dove fondò Carloforte, o come molti schiavi affrancati che decisero di rimanere nel paese anche dopo la fine della schiavitù. Tuttavia è dalla seconda metà dell’Ottocento che si costituisce nel paese nordafricano una numerosa collettività italiana. Dapprima si stabiliscono a Tunisi esuli politici, prevalentemente carbonari e mazziniani, che, ricchi di conoscenze e competenze, finiranno con il formare l’intellighenzia della collettività divenendo negli anni gli artefici delle principali istituzioni, come l’ospedale, le scuole, l’assistenza ai meno abbienti, i centri culturali, la stampa. Formato prevalentemente da livornesi, come quei mercanti che si erano stabiliti a Tunisi già dal XVII secolo, questo primo nucleo cresce notevolmente a partire dal 1881, anno dell’istituzione del protettorato francese, con l’arrivo massiccio di contadini, operai, piccoli artigiani, richiamati dal lavoro nei cantieri, nelle campagne, nelle industrie. La provenienza geografica, oltre che l’appartenenza religiosa, crea una sorta di frattura in quella collettività: alla minoranza di origine prevalentemente toscana – in particolare livornese – e di religione ebraica, si aggiunge una grande massa di “nude braccia” proveniente dall’Italia meridionale, soprattutto dalla Sicilia, di religione cattolica. Si tratta dunque di una realtà complessa, di cui si stentano, ancora oggi, a definire i numeri. Fra tutte le minoranze straniere presenti in Tunisia negli ultimi due secoli, sicuramente la collettività italiana è stata dal punto di vista numerico la più importante.

Francia contro Italia

Definire il numero di questa migrazione è pressoché impossibile poiché i dati sono frequentemente manipolati a fini puramente politici. Di fatto le cifre fornite dalle autorità francesi raramente coincidono con quelle del consolato italiano. Inoltre, i dati ufficiali non tengono mai conto degli arrivi clandestini che sono numerosi. Considerando gli arrivi annui intorno a 1.500 unità e valutando un tasso di crescita annua del 2%, la storica Juliette Bessis calcola fra 132.000 e 195.000 il numero degli italiani nel 1938 (Bessis, 1981, 15-17). Sin dall’avvento del protettorato, la presenza italiana è notevolmente superiore a quella francese. Dal secondo censimento ufficiale degli italiani all’estero, nel 1881, emerge un dato rilevante: 11.106 vivono stabilmente in Tunisia. Rispetto alla popolazione europea stanziata in quel paese, si tratta della percentuale più elevata, il 59%, contro il 4% dei francesi. Questa preponderanza dell’elemento italiano su quello francese rappresenta un’anomalia che avvelenerà i rapporti fra i due paesi europei fino alla seconda guerra mondiale e creerà condizioni di vita a volte difficili per gli italo-tunisini. “La Tunisie est une colonie italienne administrée par des fonctionnaires français”, scrive l’economista francese Paul Leroy-Beaulieu. Durante i settantacinque anni di protettorato, la forte presenza italiana è una vera preoccupazione per le autorità francesi che, pur considerando la necessità di una manodopera seria e affidabile, ne temono il numero. Perciò utilizzano ogni mezzo per francesizzare quella collettività, con l’emanazione di leggi specifiche atte a favorire la naturalizzazione, o con la creazione di scuole in ogni angolo del paese. Sebbene negli anni più virulenti (1924-’34), le nazionalizzazioni non superano le 14.000 unità, questa politica ha successo nel tempo. Nel 1943, alla fine della guerra in Tunisia, tutte le istituzioni italiane sono chiuse. I mezzi usati dalla Francia per liquidare in modo definitivo la question italienne sono radicali: soppressione dell’ospedale, delle scuole, chiusura delle associazioni culturali come la Società Dante Alighieri e dell’unica libreria, blocco della stampa, riequilibrio demografico con la spinta alla naturalizzazione da una parte e l’eliminazione tramite espulsione dei quadri dirigenti e dell’élite intellettuale. Il successo di tale operazione è pieno: la generazione nata dopo il 1940 sarà totalmente francesizzata. Negli anni fra la fine della guerra in Tunisia (1943) e l’indipendenza (1956), la collettività italiana si riduce a 66 500 unità. È un numero destinato a calare continuamente fino a 33 000 nel 1962. L’esodo successivo riduce ulteriormente il numero degli italiani. Oggi gli italiani in Tunisia sono poco più di 5.000: sono soprattutto pensionati o imprenditori di nuova migrazione. Dell’antica comunità rimangono circa 900 individui che si raccolgono intorno al periodico Il Corriere di Tunisi, fondato nel 1956 e tuttora attivo, unico giornale in lingua italiana di tutto il Nord Africa.

I livornesi

Ricostruire la lingua degli italiani di Tunisia appare complesso poiché è necessario tener conto delle diverse provenienze geografiche oltre che delle appartenenze sociali. Rigorosamente sostenitrice della cultura italiana nella situazione complessa in cui la collettività viene a trovarsi dopo l’avvento del protettorato, la borghesia italo-tunisina parla esclusivamente la lingua nazionale, a volte nel suo registro più colto, preferendo in certe situazioni le voci più dotte com’è il caso dell’uso di decesso in luogo di deceduto. Conosce bene anche la lingua dei colonizzatori studiata nelle università francesi che i giovani frequentano dopo l’obbligo di possedere diplomi francesi per esercitare le libere professioni. Inoltre la vita quotidiana mette tutti in condizione di praticare il francese, di fatto unica lingua ufficiale del paese. Non è ignorato l’arabo utilizzato quotidianamente nei rapporti con i tunisini. Il livello culturale corrisponde a quello della media borghesia italiana, ma sicuramente è meno provinciale per la frequentazione quotidiana con altre culture. Inoltre, l’alto tenore di vita, che permette frequenti viaggi in Europa, fa dei livornesi un gruppo molto aperto, che vive nel proprio tempo, a contatto con le innovazioni tecniche e con le realtà culturali europee più attuali. Tunisi è semplicemente una città di provincia che ruota intorno ai grandi assi culturali italiano e francese. Di ciò i livornesi hanno piena coscienza. La loro quotidianità dista anni luce da quella del resto della collettività italiana con cui non hanno nulla da spartire oltre alla nazionalità.

Il siciliano di Tunisia

La massa delle “nude braccia” costituita da contadini, operai e piccoli artigiani è prevalentemente dialettofona, analfabeta o scarsamente alfabetizzata. Proviene perlopiù da varie zone della Sicilia. La cultura orale della regione d’origine è trasmessa dagli anziani alle giovani generazioni e appare così forte da escludere in un primo tempo altre influenze. Si consideri anche che le scuole italiane sono ubicate a Tunisi e in alcune grandi città mentre nelle campagne non esiste niente se non le veglie in cui si raccontano vecchi fatti della regione d’origine e ciò, con ogni probabilità, permette a questi contadini isolati di rafforzare la propria identità. Nel giro di una trentina d’anni, le differenze fra le varie parlate locali si attenuano fino a scomparire poiché si amalgamano in un unico dialetto. È plausibile pensare che di fronte a termini diversi per indicare lo stesso oggetto, i parlanti abbiano alla fine optato per il termine tunisino corrispondente percepito come unificante poiché comprensibile a tutti. A sostegno di tale ipotesi si può citare, fra i tanti esempi, il termine secchio (catu, bagghiolu, quatu, ecc.) sostituito con il tunisino stallu. Fonte principale dei prestiti linguistici, almeno fino alla seconda guerra mondiale, è l’arabo tunisino. Nel siciliano di Tunisia gli arabismi affiorano copiosi. Tali prestiti riguardano termini concernenti oggetti di uso quotidiano, piatti introdotti per affinità gastronomica, formule di cortesia e di saluto, ecc…. Tutti gli ambiti del vivere quotidiano contano innovazioni lessicali di origine tunisina, e ciò rafforza nel contempo gli arabismi esistenti nel siciliano classico. L’introduzione di questi elementi avviene adeguandoli fonologicamente e assimilandoli totalmente al punto che vi si applicano le stesse regole morfologiche del siciliano. Tale ricchezza si nota anche nella creazione di espressioni idiomatiche, filastrocche e canzoni. La presenza così forte di elementi tunisini trova la sua spiegazione nel fatto che l’emigrazione siciliana va a occupare uno spazio sociale intermedio fra colonizzatori e colonizzati e fino al secondo conflitto mondiale è schiacciata verso il basso venendosi così a trovare a stretto contatto con i tunisini. La lingua che scaturisce da tale situazione sociale rimane confinata all’uso orale che non trova riscontro in nessun testo scritto, ad eccezione del giornale satirico Simpaticuni (1911-1933) che meriterebbe uno studio approfondito poiché fotografa bene la situazione linguistica del momento, sebbene il suo linguaggio sia caricaturale e spesso iperbolico.

Il prestigio dell’italiano

L’apprendimento della lingua nazionale avviene nelle scuole italiane fino alla seconda guerra mondiale. È un insegnamento rigido che non tollera dialettismi e condanna di conseguenza il siculo-tunisino a un sotto linguaggio per il popolino. Resta da chiedersi che cosa rimane dell’apprendimento della lingua nazionale quando, al di fuori del contesto scolastico, l’italiano è decisamente subalterno al francese nelle sedi e situazioni ufficiali e scarsamente utilizzato nell’ambito familiare ad eccezione, s’intende, della borghesia. Tuttavia i siciliani aspirano a frequentare la scuola italiana, in quanto espressione di prestigio socio-culturale. Si adeguano pertanto di buon grado al fatto che l’italiano sia identificato come il sistema dominante, accettando come ovvia conseguenza l’inferiorità della propria lingua. Si presume che tale atteggiamento abbia influito in qualche modo sull’uso del siciliano stesso e abbia portato all’italianizzazione di molti termini e all’introduzione di espressioni e modi di dire. Per citare uno dei tanti esempi, il termine cuteddu sopravvive nei proverbi, ma è sostituito nella lingua quotidiana dall’italianizzante curtello.

La diaspora dopo la seconda guerra mondiale

La chiusura delle scuole italiane e lo smembramento dell’élite intellettuale, alla fine della seconda guerra mondiale, tagliano in modo drammatico i legami fra la collettività e le proprie radici. Se, da un punto di vista socio-culturale, si coglie la drammaticità di tali fatti, da un punto di vista strettamente linguistico, si osserva nel siculo-tunisino un arricchimento lessicale con l’introduzione di un buon numero di francesismi. Entrano dapprima termini riguardanti il mondo scolastico, poi soprattutto quelli riferiti alle innovazioni tecniche: tutto il vocabolario concernente l’automobile e il suo motore è francese, ad esempio. Ma è francese anche il nome di piatti introdotti nell’uso comune, com’è francese il lessico relativo a cerimonie socialmente rilevanti come il matrimonio. In questi ultimi due elementi, si nota un’adesione sempre più stretta al modello francese che implica, di conseguenza, un abbandono di costumi e modi di vivere tradizionali. Ciò avviene non solo per la forte pressione culturale francese ma anche per il maggior benessere generalizzato che impone implicitamente un’imitazione del modello dominante. Alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, quando la lingua parlata dagli italiani di Tunisia arresta all’improvviso la sua evoluzione a causa della diaspora che disperde la collettività fra Italia e Francia, essa appare molto variegata dal punto di vista lessicale. Comincia appena ad accogliere i primi mutamenti morfosintattici: ad esempio, l’espressione vegno d’arrivare, calcata sul gallicismo je viens d’arriver sostituisce nei parlanti più giovani il siciliano ora ora arrivai.

Il siculo-tunisino in terra di Francia

Di questa lingua rimane oggi ben poco. Gli italo-tunisini hanno abbandonato questo modo d’espressione a favore della lingua nazionale del paese in cui vivono. Presso coloro che si sono stabiliti in Italia, il dialetto sopravvive ancora nella parlata degli anziani, ma solo in ambito familiare. Si nota in loro la sostituzione progressiva dei prestiti dal francese con i corrispettivi italiani. Tendono invece a mantenere i termini tunisini, ad eccezione di quelli che trovano un sostituto perfettamente calzante in italiano. Gli italo-tunisini che vivono in Francia hanno, salvo casi sporadici, totalmente sostituito il dialetto con il francese, anche in ambito familiare. L’uso del dialetto avviene quasi esclusivamente a contatto con i parenti che vivono in Italia oppure in occasione di viaggi in Sicilia quando scoprono con sorpresa di parlare un dialetto arcaico. Quest’uso ristretto ha fatto sì che il siculo-tunisino si sia mantenuto intatto nel tempo prevalentemente fra i parlanti residenti in Francia, diventando una specie di lingua della memoria. Oggi è soprattutto ascoltando queste persone che si può sperare di raccogliere testimonianze di questa lingua destinata a scomparire.

Bibliografia

La bibliografia sugli italiani di Tunisia è vastissima; qui sono riportati alcuni titoli essenziali. Fondamentali sono le ricerche effettuate dal gruppo di studiosi che ha aderito al Progetto sulla Memoria degli Italiani di Tunisia avviato dall’Ambasciata d’Italia a Tunisi e diretto da Silvia Finzi, i cui risultati sono stati pubblicati a Tunisi dalle Edizioni Finzi nei seguenti volumi:

Pittori italiani di Tunisia, 2000

Memorie italiane di Tunisia, a cura di S. Finzi, 2001

Architetture italiane di Tunisia, a cura di S. Finzi, 2002

Mestieri e professioni degli italiani di Tunisia, a cura di S. Finzi, 2004

L’alimentazione degli italiani di Tunisia, a cura di M. Pendola, 2005

Poeti e scrittori italiani di Tunisia, a cura di D. Laguillon Hentati e S. Finzi, 2007

Storie e testimonianze politiche degli Italiani di Tunisia, a cura di S. Finzi, 2016

Adda L. (a cura di), Les relations tuniso-italiennes dans le contexte du protectorat, Tunisi, Institut Supérieur d’Histoire du Mouvement National, 1999.

Bessis J., La Méditerranée fasciste. L’Italie mussolinienne et la Tunisie, Parigi, Karthala, 1981.

Boccara E., La comunità ebraica portoghese di Tunisi (1710-1944), ‘La Rassegna mensile di Israel’, vol. LXVI, n. 2, maggio-agosto 2000, pp. 26-96.

Brondino M., La stampa italiana in Tunisia, Milano, Jaca Book, 1998.

FINZI S., L’evoluzione dell’insegnamento della lingua italiana in Tunisia dall’800 ad oggi, con particolare riferimento alla storia della Società Dante Alighieri, Reggio Calabria, settembre 1987.

MELFA D., Migrando a sud. Coloni italiani in Tunisia (1881-1939), Roma, Aracne, 2008.

PASOTTI N., Italiani e Italia in Tunisia, Tunisi, Edizioni Finzi, 1970.

PENDOLA M., Gli italiani di Tunisia. Storia di una comunità (XIX-XX secolo), I Quaderni del Museo dell’Emigrazione, Foligno, Editoriale Umbra, 2007.

TOSO F. – TORCHIA A., Isole tabarchine. Gente, vicende e luoghi di un’avventura genovese nel Mediterraneo, Roma, Edizioni Il Mare, 2000.

ZLITNI M., Plurilinguisme et contacts de langues entre italiens et Tunisiens: quelques aspects linguistiques des échanges entre les deux principales communautés de la Tunisie coloniale, in BANFI E., IANNÀCCARO G. (a cura di), Lo spazio linguistico italiano e le lingue esotiche: rapporti e reciproci influssi . Atti del XXXIX Congresso internazionale di studi della Società di linguistica italiana (SLI) (Milano, 22-24 settembre 2005). Roma, Bulzoni, 2006, pp. 349-369.

Le puntate del ciclo Europa e Mediterraneo d'Italia. L'italiano nelle comunità storiche da Gibilterra a Costantinopoli, a cura di Fiorenzo Toso.

Introduzione: Le lingue d'Italia fuori d'Italia, di Fiorenzo Toso

3. L’italiano della Svizzera di lingua italiana, di Laura Baranzini e Matteo Casoni

5. L’italiano in Slovenia, di Anna Rinaldin

9. La Repubblica di San Marino, di Fabio Foresti

10. Gli italiani di Crimea, di Marco Brando

Immagine: Panoramica del centro di Tunisi

Crediti immagine: Citizen59 from Tunis, Tunisie, CC BY-SA 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0, attraverso Wikimedia Commons